Decodificare il presente, raccontare il futuro

VISIONI


mar 4 giugno 2019

SO WHAT?

Il cubicolo è piccolo, blu. Le pareti di plastica sono talmente lucide che riflettono il suo viso, il monitor, la luce azzurra dello schermo. Di fronte, di lato, di trequarti. Si vede moltiplicata all’infinito. Sempre virata al blu. Cos’è la realtà, ormai, se non una sequenza di intermediazioni affettive e percettive regolate dalla macchina?

Eccomi, sono uscito un attimo a fumare una sigaretta. Ci sei?
[Enrico 09,57]
Sì, ci sono.
[Samantha 10,01]
Non li sopporto più i miei colleghi, sempre a lamentarsi di tutto. E poi sono i primi a non fare le cose. Mi fanno arrabbiare tantissimo.
[Enrico 10,02]
Pensa che l’altro giorno Carlo è riuscito a inviare una mail riservata per il direttore commerciale all’intero indirizzario dell’ufficio, poi oggi si lamenta che la mia mail era senza allegato. Mi verrebbe voglia di tirargli un pugno a quello sfigato.
[Enrico 10,02]
Lol.
[Samantha 10,03]
Rientro dentro che se no chissà che dicono gli altri. Ci sentiamo stasera?
[Enrico 10,03]
Certo, molto volentieri. A dopo.
[Samantha 10,03]
Bacio.
[Enrico 10,04]
Il cubicolo è piccolo, blu. Le pareti di plastica vengono disinfettate a fondo ogni otto ore, quando cambiano i turni, e sono talmente lucide che riflettono il suo viso, il monitor, la luce azzurra dello schermo. Di fronte, di lato, di trequarti. Si vede moltiplicata all’infinito. Sempre virata al blu.
La sua sofferenza è moltiplicata all’infinito. In inglese “blu” vuol dire anche malinconia. Se lo ricorda per quel vecchio disco di Miles Davis.
Ora che il turno è appena iniziato, l’odore di candeggina e detersivo è nauseante. Chiara si stacca un attimo dalla tastiera, si allontana dalla piccola scrivania di plastica e si spinge all’indietro sulla sedia. Come se volesse prendere le distanze da tutto.
Si passa una mano tra i capelli, le dita s’intrecciano con i boccoli rossi. Nella testa cominciano a suonare le note del piano di Bill Evans, il contrabbasso di Paul Chambers, poi entrano tutti gli strumenti, è una piccola orchestra, fino alla tromba di Miles: acuta, struggente, colpisce dritta al cuore e lo lascia sanguinare.
So what? E allora? E allora siamo qui, anche oggi. Per l’ennesimo turno di lavoro, faticoso, inutile, inumano, sottopagato. È tutto quello che c’è. So what? E allora?
Chiara vaga con la mente, si alza e comincia a lievitare, incerta, vola oltre il suo cubicolo e tutto quello che vede sotto di lei è un'infinita distesa di cubicoli blu, tutti uguali, tutti piccolissimi, dove migliaia di uomini e donne, giovani e non più giovani, parlano in cuffia o digitano sul computer.
Biiip. Si ridesta, un altro messaggio. Deve cambiare di nuovo suoneria, questa ce l’ha da una sola settimana e già non la sopporta. Anzi, la odia proprio.
Ti è piaciuta la foto del cazzo?
[Giulio Cesare 10,56]
E adesso questo chi è? Cosa vuole? Chiara apre rapida il file “Giulio Cesare”: un meccanico di Tor Marancia, pieno di soldi, viscido da fare schifo. Però paga tutte le aggiunte e i contenuti premium dell’applicazione per mandare istantanee del suo membro, o del suo corpo scolpito dalla palestra, non sa cosa sia peggio, a tutte le donne con cui chatta. È un cliente di alta categoria, e come tale va trattato.
Hey, certo my boy, mi sono eccitata di brutto!
[Clarissa 10,59]
Di’ la verità piccolina, non l’hai mai visto un cazzo così, te lo sogni la notte
[Giulio Cesare 11,03]
Sei un porco, guarda che io sono una ragazza seria…
Occhiolino, occhiolino, risata con lacrime ripetuta cinque volte.
[Clarissa 11,04]
Se vieni qui in officina te lo faccio vedere dal vivo, me lo sto sbattendo su una Bmw coupé mentre ti penso
[Giulio Cesare 11,12]
Cristo, che schifo. Non ce la faccio più. Vediamo chi è Clarissa, va’.
Chiara apre sullo schermo il file “Clarissa”, una ragazzina postadolescente con i seni prosperosi in pose provocanti.
Ma come fa questo stronzo a pensare che una ragazza simile esista nella realtà? Soprattutto come può immaginare che voglia parlare con lui, addirittura vedere le sue parti intime? Il mondo è un posto davvero strano.
E così Chiara si arrende, cerca nel file di Clarissa alcune immagine osé, esplicite ma non troppo, per farsi questa sessione con Giulio Cesare, meccanico di Tor Marancia. Arrendersi è la cifra della sua generazione, alla fine. Forse di tutte le generazioni.
Chiara si è oramai resa conto che non è più nemmeno capace di desiderare qualcosa di diverso, è come se tutto quello che vuole sia in realtà deciso da qualcun altro.
Si sente agìta. C’è qualcuno, da qualche parte, che desidera al posto suo. Non è nemmeno più una questione di anticipare i suoi desideri, come quando all’inizio dell’era dei social network le apparivano le pubblicità in base a quello di cui stava chattando con le amiche. Poi di quello di cui aveva parlato a voce la sera prima. Poi addirittura di quello cui stava pensando.
Ora non più. Ora sembra che qualcuno, o qualcosa, le imponga di cosa avere bisogno. E la pubblicità diventa un sollievo, non è più una proposta, ma la risposta di cui avevi bisogno.
È una prigione trasparente e violentissima, da cui è impossibile evadere, la libertà. O così almeno chiamano oggi le fondamenta della società in cui viviamo: “libertà”.
Chiara si sposta di nuovo indietro con la sedia. È un gesto automatico, per prendere le distanze da quello che sta facendo. Lavora lì da pochi anni ma le sembra che tutta la sua esistenza sia concentrata in quel cubicolo blu. Non c’è mai stato un prima, un fuori.
Sono sempre stata qui.
Biiip. Eccolo, di nuovo. E adesso chi è? Ah, questo è Paolo, l’intellettuale. Quello che ci prova sciorinando titoli di libri invece che foto delle parti intime, che poi il livello di pornografia è lo stesso. Altrimenti non si sarebbe iscritto anche lui a DiceDate, l’app di incontri più diffusa al mondo prodotta da Shutter, la multinazionale della tecnologia che controlla il globo terracqueo.
Fibra ottica, banche dati, intelligenza artificiale, social network, turismo spaziale, Shutter si occupa di tutto. È il futuro. O meglio, è il vincolo del presente, la coercizione necessaria per arrivare al futuro.
Se Paolo non avesse gli stessi problemi di Giulio Cesare si troverebbe una compagna, un compagno, quello che vuole, nella vita reale. In una situazione reale. Non si metterebbe a usare DiceDate, la rivoluzionaria app di incontri che unisce le persone grazie a un tiro di dadi, con un lunga introduzione presa dal libro dell’I Ching, dove si spiega che la sorte è un atto consapevole, il risultato dei dadi una volontà.
Con Paolo le è già capitato di chattare qualche volta. Se non sbaglia, se non ricorda male, la ragazza con cui Paolo crede di parlare si chiama Elisa, modello di studiosa, “sapiosexual”, e sempre quel filo troppo carina per essere vera. Evidentemente fa parte del gioco. Quell’esitazione, quell’incertezza se tutto sia vero o meno. È questo lo stimolo principale, il grande successo di DiceDate.
Ma poi cos’è vero, e cosa no?
Lavorare dentro un cubicolo blu, otto ore al giorno, impersonando sempre ragazze diverse che parlano con emeriti sconosciuti, che nemmeno loro poi sai se sono reali o meno. Questo è vero? Uscire da lavoro e tornare a casa, in periferia, nell’appartamento che dividi con il tuo ragazzo che l’ha avuto in eredità dalla nonna, e adesso anche con due studentesse cui avete subaffittato la seconda stanza.
Perché il quartiere ora si è riempito di localini biologici e boutique di tendenza, i prezzi sono aumentati, dalle spese condominiali alla verdura al mercato, e quell’appartamentino tutto per noi non ce lo possiamo più permettere. E poi tanto il figlio non arriverà, nemmeno quello ci possiamo permettere. Allora tanto vale affittarla quella stanza, piuttosto che vederla vuota.
Chiara si tira un ricciolo lungo la guancia, sopra l’occhio.
E quindi che cos’è vero, e cosa no? Sono più reali i personaggi di DiceDate, tutti inventati, costruiti sulle proiezioni che hanno di loro i clienti, sui desideri che gli impone l’algoritmo per la dolce metà con cui credono di stare parlando. O è più reale la sua vita, che sembra un film neorealista, a proposito, ma non avrà alcun lieto fine e non vincerà mai l’Oscar?
Cos’è la realtà, oramai, se non una sequenza di intermediazioni affettive e percettive regolate dalla macchina? So what? La tromba di Miles Davis, il sax di John Coltrane.
Alla fine parlare con Paolo è facile, Elisa deve mostrarsi affascinata dalla sua media cultura nozionistica, ripetere a memoria qualche passo da qualche sito di arte, letteratura o filosofia, cercare velocemente su Wikipedia per sapere di cosa stia parlando quell’altro. Tutto qui. La conversazione termina in fretta.
Chiara si sgranchisce, alza le braccia dietro la schiena, allunga le gambe, quasi arriva a sfiorare le pareti del cubicolo blu. L’odore di detersivo e candeggina non si è attenuato, resta nauseante. Controlla sul suo telefono, se ha qualche messaggio.
Che differenza c’è tra la vita e il lavoro? Ci hanno preso tutto.
Biiip. Questa volta ha paura. Non è fastidio, è proprio spaventata, non sa perché. Controlla sullo schermo, si chiama Luca, è un nuovo cliente. Scorre velocemente i dati. Si è appena iscritto, ha scelto anche alcune delle opzioni a pagamento. In questo caso la procedura impone che qualcuno gli risponda, crei un personaggio che gli si adatti basandosi sul canovaccio offerto dalla macchina, poi l’algoritmo deciderà cosa fare di quella relazione virtuale. Se proseguire o estinguerla.
La ragazza che Luca ha scelto si chiama Sara, un bel tipo dai capelli rossi, particolare. Sembra quasi somigliarmi, pensa Chiara.
È più tranquilla invece per quel che riguarda le caratteristiche messe in mostra sugli scaffali delle relazioni virtuali, i soliti interessi, banali: musica, libri, viaggi, eccetera. Non dovrebbe essere difficile.
Chiara è autorizzata ad aprire un profilo, come si dice in gergo tecnico: a costruire sia la persona sia la storia che questa “persona” deve recitare, e che sempre lei o oltre ragazze o ragazzi, a seconda del turno di lavoro, porteranno avanti. Finché Shutter vorrà.
Ciao!
[Luca 13,12]
Ciao, Luca
Sorriso.
[Sara 13,12]
Ehm, sono di nuovo qui, non so bene cosa scrivere. Come va?
[Luca 13,13]
Haha
[Sara 13,14]
Sto bene, comunque, grazie. Anche io non passo molto tempo qui. Solo ogni tanto, per curiosità.
[Sara 13,16]
Ok. Senti, che fai di bello nella vita?
[Luca 13,19]
Lavoro in una libreria, ma ora sono in magazzino a inventariare, quindi in realtà ho più tempo per stare connessa.
Occhiolino.
[Sara 13,22]
Ah, bene, così se parliamo un po’ imparo come funziona questo dannato DiceDate. Sorriso.
[Luca 13,22]
Bravo, così una volta che hai imparato come funziona ti scolleghi da me e ti metti a chattare con un’altra.
Sorriso che piange, ripetuto quattro volte.
[Sara 13,23]
Ahahahahah.
[Luca 13,24]
La conversazione prosegue più liscia del solito, c’è empatia.
Chiara è contenta, si immedesima in Sara, saranno i capelli rossi, e comincia a sognare insieme a lei. Una nuova relazione, resettare, una nuova vita, ricominciare. Ripartire, alzarsi, lievitare e volare fuori dal quel cubicolo che la imprigiona. Ma non c’è nulla fuori da quel cubicolo, nulla. E lei lo sa.
Dopo qualche altra conversazione, alcune anche divertenti che le fanno trascorrere il tempo, Chiara vede un altro messaggio di Luca, sempre per Sara. Potrebbe lasciarlo a un collega, il sentiero è già tracciato, e comunque DiceDate attraverso l’algoritmo offre indicazioni in tempo reale su dove andare a parare. Potrebbero proseguire altri. Invece decide di prenderlo lei. Sente che c’è qualcosa, non saprebbe spiegare bene cosa, ma c’è. Anche se è spaventata.
Ci controllano. Stai attenta!
[Luca 15,20]
Chiara poggia le mani sulla scrivania di plastica blu. Fissa lo schermo, attonita. In sé la frase non vuole dire un bel nulla. E poi certo che «ci controllano». Lo sappiamo tutti, l’abbiamo sempre saputo.
Però sento qualcosa che non va, anche se non so dire bene cosa. Forse perché me l’aspettavo, forse è il modo in cui l’ha detto, non lo so.
Chiara guarda la piccola telecamera inserita nella cornice superiore del computer. È sempre accesa, lo sa, anche quando il computer è spento. Serve a controllarla, a monitorarla di continuo. Attraverso ogni device è sorvegliata sempre: al lavoro e per strada, a casa, anche quando dorme.
Ogni suo respiro, ogni suo battito, è registrato da qualche parte, finisce in un immenso server sperduto nei ghiacci della Lapponia o nei campi della Mongolia occidentale. Non è nemmeno più una questione di sicurezza, non ci controllano per punirci nel caso facciamo qualcosa che non è consentito. È controllo fine a se stesso, è paranoia come condizione esistenziale. Serve a disciplinarci, a pre-impostarci. Prima ancora che ci possiamo chiedere cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è legale e cosa non lo è, abbiamo già deciso di non agire. Non ne vale la pena.
Chiara si strofina le mani sulle cosce, lungo i pantaloni di tela, ha i palmi sudati. La conversazione stava proseguendo piacevole, il personaggio che stava recitando le piaceva. E all’improvviso Luca se ne è uscito così. È sconvolta. Anche perché c’è sempre qualcosa che non quadra. Forse è perché a lei questo Luca sembra di conoscerlo, davvero. In quella realtà che non saprebbe più dire quale sia.
Lo conosco, sì, ne sono sicura. Dimmi chi sei Luca, non giocare con me.
Ci controllano ovunque, qualsiasi cosa facciamo. Ma non ci spiano loro, ci fanno spiare tra noi. Tu sei qui per vigilare su di me me, io sono qui per sorvegliare te.
[Luca 15,31]
Va bene, capisco, è vero che i dispositivi che usiamo raccolgono i nostri dati, ma questi dati sono comunque troppi per significare qualcosa. E poi servono a costruire intelligenza artificiale, e altre robe del genere, mica a sapere cosa facciamo noi.
[Sara 15,33]
Cosa gli importa alla macchina cosa faccio?
[Sara 15,34]
Alla macchina importa tutto, la macchina ti sta divorando. Tu credi che l’intelligenza artificiale sia neutra? Che serva solo a costruire razzi missile con circuiti di mille valvole? E se invece servisse a costruire te?
[Luca 15,35]
In che senso, scusa? Non ti seguo.
[Sara 15,36]
Non ti è mai capitato di pensare che non stai pensando? Che qualcun altro sta pensando al posto tuo? Una volta sembrava che passassero minuti, o almeno secondi, da quando desideravi una nuova borsetta a quando la pubblicità della borsa che ti sarebbe piaciuta appariva sullo schermo del telefono o del computer.
[Luca 15,37]
Adesso invece sembra che appaia nello stesso istante in cui la desideri. O che qualcuno la stia desiderando per te.
[Luca 15,38]
Chiara si agita. Sembrano le sue parole di poco prima, i suoi pensieri di poco prima. Cosa sta succedendo? Più si agita e più il cubicolo blu si restringe, le pareti, il pavimento, sembrano chiudersi verso di lei. È in preda all’ansia, fatica a respirare, si torce un ricciolo fino a farsi male. Una ciocca di capelli rossi le rimane in mano.
Comincia a farsi mille domande. Chi è questo Luca? E con chi sta parlando? Con Sara o con lei? E perché le dice queste cose?
Perché mi dici le stesse cose che ho appena detto? Devo calmarmi, rischio di mettere la mia agitazione nel profilo di Sara e danneggiare il mio lavoro a DiceDate. Non posso permettermelo.
Il cubicolo si restringe, è sempre più blu. So what? Andiamo avanti, Freddie Freeloader, la seconda traccia dell’album Kind of blue di Miles Davis. Stavolta oltre alla tromba si sentono in primo piano i sassofoni di Adderley e Coltrane, poesia in si bemolle. È un blues, malinconico. Come il blu del cubicolo.
Stavo ascoltando un disco jazz, ti piace il jazz?
[Sara 15,52]
Non cambiare discorso, ti prego. Non c’è più tempo, siamo in pericolo. La macchina si è accorta che l’abbiamo scoperta.
[Luca 15,54]
Senti, Luca, è tutto a posto. Siamo qui per conoscerci e chiacchierare, mi sembra che tu stia un po’ esagerando. Forse è meglio se parliamo di musica, o di altro.
[Sara 15,56]
Sara, davvero. Non sto scherzando. Stanno venendo a prenderti! Devi alzarti e andartene, il prima possibile. Mi raccomando, però, muoviti con calma, come se nulla fosse successo
[Luca 15,57]
Scusami, ma non credo che questa conversazione possa proseguire in questi termini. Se vai avanti così sono costretta a bloccarti.
[Sara 16,02]
Luca?
[Sara 16,04]
Chiara scap pa via !
[Luca – ore 16,05]
“Chiara”? Mi ha chiamato “Chiara”, col mio vero nome. Cosa diavolo sta succedendo?
Si alza, per la prima volta da quando questa mattina è entrata al lavoro, per la prima volta da sempre, forse. Si guarda intorno. Non immagina più di volare oltre i cubicoli, pur senza mai vedere la fine. Si sente inghiottire dal suo. La plastica traslucida blu del pavimento le afferra le gambe e la trascina verso il basso, le pareti si chiudono su di lei. È in un vortice blu, che si restringe inesorabile. Cerca gli accordi di Miles Davis, per fuggire. Ma non li trova.
Poi si ridesta, all’improvviso.
Ora basta arrendermi, l’ho fatto per tutta la vita, ora devo scoprire la verità.
Luca ci sei?
[Chiara 16,17]
Ovviamente no, non è on-line. Ma lo è mai stato? Prima di trovare lavoro a DiceDate, Chiara era stata una hacker di buon livello. Stava anche in un collettivo, scrivevano libri, diffusi a gratis, per avvisare sui pericoli della macchina. Per interpretarla a livello politico, per prepararsi a combatterla, se e quando fosse stato necessario. Poi la macchina le aveva dato lavoro, a lei come ad altri, e avevano lasciato tutto.
Ora Chiara non saprebbe più hackerare nulla, la macchina si aggiorna sempre più rapida e lei è da troppo tempo fuori dal giro. Ma due trucchi ancora li conosce. Entrare nel server di DiceDate, nel caso anche di Shutter, trovare più informazioni possibili su questo Luca. Su di lui, su di lei.
Non essere la macchina, ma agire nella macchina. È questo l’unico modo di resistere.
Il sistema mi spia, controlla ogni mio movimento, costruisce ogni mio desiderio. Eppure ho ancora modo di fotterlo.
Chiara si mette a smanettare compulsiva sulla tastiera. Aggira, infrange codici, perché alcune regole possono essere eluse, altre infrante.
E tuttavia non trova nulla. Luca non esiste. So what?
È online.
Luca, ci sei?
[Sara 16,45]
Ci sono, Chiara. Ma è troppo tardi. Ti avevo detto di andartene, e tu invece sei rimasta.
[Luca 16,45]
Luca, cazzo, chi sei? Non appari in alcun database, non sei iscritto a DiceDate. E conosci il mio nome! Cosa diavolo sta succedendo?
[Sara 16,46]
Io sono te Chiara, io sono la parte di te che era ancora immune alla macchina. Abitavo nei meandri del tuo inconscio, tra quelle pulsioni e quei desideri che ancora non erano stati estratti e trasformati in dati. Ero riuscito a salire fino al livello conscio per avvisarti, ma non ho fatto in tempo. La macchina è troppo veloce.
[Luca 16,47]
Chi sta parlando, adesso? Sono io, o è la macchina? Io sono la macchina? Dove sono? Qui è tutto blu, non si vede nulla, qui è tutto silenzio, non si sente più nulla. Nemmeno Miles Davis.
Chiara oramai naviga in una densa melassa di plastica blu. Non riesce più a muoversi. È scomparso tutto. Chiara fluttua, per un tempo brevissimo che le sembra eterno. O forse è il contrario.
Apre gli occhi. La stanza è blu. Le pareti sono blu, il pavimento è blu. Ma non è plastica, è gomma, come quelle delle sale operatorie degli ospedali, come quelle delle sale di terapia intensiva. Chiara si sforza di tenere gli occhi aperti, non riesce. Non capisce. In lontananza sente una tromba che suona, malinconica. Forse è Miles Davis. Alcune voci, un chiacchiericcio distante. Sente dei nomi, «Sara, Luca… Luca! Luca, dove sei? Chi sei?»
Luca è un nome scritto sulla targhetta che penzola da un camice blu. È un dottore, è chino su di me, ha il viso dolce. Il camice è blu, la stanza è bianca. Luca fischietta, «Du du du du du du du du du», è Miles Davis. So what? Ecco da dove arrivava la musica. Mi sorride, sembra tranquillo. Sta parlando con qualcuno, è Sara, è la dottoressa, ha i capelli rossi. Ricci. Lei invece ha i tratti più induriti, sembra tesa, preoccupata.
Ha in mano una siringa, è pronto a farmi un’iniezione, mi farà male? Luca, Luca, mi senti? Non farmi male. Non sento più nulla. Non vedo nulla. Sento solo odore di candeggina e detersivo, fortissimo. Lo proietto su delle pareti traslucide di platica blu che riflettono all’infinito il mio corpo. Sul mio cubicolo, sulla mia disperazione.
Non farmi male. Luca parlotta con Sara. Eccolo, si avvicina di nuovo. Sta mettendo del liquido nella siringa, da una flebo. Sorride. C’è scritto qualcosa. Non sento nulla. Cosa c’è scritto? Leggo a fatica: Shutter. È il nome della medicina. Shutter. Sento l’ago penetrare nelle vene. Chiudo gli occhi. Non sento nulla. È tutto blu. So what? La tromba di Miles Davis, il sax di John Coltrane.
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