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PROFILI


mar 20 settembre 2016

ELIZABETH WARREN, LA BATTAGLIERA ANTI-WALL STREET

«I ricchi hanno truccato il sistema. Il gioco in America è alterato», parola della senatrice democratica che lavora dietro le quinte della politica Usa. Cane da guardia dell’alta finanza e delle grandi banche, è la paladina dei diritti dei consumatori. Nella lista dei 100 personaggi più influenti al mondo, non fa sconti a nessuno, Fed compresa. Ora al fianco di Hillary Clinton (evidentemente il male minore) nella campagna elettorale Usa.

«Avete smesso di alterare le percezioni e avete cominciato ad alterare la realtà. Ed è questo che mi fa incazzare perché alla fine abbiamo rubato il futuro a troppa gente. L’Occidente collassa, la torta da dividersi è sempre più piccola ma per alcuni ci saranno fette sempre più grandi. C’è malafede, Derek. E l’ordine a tutti i costi, ma solo sulle spalle della povera gente, è una m…». Da “I Diavoli”, di Guido Maria Brera (Rizzoli, 2014)
«Il gioco in America è truccato. È alterato in modo che chi è in alto fa sempre meglio, e tutti gli altri sono sempre più sotto pressione, sempre più sotto sforzo economico. Per la classe media americana, le regole non migliorano: sono sempre meglio per coloro che rappresentano una fetta sottile [di privilegiati, ndr] in cima al sistema. Questa è l’insidia delle grandi disuguaglianze». Le parole sono di Elizabeth Warren, pronunciate nel 2014 davanti alle telecamere della “Cnn”. La sua storia è quella di una donna che combatte dietro le quinte. Se Hillary Clinton rappresenta l’establishment – «il male minore», dicono “I Diavoli” al Tredicesimo piano – , Warren è il cane da guardia del sistema. Classe 1949, ex professoressa di Legge ad Harvard, oggi senatrice democratica in Massachusetts, è considerata la paladina della middle class statunitense, la protettrice dei diritti dei lavoratori, la vendicatrice della mala gestio di Wall Street, la gladiatrice anti-speculazioni delle banche sui derivati. A meno di due mesi dalle elezioni americane (qui lo speciale), fissate per l’8 novembre, batte i palchi e le piazze dell’Ohio (Stato cruciale per la vittoria). Sostiene apertamente la corsa alla Casa Bianca di Hillary, lo fa ancora una volta al fianco di Bernie Sanders (qui il focus de “I Diavoli” sulla «rivoluzione Usa» oltre Sanders). Dopo il malore di Clinton a Ground Zero durante le commemorazioni dell’11 settembre, il nome di Warren salta fuori tra le righe dei retroscena politici, come potenziale sostituta alle presidenziali. A maggio i giornali scrivevano anche di un suo possibile ruolo come vice di Clinton, ma sarebbe stato troppo difficile. A Warren la candidatura non interessa. «È molto, anzi troppo intelligente per correre per la presidenza. Non ha nessuna possibilità di vincere. Ma ucciderebbe la sua credibilità se lo facesse. Ha dedicato tutta la vita a ciò a cui tiene. Se la gente percepisse l’ambizione [per il potere, ndr] sarebbe finita», diceva qualche mese fa a “Politico” Barney Frank, amico della senatrice e co-autore del disegno di legge sulle regole a Wall Street approvato dopo la crisi finanziaria del 2008. I vertici della politica e dell’economia sono quelli che Warren vuole, invece, sfidare. Sulla competenza, la conoscenza del diritto fallimentare, l’esperienza degli studi sulle truffe ai consumatori, costruisce la sua credibilità agli occhi di milioni di americani, e non solo. È fra i 100 personaggi più influenti al mondo secondo “Time”, che la definisce la «sceriffo di Wall Street». Approda sulle pagine del popolare “Vanity Fair”, che la ribattezza «la donna che sapeva troppo». Il “Boston Globe” la descrive come «la voce schietta della gente schiacciata dai predatori e dalle banche», «una feroce sostenitrice delle famiglie che lavorano, delle opportunità di istruzione, e della crescita della ricerca medica». Lavora dietro le quinte, l’astuta Elizabeth, per svelare i trucchi di quel sistema che – sostiene – «è alterato».

Una self-made woman

È una donna che si è fatta da sola. Lo racconta la sua biografia, lo dicono le sue battaglie. Inizia a pulire i tavoli del ristorante della zia quando ha circa dodici anni. Era il 1960 e il padre, che lavorava in un negozio a Oklahoma City, ha un infarto. La sua è una famiglia della classe media, ma tra le cure mediche e i problemi di salute, le difficoltà economiche si fanno enormi. Tirano avanti a fatica, ricostruisce “Politico”. A 19 anni si sposa, a 21 ha il primo figlio. Inizia lavorando come logopedista, poi si laurea in legge. A 30 anni divorzia, e ha già un altro figlio. Si sposa di nuovo, con l’uomo che le resterà accanto fino a oggi, e inizia a insegnare all’università di Houston. Lì comincia a studiare la classe media e l’impatto che il sistema delle banche e delle società di credito hanno su di essa. Scopre che milioni di famiglie sono andate in fallimento per colpa di un sistema «truccato». I suoi articoli vengono letti, diventa nota e rispettata nell’ambiente accademico. Si trasferisce all’Università della Pennsylvania, poi arriva la chiamata dalla scuola di Legge di Harvard. È il 1995. Iniziano gli anni d’oro della sua carriera. Si specializza in diritto fallimentare. Nel 2007 scrive un paper riguardo alla creazione di un’agenzia per tutela dei consumatori. Tre anni più tardi il presidente Barack Obama la vorrà come consigliera proprio per quell’organo da lei ideato. Dopo la crisi, il Congresso la nomina a capo del team di supervisori del Troubled Asset Relief Program, studiato per evitare la bancarotta delle banche. Va in tv, porta le sue riflessioni accademiche al mondo comune e diventa popolare. Dopo oltre trent’anni nelle università, dal 6 novembre 2012 è senatrice del Massachusetts, dove occupa il seggio che fu di Ted Kennedy. Durante quella campagna elettorale – si legge sul sito del Senato – «promette di lottare per le famiglie della classe media e perché ognuno sia nelle giuste condizioni per andare avanti. Richiama le grandi società affinché paghino una “giusta quota” di tasse».
Il rapporto con Hillary Clinton
Al “New Yorker”, Warren racconta gli anni in cui si avvicina a Hillary Clinton, per via di una consulenza per il marito Bill, allora presidente. Era la fine degli anni Novanta, il Congresso stava cercando di approvare una legge fallimentare che riguardava anche il business delle carte di credito. E avrebbe favorito i bigdell’industria. Così Warren si rivolge alla First lady perché faccia pressioni sul marito, in modo da bloccare quel disegno di legge. Hillary la sostiene. Warren vince così la sua battaglia, almeno finché il repubblicano George W. Bush, divenuto presidente, non fa passare in ultima battuta quella legge da lei tanto osteggiata. Intanto Hillary Clinton intesse ottimi legami con Wall Street.
«Hillary incarna il sistema. Pensaci. Hillary rassicura i nostri a Wall Street e pure la lobby degli idrocarburi. Hillary porta in dote le relazioni ereditate dagli anni Novanta in Medio Oriente. Hillary non si espone sulle armi. Alcuni la odiano perché è un prodotto dinastico, altri perché è donna, altri ancora perché rappresenta l’establishment. Hillary non mobilita, certo. Ma l’impresentabilità di Trump è la sua forza». Da Usa 2016. Il male minore – il Tredicesimo piano

La lunga battaglia contro Wall Street

Se Hillary Clinton ha buoni rapporti con il mondo della finanza, Elizabeth Warren ha già in lavorazione una black list di personaggi e grandi banche da cui stare lontani, qualora la candidata democratica arrivasse allo Studio Ovale. E ancora, se personaggi come Lloyd Blankfein (CEO di Goldman Sachs, che in passato non ha fatto mistero di essere un fan della Clinton) oggi preferiscono non procedere con un endorsement pubblico a favore di Hillary, probabilmente non è un caso. Agli occhi degli americani, infatti, identificare Clinton con Wall Street sarebbe una delusione e non farebbe altro che favorire il repubblicano Donald Trump. Warren, dunque, cerca di tenere Clinton a debita distanza da Wall Street. Proprio lei, che è una nemica giurata delle speculazioni dell’alta finanza sulla pelle dei consumatori. Da anni – prima vicina al presidente Bill Clinton e poi a Barack Obama – si batte perché quel mondo abbia delle regole che «non può scriversi da solo». Nel 2010, nell’ambito della famosa riforma finanziaria Dodd-Frank, che dà filo da torcere a Wall Street, Obama nomina Warren supervisore del Bureau of Consumer Financial Protection, un’agenzia del governo che possa sostenere i consumatori e aiutarli a capire quando devono fare i conti con mutui e carte di credito. Nel 2014, anno in cui sempre Obama presenta un piano per finanziare le attività del governo fino al 2015, Warren si oppone al presidente e lotta affinché non ci sia nessuna garanzia pubblica sullo scambio dei derivati delle banche, visto che altrimenti a pagarne il conto sarebbero i consumatori americani. Dice: «La cosa peggiore che può fare il governo è aiutare i ricchi e i potenti». Ad aprile 2016 apre un altro fronte contro i big della finanza e il mercato delle pensioni integrative. Attacca i regali di lusso fatti ai broker venditori da parte dei grandi del settore assicurativo. Scrive a quindici colossi, come si legge sulla sua pagina del Senato: AIG, Allianz, American Equity, Athene, AXA, Jackson National, Lincoln Financial, MetLife, Nationwide, New York Life, Pacific Life, Prudential, Riversource, TIAA-CREF, Transamerica. Queste le sue parole: «Sono preoccupata che questi incentivi presentino un conflitto di interessi per agenti e consulenti finanziari. Ciò potrebbe portare a una consulenza inadeguata, riguardo alle rendite per gli investitori e la vendita di prodotti che non possono soddisfare le esigenze di investimento dei loro acquirenti». Quello che Warren denuncia da anni è che «i ricchi non possono scriversi le regole da soli»: «Hanno contribuito a riscrivere le regole in modo da ottenere sempre di più,  ottenendo tagli alle tasse e migliori opportunità negli affari. In questo modo hanno maggiori possibilità di guadagnare, più di chiunque altro che sta là fuori a lavorare. Quando tutto questo comincia ad accadere, dobbiamo renderci conto che siamo in un Paese che sta andando dalla parte sbagliata».
Abbiamo mosso risorse pubbliche per salvare banche, trovato la rotta in mezzo alla tempesta della crisi, arrestato apocalissi e tacitato profeti d’uguaglianza. Custodiamo l’ordine, l’unico ordine possibile, manteniamo l’equilibrio, difendiamo le rendite, garantiamo la stabilità del sistema. Ci chiamano i Diavoli. Da La biofinanza contro la rabbia e il dissenso – il Tredicesimo piano

I responsabili della crisi del 2008 «devono pagare»

Torniamo indietro di qualche anno. Il 15 settembre 2008 Lehman Brothers crolla. Il fallimento di una delle più importanti banche d’affari d’America è il punto di rottura. Rivela agli occhi di tutto il mondo una crisi che si nascondeva tra gli ingranaggi del sistema: la cosiddetta bolla dei mutui subprime. Chi ha pagato per quella crisi? Otto anni dopo la senatrice Warren non dimentica. Scrive una lettera al Dipartimento di Giustizia. Per lei è «vergognoso e sconcertante» che i responsabili di quel collasso finanziario non siano stati perseguiti. Non chiede la gogna mediatica dei manager, ma rivendica un’azione legale. Sollecita il Dipartimento a muoversi affinché venga avviata un’azione legale sui singoli banchieri. Finora sul banco degli imputati non è arrivato nessuno. Warren, però, ha una lista di società e manager che erano già finiti nel mirino della giustizia americana nel 2011. Poi, però, all’epoca non se ne era fatto più niente. Non paga, Warren scrive all’Fbi. Dal Federal Bureau of Investigation, pretende trasparenza: in una lettera al direttore James Comey, chiede che tutti i materiali e le informazioni raccolte durante le indagini degli ultimi otto anni siano resi pubblici.

Nessuno sconto per la Federal Reserve

Un altro fronte di battaglia per la senatrice del Massachusetts è rappresentato dalla Federal Reserve, la banca centrale americana. Ciò che non convince Warren è il ruolo giocato dalla Fed rispetto all’operato delle grandi banche. Nel 2015 succede che il senatore Rand Paul fa pressioni in aula, affinché sia ampliato il margine di supervisione politica della Fed rispetto alle sue decisioni sui tassi di interesse. Warren si infuria, perché – spiega – la proposta di Paul potrebbe avere conseguenze «pericolose» per la politica monetaria e per il paradigma dei tassi a zero. «Continuo a fare pressioni per un maggiore controllo della Fed, e credo che i suoi bilanci debbano essere regolarmente controllati, come la legge già prevede. Mi oppongo a qualsiasi misura che preveda l’ingerenza del Congresso nelle decisioni di politica monetaria della Fed. Questo rischia di politicizzare le decisioni della Banca centrale e può avere implicazioni pericolose per la stabilità finanziaria e la salute dell’economia globale», fa sapere.E ancora, durante un’audizione parlamentare a febbraio 2016, la senatrice mette praticamente sotto torchio la presidente della Fed, Janet Yellen. Oggetto di una serie di domande incalzanti è Scott Alvarez, consulente generale della Banca centrale e forte oppositore della Dodd-Frank, la riforma finanziaria (tanto cara a Warren) che – come già spiegato sopra – ha dato del filo da torcere a Wall Street. Infine, nello stesso mese, la firma di Warren compare tra quelle di altri undici senatori e cento politici che chiedono alla Federal Reserve di cambiare passo rispetto alle disuguaglianze di genere e di razza. Quasi il 90% dei pezzi grossi all’interno della struttura sono, infatti, uomini bianchi, come raccontano i dati di un’indagine del Center for Popular Democracy citati nella lettera.

L’attacco a Trump

Il futuro dell’America e il delicato equilibrio di poteri, dipende anche dall’esito delle prossime elezioni. «Trump non dovrebbe mai essere presidente»: per Warren, il tycoon che ha praticamente “ucciso” il partito repubblicano (qui l’approfondimento de “i Diavoli”), incarna il paradigma che lei è intenzionata a scardinare. Dall’alto della sua Trump Tower, il magnate sa che «gli americani sono arrabbiati, riesce a percepirlo pure da lassù», dice ironicamente Warren in un intervento del luglio scorso quando, dopo la sconfitta di Sanders alle primarie, ammette pubblicamente: «Sono con Hillary». Poi aggiunge: «C’è una differenza fra chi combatte per le stesse regole per tutti, e chi combatte per mantenere il sistema truccato». Il riferimento è proprio al candidato repubblicano, che avrebbe beneficiato dei meccanismi “malati”. A maggio, Warren aveva criticato Trump, perché reo di aver sperato (dieci anni fa) in un crollo del mercato immobiliare. «Un uomo che tifa perché la gente sia buttata fuori dalle proprie case è un uomo che si interessa solo a se stesso». Lo bollava come un «insicuro arraffatore di soldi» che «non diventerà mai presidente degli Stati Uniti». Secondo la senatrice, Trump – che la chiama Pocahontas per via delle sue presunte origini native americane – vuole distruggere la Dodd-Frank solo perché in realtà sarebbe preoccupato per la «povera Wall Street».
Hillary, dunque, anche per la battagliera Warren è il male minore.
Il nostro sistema è un organismo complesso a garanzia dell’equilibrio. Deve assecondare l’alternanza di fasi recessive ed espansive, e dev’essere assecondato dalla politica. Nel buio del teatro, dietro le quinte, a volte persino sulla scena illuminata, abbiamo finanziato leader che rispondevano al nostro disegno. All’opinione pubblica abbiamo offerto finte alternanze al potere. Perché noi non siamo solo il mondo della finanza: siamo l’ordito segreto della realtà, nel tempo in cui tutto è intrecciato e connesso. Da La biofinanza contro la rabbia e il dissenso – il Tredicesimo piano

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