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mer 21 luglio 2021

PETROLIO

“Accumulazione per spoliazione”, la chiama il geografo David Harvey. Interi continenti ridisegnati, dal punto di vista ambientale e umano, in nome dell’estrazione dell’oro nero. Prima che cominciasse a estinguersi il suo valore. Uomini, piante, animali, acqua, cielo e terra non lo rimpiangeranno.

Materia [matèria]. Dalla definizione on-line dell’enciclopedia Treccani: «nell’accezione più generica, ciò che costituisce tutti i corpi, la sostanza fisica che, assumendo forme diverse nello spazio, può essere oggetto di esperienza sensibile, ed è in generale concepita come esistente indipendentemente dalla coscienza individuale».

Oggi, il tempo per concepire le materie al di là della coscienza individuale e collettiva, volge al termine.



petrolio

Fiamme, fuoco, brucia, incendia, ustiona, sprigiona energia, emana potenza, muove il mondo che gli ruota intorno. L’umanità lo brama, lo venera. Per averlo è disposta a commettere le peggiori nefandezze, a uccidere i padri e sacrificare i figli. Nel suo nome si sono combattute guerre, deposte democrazie, imposte dittature, organizzati colpi di stato, decisi embarghi. L’umanità lo brama, lo venera, per lui si decima. È il petrolio. Liquido nero, denso, oleoso, fatale: forma del progresso, sostanza della modernità.

Oggi oltre il 90% del combustibile che muove l’umanità sopra e sotto la crosta terrestre deriva dal petrolio. Metano, propano, butano, nafta, benzina, cherosene, gasolio. Ci muoviamo a folle velocità come insetti impazziti, sospinti dal petrolio, dalla sua combustione. Oggi la maggior parte degli oggetti di cui ci circondiamo e con i quali stabiliamo la qualità della nostra vita deriva dal petrolio. Plastiche, gomme, fibre. Viviamo circondati nella sua condensazione, nei suoi polimeri non smaltibili, non riciclabili. Ne saremo sepolti.

Il petrolio è il segno del Novecento. Sostanza criminale, si fa elemento fondatore e costituzione materiale del secolo breve. Ma aveva iniziato a diffondersi prima: in ogni guerra, in ogni tragedia, dalla notte dei tempi, dal principio della civiltà. È il fuoco greco, o fuoco marino, la miscela esplosiva di cui narra Omero, l’arma micidiale che brucia per interi giorni e intere notti e non si spegne mai e serve ai troiani per «arder col fuoco vorace le navi medesime, e quivi fare sterminio di tutti gli Achei sgominati dal fumo» (Iliade, canto IX).

Fiamme, fuoco, brucia, incendia, ustiona, sprigiona energia, emana potenza, il petrolio è la sostanza che ha disegnato e imposto il sistema economico predatorio dell’Occidente nei confronti delle popolazioni del secondo e terzo mondo: Medio Oriente, Golfo Persico, Africa subsahariana, America Latina. “Accumulazione per spoliazione”, la chiama il geografo David Harvey. Interi continenti ridisegnati, dal punto di vista ambientale e umano, in nome dell’estrazione delle materie prime. Della materia prima.

«Ma non è buono a mangiare, ma sì da ardere, e buono da rogna e d’altre cose; e per tutta quella contrada non s’arde altr’olio», scriveva Marco Polo ne Il Milione. Anno domini 1298. There will we blood, titola il suo meraviglioso film sul sangue sparso dal e per il petrolio Paul Thomas Anderson. Anno domini 2007.

Da allora nulla è cambiato. Intere popolazioni annientate, interi territori devastati. Tutto per l’estrazione, la raffinazione, il trasporto dell’oro nero che da solo muove il primo mondo. La prima guerra del petrolio è nel 1932, oltre centomila vittime nello scontro tra compagnie petrolifere private che si nascondono dietro le sovranità di Bolivia e Paraguay. L’ultima è il conflitto siriano, esploso nel 2011 e ancora in corso, quattrocentomila morti e oltre undici milioni di profughi.


Nel mezzo in ordine sparso Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan, Israele, Libia, Egitto, Sudan, Nigeria, Bolivia, Venezuela. Il solo conflitto tra Iran e Iraq, agito per conto terzi, ha causato oltre quattro milioni di morti. I profughi non si riescono a contare. La sovranità non esiste, ogni paese è un accidente geografico, una necessità economica, una riga dritta tirata sulla mappa del mondo. Prima e dopo ancora le grandi invasioni occidentali e i grandi imperi coloniali, prima e dopo ancora dittature e satrapie di ogni colore politico e credo religioso imposte dal mercato, dalle multinazionali, dalle sette sorelle dell’industria petrolifera.

In una plumbea nebbiosa giornata padana, il 27 ottobre 1962, un contadino che lavora nelle campagne di Bascapè, provincia di Pavia, sente un boato, alza gli occhi al cielo e improvvisamente vede fiamme e fuoco. Esplode, brucia, s’incendia come una torre petrolifera il piccolo bimotore MS 760 partito lo stesso giorno dall’aeroporto di Catania con a bordo il presidente dell’Eni Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William McHale. Accordi con l’Unione Sovietica, con la Persia, con gli stati africani e mediorientali impregnati o prossimi alle lotte di indipendenza e decolonizzazione. Uno schiaffo ai padroni del petrolio, un dispetto ai padroni del mondo.

Le sette sorelle non gradiscono, Gladio e Stay Behind decretano, i servizi segreti deviati agiscono. Ci sono degli accordi di spartizione, ci sono delle clausole nel Piano Marshall. Bisogna ripristinare l’ordine, riprendere il controllo, “questo matrimonio non s’ha da fare”. Mattei esplode in volo, Pier Paolo Pasolini scriverà Petrolio. L’Italia resta il più fedele alleato degli Stati Uniti nel conflitto geopolitico, può continuare felice a produrre automobili, lavatrici, manifatture. A installare per la penisola raffinerie petrolifere che sfigurano l’ambiente, sfregiano i mari. Uccidono specie umane ed animali.

Fiamme, fuoco, brucia, incendia, ustiona, sprigiona energia, emana potenza, annienta la vita sul pianeta terra. I disastri ambientali provocati dal petrolio sono i peggiori del Novecento, i peggiori della storia dell’umanità. Deepwater Horizon, Nigeria, India, Libano, Francia, Pakistan, Cina, Oceania, Golfo Persico, Golfo del Messico, Isole Mauritius, per terra e per mare si riversano centinaia di migliaia di tonnellate di liquido nero, denso, oleoso, fatale: forma del progresso, sostanza della morte. Stermina il plancton, i microorganismi, i batteri che donano la vita. Penetra nei corpi, negli organi interni, di uomini e animali. Li deforma, li ammala, li uccide.

Fiamme, fuoco, brucia, incendia, ustiona, sprigiona energia, emana potenza e alla fine si fa impotente, scompare, si estingue. Vittima delle stesse guerre che ha scatenato, politiche e commerciali, reali e immaginarie, a un certo punto nel nuovo millennio il petrolio costa meno dell’involucro che lo contiene. Nuove sostanze si affacciano sulla storia, nuovi elementi muovono le sorti del pianeta, nuovi altari sono eretti dall’umanità. Il suo valore evapora, il prezzo del barile scende sotto lo zero. È un attimo, un momento, un errore del sistema, poi tutto torna come prima. O forse no. Il petrolio si è bruciato, la sua energia si è consumata, la fiamma si è spenta. Uomini, piante e animali, acqua, cielo e terra, non lo rimpiangeranno.
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