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lun 7 novembre 2016

BANNON & CO.: IL FASCISMO D’AMERICA OLTRE DONALD TRUMP

Viaggio tra i personaggi dell’Alt-right che sostengono il tycoon repubblicano. Il sentimento ultranazionalista, xenofobo e misogino risvegliato da Trump non scomparirà con la campagna elettorale USA2016, perché grazie a lui l’odio è diventato mainstream e la propaganda per la «supremazia dei bianchi» è uscita dai circoli di estrema destra e dalle colonne di “Breitbart News” per arrivare in diretta tv. Che Trump non si dissoci pubblicamente poco importa, perché il processo di istituzionalizzazione della retorica islamofoba, misogina e anti-immigrati è già stato avviato

«Trump è l’antisistema. Riuscirebbe a fare quello che nessuna crisi ha fatto: accelerare il collasso. Ci consegnerebbe all’ignoto. Sarebbero gli Stati Uniti dei cowboys, come i fratelli Bundy». Da Elezioni Usa, il male minore — Il Tredicesimo piano
Se volete esplorare un «paradiso per persone che pensano che Fox News sia troppo garbata e contenuta» (la definizione è di “Bloomberg”), ecco: questo è il pezzo giusto per scoprire che non c’è limite al populismo di destra in salsa statunitense. E il sentimento ultranazionalista, xenofobo e misogino risvegliato da Donald Trump non scomparirà con la campagna elettorale USA2016 (qui lo speciale de “i Diavoli”). Perché il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti (diventato presidente l’8 novembre 2016) ne ha legittimato le istanze: ha fatto sì che l’odio diventasse mainstream. Come ha scritto Nicholas Mirzoeff della “New York University”, la forza aggregante di Trump consiste nel fatto che in lui i meccanismi della real-tv si saldano con i social network.
Iniziamo il nostro viaggio nel nuovo fascismo d’America.

Tappa n. 1: Steve Bannon, «l’egomaniaco» che voleva distruggere il GOP (e la sinistra)

Si parte da quello che è diventato il megafono trumpiano, ovvero “Breitbart News”, sito di estrema destra fondato nel 2007 da Andrew Breitbart, che sfoggia testi a esplicito contenuto «misogino, xenofobo e razzista», come ha fatto notare senza mezze misure persino il “New York Times”. Si arriva proprio a Trump, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Il trait d’union porta il nome di Stephen Bannon, detto Steve, direttore esecutivo di “Breitbart News” e da agosto a capo della campagna di Trump.
Tra le righe di un lungo profilo a lui dedicato su “The Guardian” si legge: «Egomaniaco», «machiavellico», «un uomo riassunto in tre parole: “paura e bullismo”». Sessantadue anni, un MBA ad Harvard, un passato da banchiere per Goldman Sachs, Bannon è un predicatore d’odio doc, de facto autoproclamatosi così: «Penso che l’odio sia una buona cosa. Questo Paese è in crisi. Se combatti per salvare questo Paese, se lotti per riportarlo indietro, non sarà tutto sole e patrioti. Si tratterà di gente che vuole combattere» (le parole sono del 2013, come riportato qui). Ha due missioni: distruggere la sinistra e smantellare l’establishment del “Grand Old Party” (qui il focus de “i Diavoli” sul GOP). La sua retorica è incendiaria, volta a denigrare tanto i democratici quanto i conservatori “moralisti”.
Unitosi a Trump nella battaglia contro i Tea Party, considerati troppo “bacchettoni” (ma sostenuti in passato), Bannon ha girato un film contro il movimento “Occupy Wall Street”, uscito poco prima delle elezioni del 2012. I commenti di allora, riportati da “The Atlantic”, rappresentano la misura del suo disprezzo per i progressisti: «Quando hai finito di guardare il film, vuoi andare a farti una doccia calda. Vuoi andare a casa e fare una doccia perché hai appena trascorso un’ora e quindici minuti tra le persone più sporche che si siano mai viste».
Il registro era più o meno uguale anche quando, nel 2010, ha liquidato il movimento femminista come un «mucchio di lesbiche», durante la promozione del suo film “Fire from the Heartland”, sul «risveglio della donna conservatrice». Nel 2013, in occasione di un raduno di conservatori a Washington ha illustrato la sua roadmappopulista e anti-sistema: «Non crediamo che [negli Stati Uniti] ci sia un partito conservatore che funziona, di certo non lo è il partito repubblicano. [Il GOP, ndr] deve diventare un movimento populista di centrodestra, violentemente anti-establishment, pronto a smantellare sia il progressismo di sinistra che il partito repubblicano istituzionale».
Tre anni dopo, nel 2016, Donald Trump è il prescelto dal GOPnella corsa alla Casa Bianca e Bannon ha conquistato il ruolo di burattinaio della campagna elettorale. Proprio lui che dice di non volere nulla a che fare con i media mainstream, visto che persino “Fox news” sarebbe da considerarsi «altamente inaffidabile» – riporta “The New Yorker” –  soprattutto in riferimento alla causa nazionalista che gli sta tanto a cuore.
La nomina di Bannon ha segnato un cambio di passo: la propaganda per la «supremazia» dei «nazionalisti bianchi» è uscita dai circoli di estrema destra e dalle colonne di “Breitbart News” per arrivare in diretta in prima serata sulle tv americane e mondiali. Come scrive “Mother Jones”, (dopo un’inchiesta durata tre mesi insieme all’Investigative Fund), tutto ciò che i media negli ultimi mesi hanno presentato come semplici gaffe di Trump, in realtà negli ambienti di estrema destra è stato interpretato come un segnale di endorsement da parte del magnate repubblicano nei loro confronti. Un tacito sostegno – s’intende – perché dall’ufficio comunicazione del candidato del GOP non è mai arrivato nessun commento.
Che Trump vinca o perda e non si dissoci pubblicamente poco importa, perché il processo di istituzionalizzazione della retorica islamofoba, misogina e anti-immigrati è già stato avviato almeno un anno prima della nomina di Bannon a campaign chief di Trump. A settembre 2015, infatti, dalle colonne di “Breitbart News”, detta anche la «Pravda di Trump», era partita l’operazione “megafono” con titoli del tipo: «Donald Trump: il candidato dei nostri tempi» e «Venti motivi perché ci sia Donald Trump nel 2016».
La creatura-Trump si serve di un linguaggio ridotto all’osso, che semplifica concetti complessi come la globalizzazione, la stagnazione dei salari, l’immigrazione, la disoccupazione, e li traduce in messaggi immediati. La velocità, il senso di urgenza, l’appiglio pop ne connotano il successo sui social network e in tv, e ne hanno finora accompagnato la scalata nei sondaggi. L’uso costante dell’aggettivo possessivo «nostro» va in tandem con parole come «trasparenza» e «correttezza», salvo poi sbattere nella piattaforma repubblicana contro i riferimenti agli alieni e a dubbie teorie contro l’immigrazione. Il vecchio GOP è morto, giurano alcuni. Ma la colpa, dicono altri, non è solo di Trump.
Da Dov’eri quando Donald Trump ha ucciso il partito repubblicano?

Tappa n. 2: Richard Spencer, il “Karl Marx dell’Alt-Right”

A novembre 2015, il tycoon ha ritwittato un grafico che illustrava le statistiche sugli omicidi: stando a quei dati, l’81 per cento dei delitti a danno di uomini bianchi avviene per mano di neri. Falso. La fonte, come ricostruito qui e qui, era un Twitter feed che sposa la causa della supremazia bianca. Circa due mesi dopo, esattamente il 22 gennaio 2016, sempre dall’account @realDonaldTrump è stato rilanciato un tweet di @WhiteGenocideTM con la foto di un uomo che regge un cartello di cartone con la scritta “Vota Trump”.
Nella lista dei numerosi supporter che citano quest’adesione non proprio celata del magnate alle narrazioni populiste di estrema destra compare anche il nome di Richard Spencer, che si autodefinisce il “Karl Marx dell’Alt-Right”, ovvero la destra alternativa così ribattezzata da Spencer stesso nel 2010, di stampo neonazista e apertamente razzista, che inneggia alla supremazia bianca, denigra i neri, i musulmani, gli ebrei e le donne, come raccontato in un lungo reportage di Luke O’ Brien su “Huffington Post”.
«Siamo davanti a un passaggio epocale, ma credo che non te ne sei accorto. L’alternanza tra democratici e repubblicani sta per saltare. Anzi, è già saltata. Il centrismo è finito in Europa, ora non incanta più neanche l’America. I democratici ci hanno spinto su posizioni folkloristiche, si sono impadroniti dei dispositivi di controllo, hanno preso la cultura liberale mollando i lavoratori. Ai repubblicani sono rimaste le posizioni sovraniste, identitarie, antistoriche. E non riescono più a essere partner affidabili dei soggetti dominanti. Ma al tempo stesso” conclude Derek “i democratici hanno perso presa sui giovani americani…” E indica il ragazzone che si è alzato e agita un pugno festoso verso lo schermo con la faccia di Trump».
Da Elezioni Usa, il male minore — Il Tredicesimo piano
I primi di ottobre Trump è finito nella bufera per un vecchio video in cui si abbandona a commenti sessisti, poi approdato sul “Washington Post”. In quel caso Spencer non ha perso tempo e in un podcast si è preso gioco dei «puritani» che criticavano le uscite misogine del magnate. La tesi del neofascista, riportata anche da “Rolling Stone”,  è la seguente: «A un certo punto è nell’anima di ogni donna: vuole essere presa da un uomo forte». E ancora: «È davvero la cosa peggiore che abbiate mai sentito? In un certo senso, [Trump] è il donnaiolo più gentile di tutti i tempi».
Ai suoi 20 mila follower, Spencer ha apertamente spacciato le teorie cospirazioniste snocciolate da Trump come quelle di un candidato di rottura, perché – ha scritto il 13 ottobre – «i limiti sono caduti, sta diventando radicale. Non abbiamo mai visto nessun importante uomo politico del dopoguerra parlare in questo modo». Il giorno dopo ha aggiunto: «Non importa cosa succede, sarò profondamente grato a Donald Trump per il resto della mia vita».
Spencer, che non ha nemmeno quarant’anni compiuti, è l’uomo che vuole «qualcosa di eroico», «non definito dal liberalismo o da norme borghesi» e che crede nella razza, considerata «il fondamento dell’identità». Sulla sua timeline di Twitter, si sprecano i commenti che descrivono le donne come incapaci per la politica estera, piene di «spirito di vendetta», e – come riportato qui – segretamente «desiderose di maschi alpha».

Tappa n. 3: Milo Yiannopolous, il gay anti-femminista che adora il «paparino» Donald

La galassia trumpiana si fregia anche di un maschio alpha gay, di nome Milo Yiannopoulos. Di origini greche e madre ebrea, cresciuto in Inghilterra, a 32 anni è il rappresentante tech friendlydella destra alternativa pro-Trump per le sue posizioni anti-femministe, votate a smantellare quella che definisce la sinistra «retrograda» [letteralmente “regressiva” in contrasto con progressista, ndr]. Cura la sezione “Tecnologia” di “Breitbart News” e ama chiamare il tycoon repubblicano «paparino». Il 19 giugnodalle colonne del sito di ultra-destra, Yiannopoulos ha fatto una lunga sviolinata al suo leader e candidato, ribattezzando il «padre d’America».
Ha scritto: «Veniamo da un decennio in cui l’America si è presa la colpa di crisi dopo crisi al di fuori dei nostri confini, tutte causate dall’Islam e dall’agenda globalizzatrice. Gli americani sono stufi di sentire che i problemi del loro Paese finiscono [per diventare, ndr] in qualche modo colpa dei contribuenti che lavorano rispettando le leggi».
Con la tipica vaghezza e aggressività della propaganda, ha aggiunto: «Un padre dovrebbe mettere gli interessi della sua famiglia al di sopra di quelli degli altri. Perché allora la nostra politica estera, gli accordi commerciali, e i confini aperti sembrano favorire gli islamisti radicali, il governo comunista della Cina e i clandestini?». Distorcendo i ripetuti attacchi di Trump alle minoranze,  alterando la realtà e senza fornire alcun dato oggettivo, Yiannopoulos ha proseguito, sottolineando che il magnate repubblicano «si sta comportando bene con le minoranze quasi intoccabili in passato – quelle dei neri coraggiosi, dei latini e degli asiatici (…) I gay, le donne e ogni altro gruppo immaginabile che costituisca una minoranza in America si sta spostando verso Trump, perché si rende conto che l’alternativa è un’America sempre più di proprietà dell’Arabia Saudita».
Non pago e fieramente intenzionato a smembrare l’immagine di Hillary Clinton come protettrice delle donne, il 7 ottobre, ha pubblicato un post intitolato: «Perché il femminismo fa male alle donne e agli uomini», in cui sostiene che la candidata democratica sia «razzista contro i bianchi e sessista contro gli uomini». Per Yiannopolous, che si è autoribattezzato «il superfurfante più favoloso di internet», «il femminismo è» da considerarsi «un cancro» che ha trovato nel mondo accademico la sua cassa di risonanza. Visto il tono delle sue uscite, Twitter gli ha sospeso l’account, @Nero, per via degli insulti all’attrice afroamericana Leslie Jones.

Sì, il fascismo è sbarcato in America

Stephen detto Steve, così come Richard o Milo sono solo alcuni nomi che incarnano il nuovo fascismo d’America. Trump li ha resi comuni, quotidiani, ha dato loro la dignità di esistere fuori dalle cerchie neonaziste. Questo è il vero problema degli Stati Uniti a partire dall’8 novembre in poi.
Il mito dell’impero nazionalista bianco, la razza come strumento d’intervento e negoziazione politica, la militanza contro il politicamente corretto che significa islamofobia, antisemitismo e misoginia, con l’ultimo candidato del GOP sono state sdoganate. Il rischio è che non si torni indietro facilmente.
Che ne sarà, dunque, del futuro della destra alternativa e dei nuovi supporter trumpiani oltre il personaggio Trump? Alcune fonti del “Washington Post” giurano che la campagna verrà trasformata in una «news network», perché ormai – fa notare “CounterPunch” – la destra razzista è diventata consapevole del suo potenziale. Se a maggio gli analisti di Brookings Institute si chiedevano: «il fascismo è sbarcato in America?», adesso abbiamo una risposta (purtroppo) affermativa. Staremo a vedere.
Ora il fuoco cova sotto la cenere. Forze nuove sono pronte a ravvivare la fiamma per diffondere l’incendio. Noi dobbiamo arrivare prima degli altri. Da Chi ha paura del risveglio? – Il Tredicesimo piano

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