Decodificare il presente, raccontare il futuro

MONITOR


ven 3 luglio 2020

LA FINANZA E LA LETTERATURA. INTRO ALLA NUOVA EDIZIONE DE “I DIAVOLI”

La finanza e la letteratura hanno in comune il tempo. Insieme alla politica, sono arti del possibile. La vita al trading floor non è altro che uno scontro con le variabili, con gli imprevisti da considerare e gli eventi che prendono una piega inattesa. Anche la letteratura sonda le eventualità, illuminando scorci di presenti alternativi e indicando orizzonti diversi.

Di seguito la nota introduttiva di Guido Maria Brera alla nuova edizione del suo romanzo best-seller I diavoli (tornato in tutte le librerie e negli store on-line con Rizzoli).

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Quando ho cominciato a scrivere questo romanzo, l’Occidente si misurava con gli effetti della più grande crisi finanziaria dal giovedì nero del 1929. La bolla dei mutui subprime, il great crash del 2008, l’apocalisse che aveva rischiato di ricacciare gli Stati Uniti all’età del baratto erano un monito a non insistere sulla strada percorsa. Da allora molte cose sono cambiate, eppure niente è cambiato davvero. Si potrebbe dire che l’origine del male di oggi sta nei rimedi ai mali di ieri e che i farmaci, a lungo andare, hanno avvelenato il corpo che volevano guarire.

La finanza e la letteratura hanno in comune il tempo. Insieme alla politica, sono arti del possibile. La vita al trading floor non è altro che uno scontro con le variabili, con gli imprevisti da considerare e gli eventi che prendono una piega inattesa. Stabilire ciò che potrebbe succedere, valutare scenari differenti, giocare in anticipo è la regola per gli uomini che movimentano i capitali sulle reti degli scambi mondiali. Anche la letteratura sonda le eventualità, illuminando scorci di presenti alternativi e indicando orizzonti diversi.

“La finanza e la letteratura hanno in comune il tempo.”

Nelle pagine di questo libro si racconta la guerra combattuta contro i debiti sovrani della periferia europea e contro la moneta unica del vecchio continente, e si racconta del farmaco impiegato per curare la patologia, quel Quantitative easing delle banche centrali – immissione di trilioni di cartamoneta nelle arterie di un sistema esangue – i cui effetti ambivalenti cominciamo a comprendere soltanto adesso. Alcuni dei fatti narrati nelle pieghe del verosimile alla fine sono accaduti.

La rabbia è esplosa nelle strade di Parigi assumendo il colorito itterico dei gilet gialli. La fragilità di un’antica banca italiana è stata l’epicentro di un terremoto devastante. Gli interventi dei banchieri centrali hanno mostrato la loro natura politica colmando il vuoto pneumatico lasciato dalle istituzioni. Lo spread è stato una parentesi che si è chiusa lasciando aperta la questione dell’endemica debolezza del nostro sistema bancario. L’Europa unita seguita a non esistere e nuove spinte, dall’Inghilterra della Brexit all’emergere del sovranismo internazionale, ne stanno minando le deboli fondamenta.
A ripensarci oggi, a guardarsi indietro, questi frammenti di futuro passato sembrano scandire l’età di un mutamento brusco e repentino, di un’accelerazione inarrestabile, di trasformazioni radicali. E invece sono solo le forme molteplici di una gattopardesca continuità. La finanza che ho cercato di restituire ha smesso di essere arte del possibile per diventare il più raffinato, pervasivo strumento di condizionamento delle vite, di manipolazione della realtà, di difesa dell’esistente, di congelamento del fluire di giorni, mesi, anni in un eterno presente.

Gli uomini che ne incarnano l’essenza sono diversi dai trader della vecchia scuola tutti bretelle, sigaro in bocca e banconota nella narice. La finanza non è neanche più quella frontiera selvaggia, lontana dalla legge e battuta da avventurieri pronti a tutto pur di alzare plusvalenze miliardarie. La stagione di Gordon Gekko, della New York reaganiana e del suo lato più show off: coca, donne, eccessi, big bluff e insider trading è preistoria.

I guardiani dell’esistente hanno eletto l’invisibilità a norma inderogabile, odiano gli eccessi, apprezzano il rigore, non sono devoti del profitto per il profitto, bensì della supremazia di un mondo e non violano la legge perché hanno dalla loro la forza per scriverla. Non sono neppure i “cattivi” in senso stretto. Fuori dalla logica manichea che oppone il bene al male ho cercato di restituire la complessità psicologica, i molteplici intenti e i controversi moventi, di quanti tessono i destini del pianeta Terra per scongiurare – dal loro punto di vista – il compiersi della catastrofe.

Ho chiamato questi monaci-guerrieri i Diavoli. Il loro universo è andato dilatandosi tra il web e la serialità televisiva, e così i personaggi del romanzo hanno vissuto molte vite, allontanandosi da me e dalle pagine che li avevano tenuti a battesimo. È stata un’ulteriore occasione per tornare a frugare nella scatola nera dei dispositivi di controllo e svelarne gli arcani, perché nella finanza siamo immersi tutti, come i pesci di quella storia raccontata da David Foster Wallace che non hanno consapevolezza dell’elemento che li circonda.

“Ho chiamato questi monaci-guerrieri i Diavoli.”
Dicono che le buone storie siano costruite sul periodo ipotetico della possibilità anche quando sono scritte al presente indicativo, che debbano confutare l’impressione retrospettiva di inevitabilità (non poteva andare se non così) e ricordare come il domani sia tutto da inventare. Altrimenti non sono buone storie, altrimenti sono solo gli imperativi di una realtà immutabile.

Per una vita ho cercato di stare un passo avanti al futuro, di misurare le incognite, di trovare l’attimo giusto; in queste pagine ho provato a ricordare che il futuro è solo di chi ha il coraggio per scriverlo.

Del resto, è sempre una questione di tempo. O di tempi. In finanza, come in letteratura.



La nuova edizione de I diavoli, il romanzo di Guido Maria Brera da cui è liberamente tratta la serie tv sky.
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