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VISIONI


gio 22 aprile 2021

LA VACCINATA

È necessario fare uno sforzo abnorme per ancorarsi alla lucidità e planare nello spazio sicuro che spinge al ragionamento. Il fantastico trio di esperti la traghetta a oltranza verso altro, è una lotta impari. Il modo di parlare e soprattutto il tono lascia spazio a un’unica certezza: quella di una comunicazione dissociata, poco rassicurante, robotica, anche se non è in grado di affermare se l’errore sia più involontario o criminale.

La diretta dell’Ema_European_Medicines_Agency appare come una scena di Amici miei in cui Tognazzi e i suoi sodali ordiscono un comefosseantani da guinness dei primati. Due ricercatrici e un ricercatore dai volti impenetrabili computano frasi degne del paradosso della tartaruga con sguardi vitrei e una traduzione simultanea che sembra rubata ad André Breton. Termini come «evidenza», «correlazione» e «rarissimo» fluttuano nella sala iper-illuminata da asettici neon senza trovare nella mente di chi ascolta alcun appiglio di comprensione. Un vuoto pneumatico avvolge il circuito cognitivo alla vana ricerca di un segno sintattico noto da poter processare. Ma si naviga a vista, in un nulla meccanico e privo di spontaneità.

La vaccinata si sforza di seguire con spirito di servizio e sacrificio scoprendo poche inutili informazioni, ad esempio che il Regno Unito non la considera più una donna giovane avendo superato i trent’anni. Per la legge dei grandi numeri è consapevole di non rientrare nemmeno nelle over60. È una vaccinata in un limbo statistico, anagrafico, parziale, oltraggioso, disarticolato.

Un vuoto pneumatico avvolge il circuito cognitivo alla vana ricerca di un segno sintattico noto da poter processare.

Mentre fuma una sigaretta la parola «trombosi celebrale» inizia ad assumere una forma meno indistinta. La percentuale è ridicola, quasi irrisoria e tuttavia impressiona nonostante i km di bugiardini mai letti, nonostante le centinaia di farmaci assunti, nonostante i ricordi di vaccinazioni infantili con una siringa a tre aghi che forse si chiamava trivalente. Aveva sei anni, il grembiule blu ed era in fila giocando con i compagni di scuola.

Con fatica cerca di riportare l’attenzione alla conferenza stampa popolata da collegamenti on-line di giovani donne – o forse non giovani secondo il Regno Unito – che con perizia e garbo rivolgono al triello di metafisici esperti i suoi stessi dubbi e le sue stesse riflessioni. Brave, pensa, ma inutili poiché il muro di gomma dell’Ema non si lascia penetrare. Si assiste a una serie di finte degne del mago del dribbling Stanley Matthews. Tornano alla mente maxiprocessi di mafia e serie tv sullo studio dei movimenti facciali involontari alla Lie to Me.

È necessario fare uno sforzo abnorme per ancorarsi alla lucidità e planare nello spazio sicuro che spinge al ragionamento. Il fantastico trio la traghetta a oltranza verso altro, è una lotta impari. Il modo di parlare e soprattutto il tono lascia spazio a un’unica certezza: quella di una comunicazione dissociata, poco rassicurante, robotica, anche se non è in grado di affermare se l’errore sia più involontario o più criminale. I tizi nella luce del neon, forse vecchi modelli rispetto a lei, continuano a pronunciare la parola «trombosi» come se significasse «armadio» o qualsiasi altro oggetto comune dalla valenza tutto sommato neutra e il collegamento dall’aldilà prosegue senza fornire numeri né appigli. Se non fosse quello che è, potrebbero sembrare pendolari che ammazzano il tempo con chiacchiere annoiate in attesa del loro convoglio. Alla fine chiosano con un motto da Settimo sigillo: «I benefici superano di gran lunga i rischi». Ok, pensa la vaccinata, vedendo già la stessa frase sparata in apertura dei tabloid e nelle sigle delle trasmissioni televisive.

Pochissimi casi su moltissimi milioni di persone, dunque, mentre il paese viaggia a una media di quattrocento vittime al giorno e la grande depressione – narrata con più o meno enfasi a seconda degli interessi – avanza.

È necessario fare uno sforzo abnorme per ancorarsi alla lucidità e planare nello spazio sicuro che spinge al ragionamento.

La vaccinata si chiede perché. Con distacco si ripete la cantilena sul nome sbagliato del farmaco, sui costi, sui Big Pharma. Tuttavia la comunicazione della paura a livello subliminale attacca le sinapsi di altre come lei e chat insospettabili di replicanti vaccinate, insegnanti o caregiver per cui vale la ottima definizione del governatore veneto che le vuole “autiste di estremamente fragili”, iniziano inesorabili a farsi sentire scandendo il mantra del «ma-tu-come-ti-senti». Lo spazio virtuale-collettivo viene popolato in fretta e assume proporzioni considerevoli. È soprattutto agito inneggiando alla scienza e sdrammatizzando con un velo di cinismo che contraddistingue una certa generazione di donne, per lo più precarie che hanno imparato a convivere con l’ignoto molto prima della pandemia e di questo vaccino dal nome mutevole.

Mentre la casistica elencata definisce un lasso temporale che oscilla dai sette ai quattordici giorni – per individui, prevalentemente donne, sotto i 50; e si consiglia di fare attenzione ad alcuni sintomi, tra cui cefalea, dispnea, e gonfiore – si crea una specie di cordone affettivo tra le replicanti vaccinate in maggioranza afflitte da cervicale e quindi più impressionabili dai dolori che coinvolgono collo e testa. Alcune si immortalano i piedi per capire se sono da ritenersi oggettivamente gonfi, altre fanno le scale di corsa o fumano per scongiurare la trombosi. Si ride molto, soprattutto pensando alla seconda dose, un toto scommesse esilarante i cui giri di basso sono degni della migliore darkwave.

Poi, d’improvviso, nella mente della vaccinata scorrono i fotogrammi di Blade Runner e il viso privo di scadenza di Rachael, per la quale i 7-14 giorni non saranno affatto fatali, si sovrappone a quello suo e delle sue compagne.

A ravvivare il parterre giunge infine il presidente del consiglio superiore di sanità con i suoi toni robotici che ricordano una hit di Camerini: anche lui dev’essere un modello di replicante ormai superato, che si profonde in dichiarazioni sibilline per raccomandare il vaccino all’intera popolazione over60, la stessa che già da parecchio covava un certo terrore per la somministrazione. Quindi anche l’Aifa dice la sua, cioè ripete la frase del giorno: «i benefici superano di gran lunga i rischi». Manca all’appello soltanto una televendita di pentole e la bici col cambio shimano in omaggio. Ma pazienza, non si può pretendere tutto. E nemmeno le statistiche, del resto, vanno incontro agli esperti: non confermano né smentiscono, in generale e rispetto agli esiti degli altri vaccini i cui casi avversi cominciano ugualmente a emergere.

Passano i giorni, anche il vaccino monodose che ispira più simpatia e fa pensare a soffici boccoli biondi viene bloccato per “sospette trombosi”. La risposta dell’Ema è ormai alla seconda ristampa e punta al disco di platino con il tormentone: «i benefici superano di gran lung…». Stop.

La vaccinata si chiede come inciderà tutto questo sulla campagna del suo paese. Chi finirà per morire e chi finirà per guadagnarci. Quali cittadini sceglieranno il pacchetto vacanza virus-free all’estero mentre i fragili e i vecchi forse rimarranno a crepare data l’imminente riapertura in cui il rischio maschio con o senza fischio viene detto calcolato.

Clic. Mentre spegne la tv, felice d’aver ricevuto la sua dose e di aver compiuto l’ennesimo passo sul tortuoso cammino della resistenza, si chiede quanto manchi alla trombosi che, essendone passati una decina, potrebbe colpirla entro i prossimi quattro giorni. 4, effigie algebrica di stabilità e completezza.
Poi si accende un’altra sigaretta e come tutte le Rachael confida nel difetto di vaccinazione. Forse anche lei è una replicante, senza scadenza e libera dal tempo.
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