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mer 12 febbraio 2020

AMERICANA - PRIMARIE: Il minatore di Harlan County e il declino dell'Occidente

Tre anziani maschi bianchi, in guerra tra di loro, provano a convincere militanti e iscritti ai Democrats di essere ciascuno l’unico in grado di spodestare il presidente uscente, il prossimo 3 novembre. Il minatore di Harlan County, dal cuore dell'America profonda, li guarda scettico. O forse non li guarda neppure. E Donald Trump, gongola.

Il minatore di Harlan County, Kentucky, nel cuore dei monti Appalachi, una delle zone più depresse del Paese, vota conservatore. Lo scriveva dieci anni fa Sandro Portelli in America Profonda. Prima dell’exploit sovranista di Donald Trump e di tutte le dotte analisi sulla rust belt e sulla risposta reazionaria alla crisi di accumulazione del capitale.
Oggi, seduto su un tronco di legno circondato da abeti rossi, mentre volge lo sguardo a ovest, in quelle immense pianure dove una volta si correva a inseguire l’oro e la felicità, il minatore non ha cambiato idea. Dalla sua posizione privilegiata, non certo economicamente, vede l’Iowa il Nevada e la South Carolina, alle sue spalle il New Hampshire, e il circo di apertura dei caucus e delle primarie democratiche.
Tre anziani maschi bianchi, in guerra tra di loro, provano a convincere militanti e iscritti ai Democrats di essere ciascuno l’unico in grado di spodestare il presidente uscente, il prossimo 3 novembre.

Certo c’è anche una donna, la senatrice Elizabeth Warren, finora in grosse difficoltà. E un giovane, il sindaco di una minuscola cittadina dell’Indiana, Pete Buttigieg, arrivato secondo sia in Iowa che in New Hampshire. Ma loro non hanno alcuna possibilità.

La battaglia è tutta tra il 77enne moderato Joe Biden e il 78enne radicale Bernie Sanders, finora in testa nei due stati in cui si è votato. Aspettando che, per il Super Tuesday, entri in gioco anche il 77enne miliardario Michael Bloomberg.

Tre vecchietti che invece di sfidarsi a carte in un’osteria si affrontano per guidare quello che una volta era il paese più potente del mondo. Non è un paese per giovani. È una terribile pulsione di morte.

Rappresentazione più plastica del declino occidentale è impossibile da trovare.

Certo, i candidati sono molto diversi tra loro. Joe Biden, una vita segnata da lutti e tragedie personali, sette volte senatore e due volte vicepresidente con Obama, raffigura la continuità e la moderazione. Quella che, Germania esclusa, nel mondo fa scappare gli elettori. Tranne i suoi coetanei che, a leggere i dispacci di oltreoceano, riempiono i suoi comizi e lo sostengono più per dovere che per entusiasmo.

È la scelta del partito. Non disturba e non mette in disordine. Crede nell’Obamacare e non si strugge per il cambiamento climatico. Come i suoi predecessori democratici, da Clinton a Obama, sostiene che in nome dei diritti umani l’esercito americano debba presidiare il mondo intero. Fino a poco tempo fa era considerato il vincitore annunciato – e auspicato – in tutti i sondaggi, le previsioni e i documenti dei think tank progressisti e conservatori.

Poi qualcosa è cambiato. Per tutto il mese di gennaio Donald Trump ha smesso di twittare compulsivamente contro Biden, e ha cominciato a twittare compulsivamente contro Sanders.
Uncle Bernie, senatore indipendente, fuori dall’establishment del partito e dei salotti più o meno buoni, è un socialista. Propone una rivoluzione semiotica come nessuno prima ha osato fare nella terra del diritto individuale sancito dalla costituzione. Sanità e istruzione pubblica, limitazione delle armi da fuoco e tassazione dei ricchi, attacco a testa bassa contro i giganti monopolisti delle big tech e difesa dell’ambiente e del pianeta con ogni mezzo necessario. Una cosa oscena, mai vista.

Un programma rivoluzionario che, come ha fatto Jeremy Corbyn nel Regno Unito, gli ha permesso di restituire speranza a diverse generazioni di giovani e giovanissimi, riavvicinare alla politica orde di disillusi, creare un’onda d’urto gigantesca di sostenitori e militanti. È forse l’unico che potrebbe parlare con il minatore di Harlan County, Kentucky, nel cuore dei monti Appalachi. Se solo i Democrats glielo permettessero.

Il problema è che il suo programma radicale, come quello presentato due mesi fa dal suo omologo inglese, non spaventa solo gli avversari. Ma ancora di più l’ala moderata del suo stesso partito.

E come nel Regno Unito i media progressisti e il Labour Party hanno passato mesi a convincere Andy Capp che il suo nemico era Jeremy Corbyn, così negli Stati Uniti i media liberal e il Democratic Party non fanno altro che raccontare al minatore di Harlan County che il suo nemico è Bernie Sanders.

Come Corbyn, anche Bernie Sanders sarà ucciso da fuoco amico.
Il convitato di pietra di questo primo giro delle primarie è Michael Bloomberg. Miliardario, imperatore delle telecomunicazioni, ex sindaco della New York post 11 settembre, un passaggio tra i Republicans per sostenere Bush prima di tornare tra i Democratici, scenderà in campo il 3 marzo nel Super Tuesday durante cui si voterà in quindici stati. Tra cui la California, che da sola elegge il dieci per cento dei delegati alla Convention di Milwaukee del 13 luglio.

Quattordicesima persona più ricca del mondo, con un patrimonio stimato in poco meno di 60 miliardi di dollari, ha già speso solo in pubblicità elettorale 275 milioni, più degli altri cinque candidati di cui sopra messi insieme, di cui 11 milioni solo per un annuncio durante il Super Bowl.

È sceso in campo letteralmente per fottere Sanders, spaventato da una possibile virata a sinistra del partito. Ma è ovvio che con il suo programma ultraliberista potrebbe fare più male a Biden e polarizzare ancora di più lo scontro interno.
E mentre immaginiamo una giovane donna, ispanica o afroamericana, camminare lungo il Sunset Boulevard reggendo in mano i poderosi tomi del Tramonto dell’Occidente di Spengler, così ben rappresentato dalle fotografie dei corpi disfatti di Biden, Sanders e Bloomberg, non resta che un unico colpo di scena nel film delle primarie.

Hollywood si è finalmente accorta del nuovo cinema coreano, ma gli sceneggiatori della politica a stelle e strisce, come quelli di Boris, ripetono sempre lo stesso identico copione. Quando sarà fatto fuori Bernie Sanders? Durante la corsa alla candidatura o una volta che sarà acclamato sfidante?

Il colpevole lo conosciamo già: è il Partito Democratico. La pellicola è già stata proiettata, in anteprima nel Regno Unito, pochi mesi fa: è la guerra che viene.

Oggi nello Iowa e nel New Hampshire, dove ha vinto Sanders, domani in Nevada e South Carolina, dove vincerà Biden. Tra un mese in California e in un’altra dozzina di Stati, dove si scopriranno le carte di Bloomberg. Tre anziani uomini si danno battaglia e il mondo li guarda perplesso.

Il minatore di Harlan County, Kentucky, nel cuore dei monti Appalachi, li guarda scettico. O forse non li guarda neppure. E Donald Trump, liberatosi con estrema facilità anche di quell’assurda e ridicola richiesta di impeachment, gongola. L’America Profonda è cosa sua.

Il maschio bianco americano è lui: Donald Trump, minatore di Harlan County.
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