Decodificare il presente, raccontare il futuro

RECENSIONE


gio 6 gennaio 2022

C’È SEMPRE UNA CHANCE

Il quarto capitolo della serie culto del duo Whachowski conferma la loro incredibile capacità di trafiggere il presente e immaginare altri futuri. Benvenuti nell’inquietante neo-allegoria di “Matrix Resurrections”, benvenuti nell’odierno presente in cui il capitale ha riconfigurato la sua matrice estrattiva. Bentornati al bivio della scelta tra soccombere o ri(n)sorgere.

Sono passati sessant’anni dalla Guerra delle Macchine che si era conclusa con una pace rivelatasi una semplice tregua, anticamera di nuovi conflitti. Adesso Matrix si è rigenerata e ha elaborato inedite e più sofisticate strategie per ricominciare a sfruttare il genere umano. Mentre i vecchi sopravvissuti hanno riorganizzato – e affinato – una forma di resistenza perlopiù passiva, un manipolo di giovani leve con il mito di Neo, Trinity e Morpheus rinfocola lo scontro aperto. Ma quando entrambe le generazioni intravedono lo spiraglio per una nuova e universale riscossa, il fronte si ricompatta. Il fine è sempre lo stesso: la liberazione. Il mezzo anche: trovare l’Eletto, convincersi che esista.

Nel frattempo, altrove, un malinconico e triste designer di videogiochi è diventato suo malgrado l’idolo del settore, e macina premi di produzione circondato da un team di rampanti programmatori che ne sfruttano il talento creativo. Il suo nome è Thomas Anderson, segue una terapia per curare i suoi disturbi depressivi e si impasticca di pillole blu. Finché un giorno il suo inconscio si ribella e comincia a tirargli brutti scherzi attraverso allucinazioni che hanno l’acido sentore di déjà-vu.


A oltre vent’anni dall’uscita della prima pellicola, era il 1999, Matrix Resurrections (nelle sale italiane dal primo gennaio) è il quarto capitolo della serie culto del duo Whachowski. Decisamente e forse provocatoriamente non epico, imperfetto e fuori tempo massimo, il film conferma la loro incredibile capacità di trafiggere il presente e immaginare altri futuri.



In fondo ancora più in fondo, fino al cuore

«Un corpo umano genera più bioelettricità di una batteria da 120 volt, ed emette oltre sei milioni di calorie. Sfruttando contemporaneamente queste due fonti, le macchine si assicurarono a tempo indefinito tutta l’energia di cui avevano bisogno» racconta Morpheus a Neo nel primo Matrix. Adesso le macchine hanno processato una nuova intuizione: non solo da un singolo corpo umano, ma dalla chimica che si genera tra due corpi, dal loro amore possono ottenere ancora più energia, possono estrarre ancora più valore. L’Architetto si è tramutato nell’Analista (sintesi emblematica tra un terapista e un data-analyst), e scandagliando i sentimenti di Neo e Trinity ha trovato la chiave di volta per rimporre il controllo sulle menti imprigionate e mettere a profitto il suo dominio.

Benvenuti nell’inquietante neo-allegoria di Resurrections, benvenuti nell’odierno presente in cui il capitale ha riconfigurato la sua matrice estrattiva. Se in principio erano frotte di soldati e operai, ora sono le schiere degli iper-connessi. Dopo il corpo e la mente, il capitalismo ha scovato l’ennesima frontiera di colonizzazione ed estrazione del valore: le emozioni umane. Gli algoritmi dei social, delle app e dei motori di ricerca computano desideri e inclinazioni per profilare milioni di potenziali consumatori e rivendere i loro dati fatturando miliardi e non restituendo indietro un solo centesimo.


Intellig(h)enz(i)a artificiale

Ma ogni sistema, anche il più perfetto, presenta le sue anomalie, ribolle di contraddizioni. È così dai tempi del primo Matrix, è così da quando l’Oracolo, il Merovingio e l’agente Smith, mossi da cortocircuiti diversi, agiscono ai confini della legge. Ed è così anche in Resurrections, ma stavolta con un ulteriore upgrade dell’anomalia: alcune macchine hanno sovvertito il loro ruolo e si sono apertamente alleate con gli esseri umani.

Programmi liberati ed estratti dalla “realtà” digitale, li chiamano «simbionti» e sono dotati di una propria “fisicità” e autonomia intellettiva anche nel mondo reale. Rappresentano una sorta d’intelligenza artificiale e combattono a fianco del genere umano fuori e dentro la virtualità che imprigiona corpo e mente. L’Analista ha fatto male i suoi conti, sottovalutando la possibilità che l’intelligenza tecno-scientifica e la coscienza sensibile potessero tornare a convergere e tramutarsi in un formidabile strumento di liberazione.


Il tramonto dell’epos, l’aderenza alla squallida “realtà”

«Prima almeno avevamo l’arte» proclama un Merovingio ormai epurato dal sistema e ricoperto di stracci, più simile a un vecchio clochard che non all’elegante contrabbandiere che ostentava irresistibile charme nel secondo capitolo della serie. E Smith, l’ex agente che faceva del terrore la sua cifra stilistica per esprimere potere e controllo, ricompare adesso nei panni di un sardonico businessman, come anche l’Architetto che da gelido demiurgo si è trasformato in uno psicoterapeuta hipster e perfettamente in linea con il minimalismo estetico del suo studio.

Se prima erano spietati e algidi antagonisti, ora risultano essere delle autoironiche e beffarde caricature di loro stessi, una riproposizione altrettanto cinica ma deprivata delle originarie caratteristiche affettate e brutali. In Resurrections non pare esserci più spazio per l’epos, e pur mantenendo una certa spettacolarità negli effetti speciali i magniloquenti scenari della vecchia trilogia sembrano essersi appiattiti su qualcosa di disincantato e minimale, decisamente meno evocativo e goffo nel decollare.

È possibile ricondurre tutto questo a un fisiologico esaurimento della vena creativa che aveva animato il precedente universo di Matrix, certo. Oppure, scavando nell’inconscio politico dell’opera e al tempo stesso tracciandone i molteplici indizi di cui è disseminata (le battute che gli antagonisti riservano a loro stessi scivolando nella meta-narrazione; la propensione nostalgica dei sopravvissuti a inseguire le imprese del passato per ispirarne di nuove; il team di programmatori e designer che asfissiano e plagiano il signor Anderson allo scopo di controllarlo e vampirizzarne le risorse), è possibile che le Wachowski abbiano voluto lanciare un ultimo strale avvelenato, come ad ammonirsi (e ammonirci) sull’emblematica insufficienza mitopoietica d’immaginare – e raccontare – qualcosa di suggestivo e svincolato dalla ragione meramente speculativa, come ad ammonirsi (e ammonirci) sulla sintomatica tendenza ad aderire alla squallida “realtà”.


E tuttavia…

Come acutamente osserva il filoso e giornalista Roberto Ciccarelli in un post:
Matrix Resurrections è il risvolto dell’immaginario della disperazione (sarcastica) di Don’t Look Up che ha messo in scena il detto annichilente “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. È un meta-film filosofico, imperfetto e imponente nel suo barocchismo tecnologico. Contesta sia l’idea della fine sia quella di realtà totalitaria per cui la fine “di un” mondo coincide con la fine di “tutto” il mondo. In più, ed è l’elemento più importante, Matrix Resurrections ragiona ossessivamente sulla liberazione e sulle sue condizioni di possibilità. Ora il conflitto si è spostato più decisamente dalla virtualità totalitaria che ingloba la realtà (cioè Matrix, allegoria del capitalismo digitale) alla psiche di Neo che combatte con il suo doppio capitalista e le proiezioni che la disciplinano e la intossicano portandolo sull’orlo del suicidio. Matrix è sempre un film sul lavoro. Una critica delle conseguenze devastanti dell’imperativo della produzione.

A differenza dei precedenti capitoli che facevano dell’immaginario fantascientifico un’allegoria predittiva di un tetro avvenire e delle lotte per scongiurarlo, Resurrections appare decisamente più calato nell’oggi, come se il futuro fosse franato nel presente assottigliando le possibilità d’immaginare un domani diverso da quello che sembra già scritto. A differenza dei precedenti capitoli, come scrive Ciccarelli, la coralità di conflitti e personaggi che prendono parte alle battaglie sembra essersi ristretta alla soggettività del singolo, a dei protagonisti ammansiti e depressi (Neo, è ancora vivo? E Trinity?), persi – o forse nascosti – nei meandri della matrice e che devono ripartire da sé stessi prima di tornare a partecipare alle lotte di liberazione collettive.


E tuttavia in Matrix si combatte ancora. All’Analista che tronfio afferma «resterete un’altra volta soli perché alle masse piace la disperazione, si sentono al sicuro nella disciplina delle emozioni che è più redditizia del controllo dei fatti, a noi consegnano un’immensa energia in cambio della sicurezza», verrà replicato insieme a un calcio rotante in pieno volto che «c’è sempre una chance».

La duplicità della lettura (cristologico-marxista) che attraversa i tre capitoli e conclude il quarto sancisce che Matrix dopo essere stata sconfitta è risorta, che il capitalismo nel momento stesso in cui raggiunge il game-over sfrutta lo stesso collasso sistemico per rigenerarsi e riammodernare le sue tecniche di controllo e sfruttamento. E, rovescio della medaglia, che al genere umano resta ancora e sempre di battersi per una sua Resurrezione.
#matrix resurrections#whachowskis#neo#trinity#morpheus#capitalismo di sorveglianza

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