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VISIONI


gio 14 novembre 2019

I ragazzi del Palo

Anni prima, quando era ancora l’epoca della città, qualcuno doveva avere abbattuto il palo portante di una telecamera e con un coltello ci aveva inciso vari segni e scritte, per poi abbandonarlo. Loro lo avevano trovato, piantato in mezzo al prato ed eretto a totem della banda. Da allora erano conosciuti come I Ragazzi del Palo.

Il generatore singhiozzava placido in un angolo dell’immenso capannone, le macchie di vernice gialla scrostata sembravano branchie di un pesce. Dall’altra parte, attraverso uno squarcio nel muro coperto da teli di plastica, i bambini guardavano il sole che stava per essere inghiottito dalle tenebre.

Sullo sfondo, oltre il parco brullo e spelacchiato, al di là delle recinzioni elettriche, svettavano le altissime torri, simbolo di quel territorio inquietante che una volta era conosciuto come città.
I bambini stavano in silenzio. Un’aria di sconfitta pervadeva la stanza. Ernie, il più piccolo e gracile del gruppo, si avvolgeva in una coperta tenendo gli occhi bassi. Si sentiva in colpa, forse più degli altri, anche se non aveva alcuna responsabilità di quello che era successo.

Prese la parola Giovanni, il capo riconosciuto della banda. «Sono stati loro, non ci sono dubbi. Domani mattina lo rivendicheranno, e rideranno di noi. Dobbiamo organizzare una risposta» disse con tono calmo e grave.

Si guardarono tra loro, occhi confusi, più che spaventati. Nessuno ci voleva credere. Diana si prese le gambe tra le braccia e si strinse forte in posizione fetale. Cisco si alzò in piedi, e cominciò a passeggiare per il capannone, come se cercasse qualcosa.

Ma oltre ai copertoni che usavano come giaciglio, agli armadi sventrati e agli scaffali pericolanti, ad alcuni macchinari che montavano e smontavano in continuazione nella vana speranza di trovare loro una funzione utile a qualcosa, non c’era altro.

«Non è detto» disse Adele, speranzosa. «Magari è caduto ed è stato trasportato via dal vento. O l’ha preso un animale, una volpe, o un altro animale strano che non sappiamo come si chiama». I bambini scossero il capo all’unisono.

«No Adele, non è possibile, lo sai pure tu» intervenne Paolo, quasi in lacrime. «Sono stati i ragazzi delle Magliette Rosse, sono entrati e si sono portati via il nostro totem… Hanno vinto loro!»

Il totem non era altro che un semplice palo di legno, consumato dal trascorrere del tempo, svettante al centro del parco che circondava il capannone. Il loro rifugio segreto, il loro unico rifugio. L’unico posto che avevano.

Qualcuno anni prima doveva avere abbattuto il palo portante di una telecamera e con un coltello ci aveva inciso vari segni e scritte, per poi abbandonarlo. Era ancora l’epoca della città, probabilmente. Poi lo avevano trovato i bambini che si erano rifugiati nel capannone, lo avevano piantato nel mezzo del prato, di fronte all’ingresso, e lo avevano eretto a loro simbolo.

Da allora erano conosciuti come I Ragazzi del Palo, una della bande più famose della città. Solo che adesso il palo era scomparso, qualcuno lo aveva preso.

Eppure era pressoché impossibile entrare nel parco del capannone. Il lungo recinto elettrico, sormontato da telecamere, funzionava perfettamente. Anzi, a dirla tutta, come avrebbe potuto confermare ogni membro dei Ragazzi del Palo, o di qualsiasi altra banda, che si fosse avventurato in città alla ricerca di cibo, le recinzioni, gli sbarramenti e le telecamere erano l’unica cosa che ancora funzionasse, ovunque.

Si poteva dire che nella vecchia città l’unica cosa rimasta in piedi, l’unica cosa ancora operativa, fossero i confini invalicabili.

Non tanto le barriere in sé, i ragazzi erano abbastanza agili e spericolati per oltrepassarle, ma le telecamere e i software di riconoscimento facciale erano il vero fronte ineludibile.

Se una delle migliaia di telecamere disposte lungo ogni barriera, angolo, interstizio, riconosceva un intruso che voleva entrare, che provava a forzare l’ingresso in qualche punto, dalla stazione di controllo si alzava un drone che, nel giro di pochi secondi, inceneriva il malcapitato.

Il problema era che oramai non si sapeva più chi controllava le telecamere e chi controllava i droni. Con tutta probabilità, aveva spiegato agli altri componenti della banda Giovanni, che era il bambino più grande e più saggio, non li controllava nessuno. Funzionavano da soli, per inerzia. Dai tempi in cui ancora c’era la città, in cui ancora c’erano i grandi, gli adulti.

I Ragazzi del Palo, come le Magliette Rosse e le altre bande con cui si sfidavano nel grande gioco, salvo poi aiutarsi e darsi una mano quando si doveva andare in città a recuperare cibo, erano i sopravvissuti.
Un giorno, quando oramai la città era quasi del tutto distrutta, perché un virus aveva infettato il software di riconoscimento facciale e i droni avevano cominciato a sparare a chiunque per le strade e dentro le case, era arrivato un blackout totale di poche ore dovuto a un violentissimo tifone che aveva spazzato via tutto.

I bambini che erano entrati da qualche parte per ripararsi, ed erano sopravvissuti, avevano scoperto poi che da quel posto riuscivano a entrare e uscire comodamente. Perché le telecamere, che avevano ripreso a funzionare con il software resettato, riprendevano chi era dentro, elaboravano tutti i parametri fisiognomici, li confrontavano con quelli del database della città e, una volta trovata una corrispondenza, li riconoscevano come legittimi proprietari del luogo.

I bambini che quel giorno erano entrati nel capannone per ripararsi dal tifone, ora ne potevano entrare e uscire in libertà. Solo loro. Per quello, dopo che Ernie aveva trovato il palo, lo avevano piantato nel centro del parco e ne avevano fatto il loro totem, diventando così a tutti gli effetti una banda.

Ora che il palo era scomparso, dentro al capannone c’erano Giovanni, Ernie, Paolo, Cisco, Diana e Adele. Non erano solo loro I Ragazzi del Palo, c’erano altri bambini, che erano usciti in perlustrazione. E nonostante avessero la possibilità di rientrare, non era detto che ce l’avrebbero fatta.

La vecchia città rimaneva un posto pericoloso. I droni continuavano a sparare e a disintegrare chiunque non fosse immediatamente riconosciuto dalle telecamere.

Adesso Cisco era preoccupato per Zoe, la sua fidanzatina. Era molto preoccupato.

Zoe era uscita la mattina per andare a recuperare delle parti meccaniche: valvole, fili, schede, lampadine, qualsiasi cosa. Stavano infatti cercando di costruire un nuovo generatore, nel caso quello vecchio e ansimante che avevano nel capannone smettesse all’improvviso di funzionare.

Il problema però era che Zoe era una femmina, e aveva pure la pelle scura. I suoi genitori erano nati in un paese molto lontano dalla città. E i bambini si erano accorti che sia le femmine che quelli con la pelle scura avevano delle difficoltà a entrare e uscire. O meglio, erano le telecamere ad avere dei problemi con loro.

Il software, contenendo migliaia e migliaia di fotografie e filmati di ognuno, era in grado di riconoscerlo alla perfezione anche a fronte di improvvisi cambiamenti. Ma c’era un problema a monte: il programma era stato impostato sulle fattezze del maschio bianco adulto.

L’intelligenza artificiale che governava il software era in grado di prevedere tutte le mutazioni possibili di un volto, ma restavano le difficoltà con i volti femminili e con quelli non perfettamente bianchi.

Una volta Adele aveva raccontato agli altri bambini che la stessa cosa succedeva anche prima. Suo fratello più grande, che aveva studiato cinema, le aveva spiegato che quando ancora si usavano le pellicole il nitrato d’argento era stato impostato per illuminare i visi bianchi. E che quindi gli attori neri si vedevano male.

Fino a che un regista aveva scoperto che doveva usare delle pellicole giapponesi, tarate su una luce diversa. Per questo tutti i film girati da registi neri, con attori neri, avevano una colorazione diversa rispetto a quelli mainstream. Perché erano costretti a usare pellicole giapponesi.

La stessa cosa era rimasta con il passaggio al digitale. E poi con la costruzione dei software per i riconoscimenti facciali. Il maschio bianco restava privilegiato, i neri e le donne erano più difficili da riconoscere. La differenza diventava sempre più pericolosa.

Con l’automazione della polizia e l’avvento dei droni di sicurezza, erano sempre di più le donne e le persone non bianche a essere incenerite per errore. Infine, dopo che la città si era distrutta e nessuno controllava più le telecamere e i droni, essere donna o essere nero significava rischiare la vita in ogni momento.

Per questo Cisco era preoccupatissimo per Zoe. Sapeva che ogni volta che usciva aveva altissime possibilità di non tornare mai più.

Ma c’era un altro problema, ben più grosso di Zoe che non ritornava. Era sparito il totem.

In fondo tutto quello che era rimasto ai bambini, alle loro bande, era il gioco. Si erano abituati alle sparizioni improvvise, a vedere i loro compagni e avversari inceneriti dai droni. Ma a perdere i bambini non si abituavano mai.

Essere sconfitti da una banda rivale era senza dubbio la cosa peggiore che potesse capitare loro. E così, la sparizione del totem, o meglio il furto da parte delle Magliette Rosse, era la cosa più grave mai successa. Non c’era tempo da perdere, bisognava organizzare la controffensiva.

Il quartier generale delle Magliette Rosse era la discarica che si trovava sulla collina. Lì moltissimi bambini avevano trovato rifugio durante il blackout. E siccome una volta davanti al cimitero delle auto e degli elettrodomestici sostava sempre un vecchio custode sudamericano con una pancia che strabordava da una vecchia e lercia maglietta rossa, i sopravvissuti per la loro banda avevano scelto il nome di Magliette Rosse.

Nessuno dei Ragazzi del Palo poteva entrare e uscire dalla discarica, le telecamere li avrebbero riconosciuti come intrusi. I droni li avrebbero inceneriti.

Giovanni, in quanto capo, aveva pensato di sacrificarsi. Di andare lui da Franco, il capo della banda rivale, con il quale aveva condiviso mille spedizioni in città alla ricerca di acqua e cibo, per ammettere la sconfitta. In cambio della sua vita avrebbe solo chiesto che il totem fosse restituito alla sua banda.

Tra la sorpresa generale, fu però il piccolo Ernie a bocciare l’idea. «Non possiamo arrenderci, ammettere la sconfitta, perdere il nostro capo» aveva detto quella sera nel capannone arringando la banda. «Il gioco è tutto quello che abbiamo, l’unica cosa che le telecamere non si siano ancora presi. Per questo dobbiamo continuare a giocare. Andiamo alla discarica a riconquistare il nostro palo!».

«Ma è impossibile, non riusciremo mai a entrare nella discarica» disse Cisco, ora di nuovo in preda al desiderio di recuperare il palo più di ogni altra cosa. «C’è un solo modo» disse, ancora tra la sorpresa generale, il piccolo Ernie. «Dobbiamo uscire da qui tutti insieme, ma non per andare alla discarica, per andare a trovare l’unico bambino al mondo che in quella discarica può entrare! Dobbiamo andare a trovare la Leggenda».

Mentre il generatore continuava a singhiozzare placido in un angolo dell’immenso capannone, i bambini si guardarono tra di loro. Dapprima stupiti, poi sorridenti. E infine allegri e gioiosi.

«Ci sto!», «Andiamo!», «Sì!», «Facciamolo!» si alzarono all’improvviso e all’unisono. Dopodiché la giovane banda, oramai perfettamente rientrata nelle regole magiche del gioco, cominciò a organizzarsi e a distribuirsi i compiti.

La città poteva anche scomparire, inghiottendo nelle sue viscere i loro amici come aveva fatto prima con i loro genitori e i loro fratelli, ma adesso i bambini avevano uno scopo, un obiettivo. Dovevano giocare.

Così, quando furono pronti, i Ragazzi del Palo uscirono dal capannone, a rischio della loro stessa vita, alla ricerca dell’unico bambino che avrebbe potuto aiutarli a entrare nel rifugio della banda avversaria delle Magliette Rosse, e permettergli così di riprendersi il loro totem.

Uscirono dal capannone e si avventurarono alla ricerca della Leggenda, il mitologico bambino che molti dicevano di avere visto e conosciuto ma che nessuno era riuscito a convincere a entrare nella propria banda. L’unico bambino che poteva entrare e uscire da ogni luogo senza che le telecamere lo riconoscessero e i droni lo incenerissero.

Le telecamere non potevano infatti riconoscere la Leggenda come estraneo, perché nell’immenso database del software dell’intelligenza artificiale che le guidava non c’era nemmeno una sua immagine, o un suo video. Neanche una.

La Leggenda era l’unico bambino della città i cui genitori non avevano mai postato una sua immagine da nessuna parte, in una chat o in un social network.

La Leggenda era l’unico essere umano rimasto libero.
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