Decodificare il presente, raccontare il futuro

RECENSIONE


mar 19 maggio 2020

IL NOSTRO FUTURO SI SCRIVE IN CINA, “TRA DIECI MINUTI”

“Red Mirror” di Simone Pieranni indaga il capitalismo di sorveglianza cinese portandone a galla radici storiche e contraddizioni del presente. E a partire dalla Cina, dipana una riflessione urgente e globale sui dispositivi di controllo che stanno rimodellando le odierne società e mutando le esistenze di tutti noi. L’autore del libro, per dirla con Charlie Brooker, ci racconta «il nostro presente tra dieci minuti».

Di seguito pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore e degli Editori Laterza, che ringraziamo, un estratto da Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina di Simone Pieranni, uscito il 14 maggio in libreria.

È un libro che ci sembra potente e indispensabile, capace di indagare con raro acume il capitalismo di sorveglianza cinese – da WeChat, l’app delle app, alle avveniristiche smart city – portandone a galla radici storiche e contraddizioni del presente. È un libro che, a partire dalla Cina, dipana una riflessione urgente e globale sui dispositivi di controllo che stanno rimodellando le odierne società e mutando le esistenze di tutti noi. Per dirla con Charlie Brooker, il creatore di Black Mirror, Simone Pieranni ci racconta «il nostro presente tra dieci minuti». Buona lettura.

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1.1. Il mondo è dentro WeChat


Quando WeChat ha cominciato a diffondersi vivevo in Cina da cinque anni. Ricordo distintamente quando, con un certo stupore, gli stranieri residenti assistevano a uno spettacolo mai visto: i cinesi camminavano spediti parlando con lo smartphone, quasi appoggiandovi le labbra, come fosse una propaggine del mento. Mandavano messaggi vocali. Era il 2011. La comparsa di questa abitudine potrebbe segnare simbolicamente l’inizio dell’era WeChat in Cina.

Come tante altre cose che parevano assurde e che sono comparse per prime in Cina, i messaggi vocali sono diventati via via abituali anche in Occidente.

Inizia in quell’anno un periodo di grande cambiamento nel mondo della tecnologia cinese. Sappiamo che gli strumenti tecnologici che utilizziamo cambiano consuetudini personali, sociali, lavorative e nel caso del cellulare persino la nostra postura fisica (spalle leggermente curve, sguardo verso il basso). In Cina, il cambiamento avvenuto con l’avvento di WeChat ha modificato totalmente l’approccio alla rete e, di conseguenza, a poco a poco la vita quotidiana. Per esempio, ben presto sparirono le mail: Gmail non aveva alcun senso, non serviva a niente, se non a perdere tempo in attesa che le pagine si caricassero così lentamente da portare all’esasperazione.

Tutto ora passava su WeChat, che dimostrava di essere veloce, immediata, una scheggia. La superapp sostituì velocemente anche vecchie consuetudini con nuovi modi di relazionarsi. Ad esempio, un grande classico della Cina erano le business card: anche nel caso di attività piuttosto fantasiose e improbabili, era bene accreditarne l’esistenza con un biglietto da visita. E in Cina se ne possono stampare migliaia con pochi yuan di spesa. Anche gli stranieri imparavano in fretta: si riceveva il biglietto con due mani e lo si consegnava allo stesso modo. WeChat segnò la fine di un mondo: anche le business card sparirono. Divenne consuetudine, in sostituzione alle business card, scannerizzare Qrcode. E si cominciò a scannerizzare Qrcode ovunque e per ottenere qualsiasi cosa: per avere vantaggi, sconti o per partecipare a eventi. Si inaugurarono nuove danze sociali: avvicinare i cellulari e scannerizzarsi vicendevolmente i Qrcode, il modo per «connettersi».

Nuove abitudini e nuovi dilemmi: è più importante la persona che scansiona, o quella che si fa scansionare? Ma dopo tutto questo, arrivò il completamento del cambiamento in corso. E arrivò come fosse naturale, come se l’intero paese non aspettasse altro. A un certo punto fu possibile collegare il proprio account a un conto bancario cinese (ottenuto dagli occidentali grazie a non pochi equilibrismi burocratici nella fase iniziale di WeChat, mentre oggi è tutto più rapido, anche se esistono molte più limitazioni per gli stranieri) e finalmente poter comprare qualsiasi cosa con lo smartphone. Da quel giorno anche il portafoglio divenne inutile. Non serviva a niente.

Anche le carte di credito, per chi le possedeva, divennero inutili. WeChat lanciò la sfida ai cinesi su due concetti – il tempo e la velocità – trasformando una società clamorosamente dipendente da carta, timbri, passaggi burocratici in una società improvvisamente cashless e senza più la necessità di stampare e timbrare qualsiasi cosa. Ma, esattamente, cos’è WeChat?

Spiegarlo a un occidentale è complicato. Alcuni provano a descriverla così: WeChat, dicono, è l’«app delle app», contiene cioè al proprio interno quanto noi siamo abituati a utilizzare in maniera separata. Se vogliamo descriverla attraverso un paragone con il nostro mondo tecnologico, possiamo dire che è come un gigantesco contenitore che mette insieme Facebook, Instagram, Twitter, Uber, Deliveroo e tutte le app che utilizziamo. Si tratta di una spiegazione che ha una sua logica, ma non è completa. In primo luogo perché, ogni volta che si usa WeChat, si scoprono nuove funzioni appena sviluppate, nuovi utilizzi che si possono poi trasformare in nuove abitudini.

È ormai consuetudine, per esempio, prenotare visite mediche o pagare le tasse o le fatturazioni tramite WeChat; oppure incontrare, camminando per le strade delle metropoli cinesi, homeless che per ricevere l’elemosina mostrano ai passanti un cartello con un Qrcode. Anche l’elemosina, in Cina, oggi si fa via WeChat. Inoltre, se è vero che WeChat può anche essere descritta come una somma di app che noi già conosciamo e utilizziamo, contiene altresì una caratteristica davvero particolare rispetto alle nostre applicazioni: può essere utilizzata per pagare qualsiasi cosa.

Ogni account di WeChat è infatti collegato al conto bancario dell’utente e, attraverso la lettura dei vari Qrcode, è possibile comprare di tutto: da una corsa in taxi alla frutta in un negozio per strada, dai libri in uno store on-line allo snack postato – via WeChat – da un amico nella chat privata. Con WeChat si possono persino effettuare tutte le carte per il matrimonio. E anche divorziare: basta un tasto nell’applicazione per far partire le pratiche. WeChat sa tutto di chi la utilizza, conosce gli spostamenti tanto on line quanto off line, grazie alla possibilità di pagare in qualsiasi esercizio commerciale ed essere così «tracciati» anche quando si pensa di non essere nel cyberspazio. La superapp ha finito per creare una sorta di ecosistema all’interno del quale non serve altro, perché è capace di occuparsi di ogni aspetto della nostra vita quotidiana. In alcune città, il profilo WeChat si usa già come documento di identità. Tutto è dentro WeChat e questo significa che in Cina, se non hai «l’app delle app», sei completamente fuori dal mondo. Non scaricare WeChat è una vera e propria scelta di vita.

Chi prova a resistere ha un’esistenza infernale. Zhu, un’avvocata di Shanghai, ha raccontato al magazine «Sixth Tone» di aver deciso di vivere senza l’applicazione. A motivare questa sua scelta c’è la certezza che i suoi dati saranno raccolti e usati, e non utilizzare l’applicazione è per lei un modo «per salvare la propria dignità». Ogni volta che riceve un nuovo cliente, Zhu deve avvertirlo della sua scelta, perché si dà per scontato che tutti abbiano WeChat. Quando Zhu viaggia all’estero con i suoi colleghi, gli altri possono facilmente connettersi su WeChat usando il WiFi disponibile, «ma se vogliono parlare con lei devono sborsare soldi per chiamare o mandare messaggi». Perfino i suoi genitori hanno provato a farla tornare sui propri passi e farle scaricare l’applicazione. Questo accade perché quando parliamo di We-Chat non parliamo di una semplice app: dentro We-Chat si naviga, come fosse WeChat stessa la rete: esistono infatti i «mini- programmi» (come ad esempio quello del ristorante mongolo dove ho pranzato o quello del negozio di robot), ovvero mini-siti inseriti dentro l’app, all’interno dei quali si svolge ormai la vita di tutto quanto il sistema internet cinese. E i servizi continuano ad aumentare, così come le app.

Ecco un esempio semplice di mini programma: il corrispettivo Instagram cinese non è un’app tra le tante, ma si trova dentro WeChat. Sembra una cosa da poco. Ma non lo è, in un’economia che si basa ormai sullo sfruttamento dei Big Data.

WeChat si è evoluta in una sorta di sistema operativo all’interno del quale girano tutti i programmi. È una porta d’accesso per tutto quanto si può fare con uno smartphone in rete e off-line, capace di canalizzare un’enorme mole di dati e soldi in diversi modi: con la pubblicità, anche, ma il grosso delle entrate dipende dai gadget e dai giochi presenti nell’applicazione, da servizi premium per gli utenti e soprattutto dalla percentuale che prende su ogni pagamento. Non solo: la mole di dati che l’azienda possiede fornisce ai suoi clienti business (i produttori dei «mini-programmi») una customizzazione sempre più mirata dei propri utenti.

WeChat è diventata la memoria storica dei gusti, delle passioni, delle idee, delle inclinazioni, del potenziale di spesa di un miliardo di persone. E di tutti questi dati sa cosa farne.

>>> Qui I Diavoli intervistano l'autore del libro <<<

Simone Pieranni dal 2006 al 2014 ha vissuto in Cina, dove torna appena possibile. A Pechino ha fondato l’agenzia di stampa China Files e attualmente lavora a Roma al quotidiano «il manifesto». Tra le sue pubblicazioni: il romanzo Settantadue (Alegre 2016) nella collana “Quinto tipo” diretta da Wu Ming 1; Il nuovo sogno cinese (manifestolibri 2013); Cina globale (manifestolibri 2017); il podcast sulla Cina contemporanea Risciò (con Giada Messetti, Piano P 2017). Per Laterza è autore di Genova macaia (2017) e di Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina (2020)
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