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RECENSIONE


mar 9 agosto 2016

RE MIDA TRA FREUD E KEYNES

Similmente a uno psicoanalista, Keynes individua una possibile “terapia” per questo rapporto patologico con la moneta: si tratterebbe di renderla non desiderabile

“Re Mida a Wall Street”, Mimesis edizioni, è una raccolta di quindici saggi su «debito, desiderio e distruzione tra psicoanalisi, economia e filosofia», quinto numero della rivista di clinica e cultura psicoanalitica “Lettera”, a cura di Federico Leoni. Indaga sulla «misteriosa coincidenza della domanda della psicoanalisi e della domanda dell’economia», in quanto entrambe si occupano del problema del valore, del segno che lo rappresenta e del tempo. In particolare, il saggio di Enrico Redaelli “Soggetto al debito. Il fondo simbolico dell’economico” e quello di Massimo Amato “La disoccupazione esiste perchè gli uomini vogliono la luna. Note su Mida” offrono spunti di riflessione particolarmente fecondi su questi temi.

Sin dalla sua nascita in Mesopotamia nel IV millennio a.C, il denaro ha conservato la sua natura enigmatica: equivalente universale, misura che rende scambiabile qualsiasi merce con qualsiasi altra (un bue con una capanna per esempio), è esso stesso una merce. Proprio perché è misura di ogni altra merce, è di per sé inappropriabile, se non scontando un paradosso logico e metafisico.
Non ci si può appropriare di o accumulare qualcosa che serve come misura per l’equivalenza con altre cose (anche perchè quanto a se stessa non vale nulla), così come non potremmo mai appropriarci del tempo che misura la durata. Lo utilizziamo come strumento, abbiamo a che fare con esso, ma continuerà a sfuggirci.

Il persistere del suo carattere enigmatico è testimoniato dell’incertezza da parte degli economisti a definire il processo di creazione del denaro, soprattutto dopo l’abbandono nel 1971 del gold standard e fenomeni quali il quantitative easing, che portano al parossismo la tendenza a una creazione ex nihilo.

Per esempio, nel 2010 un documento del direttivo della Federal Reserve metteva in dubbio la spiegazione offerta dai testi accademici di economia del “moltiplicatore monetario” e lo stesso dovette fare la Banca di Inghilterra nel 2014. È come dire che le banche «non sanno quello che fanno» e che una spiegazione scientifica e universalmente condivisa di come viene creata la moneta non esiste.

Tutto questo ci porta a pensare che si possa parlare di un inconscio del denaro e che forse sarebbe utile una metaeconomia così come Freud parlava di una «metapsicologia», cioè della necessità di dare un più solido fondamento teorico alla psicoanalisi con l’ausilio di altre discipline quali la fisica e la filosofia

Alla stessa stregua un’indagine sui fondamenti teorici dell’economia dal punto di vista della psicoanalisi, della filosofia, ma anche dell’antropologia e della linguistica, non può che essere di giovamento per l’economia perché kantianamente ne limiterebbe il campo di indagine (che cosa posso sapere?) e per tutti noi perché ci aiuterebbe a diradare la nube teologica che sembra avvolgere il mondo ogni qual volta si parla di economia, finanza, debito, denaro, mercati.

C’è un legame sotterraneo o una relazione di parentela fra economia e psicoanalisi, che è attestato sia dal fatto che Kyenes e Freud frequentarono gli stessi ambienti negli anni dell’esilio londinese di quest’ultimo e che conoscevano l’uno il lavoro dell’altro, ma soprattutto dall’occorrenza di termini uguali nelle due discipline. Entrambe parlano di debito (il «debito simbolico» che per Lacan iscrive il soggetto nel linguaggio) e Freud parla di relazioni dinamiche, topiche ed economiche del processo psichico.

Al di là dell’uso delle stesse parole c’è da chiedersi se non si tratti della stessa cosa, se cioè «la psicoanalisi parla di economia psichica e l’economia è in fondo una branca della psicoanalisi; o viceversa, la psicoanalisi è una branca dell’economia e solo per questo parla legittimamente di economia psichica».
Il debito simbolico della psicoanalisi, ciò che è a fondamento del soggetto come essere strutturalmente indebitato è forse lo stesso fondamento dello scambio e del ciclo economico, in quanto rappresentazione, scrittura, di una realzione di debito/credito precedente. Alcuni antropologi ed economisti hanno supposto un «debito primordiale» come origine dell’economia.

L’uomo arcaico concepisce la vita come dono degli dei, che richiede in cambio un sacrificio sia come ringraziamento sia come garanzia per il futuro. Per Marcel Mauss il sacrificio sarebbe lo scambio originario da cui deriva lo scambio economico e più in generale lo scambio come ciclo di vita.

Il denaro nasce quasi contemporaneamente alla scrittura, come sua conseguenza. I primi esempi di scrittura ritrovati in Mesopotamia sono registri contabili, contratti. Sono segni scritti di una relazione di debito simbolico, per esempio del contadino X con il Tempio (vera e propria “banca”, oltre che centro del potere politico e religioso nelle società del vicino Oriente), sono quindi denaro.

Ma nel momento in cui viene scritta, questa relazione di debito cessa di essere solamente simbolica e diventa quantitativa. Quando il denaro si trasforma in moneta coniata, nel VI secolo a.C, si assiste a una ulteriore astrazione del carattere simbolico e di dipendenza personale del debito e del denaro che diventa unità di misura astratta e universale, rendendo ogni cosa comparabile con altre cose.

Inoltre, quelli che prima erano debiti sociali e obblighi rituali vengono trasformati in debiti quantitativi liquidabili in moneta. Infine si assiste alla omogeinizzazione di tutti i soggetti, a prescindere dal nome o dal rango: come le merci sono parificabili da un unico standard di equivalenza così gli uomini si avviano a diventare individui indipendenti perchè liberi da legami comuniatri arcaici e religiosi, legami legati al nome, i citoyens dell’età moderna.

Ultima, ma non per importanza, conseguenza della nascita della moneta è il lavoro salariato come prestazione d’opera remunerata, il lavoro in quanto tale, che come sacrificio secolarizzato, sottrazione di vita, è la vera spiegazione dell’enigma del valore.

A conclusione di questo excursus storico-antropologico possiamo dire che in virtù della «trascrizione quantitativo-astratta» operata dalla moneta la transazione dallo scambio simbolico allo scambio economico non abolisca il primo, ma lo sposti su un altro piano.

«Se il debito simbolico è il debito del soggetto in quanto iscritto nel linguaggio, il debito economico può definirsi come il debito del soggetto nel momento in cui questo viene iscritto nella contabilità». Se questa è la natura del denaro e della moneta, se il debito simbolico, così come il debito che muove il ciclo ecomomico, sono necessariamente inestinguibili, sarebbe forse necessario ripensare la moneta o iniziare a pensarla.

Keynes, ma prima di lui Aristotele e la saggezza popolare che dà origine al mito di Re Mida da cui prende il titolo questa raccolta di saggi, ritiene che la moneta «così come la conosciamo» e la tendenza ad accumularla portino alla conseguenza indesiderata della disoccupazione involontaria.

Per esempio, o la miseria nell’abbondanza e la crisi come condizione endemica del capitalismo e che «non è facile per gli uomini comprendere che la loro moneta è un mero ineteremediario e che quando il suo lavoro è compiuto sparisce dalla somma delle ricchezze di una nazione» e dà alla tendenza all’accumulazione di denaro una spiegazione di tipo esistenziale che forse risente dell’influenza di Freud. «È un elemento che opera a livello più profondo rispetto alle nostre motivazioni, il possesso di denaro mitiga la nostra inquietudine e il premio che pretendiamo per separarci da esso è la misura del nostro grado di inquietudine».

Questa inquietudine esistenziale che diventa «aplestia» o fame insaziabile nel mito di Mida (e che è il «postulato di non sazietà del consumatore» in microeconomia) non è quindi semplice ingordigia. Mida nel mito, desiderando di avere tutto l’oro in realtà vuole il mondo, ma più ancora vuole fugare l’angoscia della morte e della finitudine, è il tenativo di controllare il tempo, un surrogato di eternità.
Il famoso motto di spirito di Keynes «Nel lungo periodo siamo tutti morti» è da analizzare anche dal punto di vista dell’uso del tempo verbale, «siamo» e non «saremo», perché riguarda il rapporto del desiderio con il tempo. Con questa battuta Keynes ci vuole dire che ogni nostro tentativo di appropriarci del tempo è destinato a fallire perché possiamo anticipare il tempo ma non controllarlo, perché tutte le variabili essenziali al calcolo economico possono essere solo variabili attese e l’attesa non può essere ridotta a un oggetto di calcolo.

Sia la moneta che il tempo ci appaiono in questi saggi come enti inappropiabili e il nostro atteggiamento rispetto a loro come il risultato di un difetto di simbolizzazione che è però il frutto di una decisione politica e antrolpologica, perché il debito simbolico ed economico non è necessariamente la sola forma concepibile di legame fra gli uomini e di soggettivazione.

Similmente a uno psicoanalista, Keynes individua una possibile “terapia” per questo rapporto patologico con la moneta: si tratterebbe di renderla non desiderabile (così come l’analista invita l’analizzato a passare dal principio di piacere a quello di realtà), di disfarsi liberamente di ciò che potrebbe rivelarsi troppo, disfarsi del proprio credito de-cumulandolo con l’obiettivo di arrivare a una situazione di equilibrio del sistema economico (il passaggio al principio di realtà impone la rinuncia pulsionale).

Riassumendo, come ben dice Massimo Amato nel suo saggio, la metafisica sottostante il funzionamento dei mercati finanziari è un tentativo di abolire il tempo, il suo passare e l’incertezza che tale passare implica di fare i conti con il nulla, la mancanza, la morte. Si tratta di una forma aggiornata dell’aspirazione di Faust di fermare l’attimo fuggente, e per rimanere nella metafora faustiana, questo richiede l’intervento del diavolo.
Ma chi è o chi sono questi diavoli contemporanei?

Se da un lato i mercati sembrano essere entità impersonali azionate da algoritmi, dall’altro sembrano muoversi secondo una logica paranoide «umana troppo umana» in cui sono presenti il delirio di onnipotenza (avere tutte informazioni per prevedere il futuro e nel caso crearle e manipolarle) e il sospetto di tipo persecutorio (ciò che si crede e si teme sia l’azione di altri investitori rivali di fronte a una certa informazione), con il risultato che un sistema che si vorrebbe pienamente autoreferenziale e performativo deve fare i conti drammaticamente con l’imprevedilità e con l’anomalia, tratto tipico della personalità paranoica.

In conclusione, “Re Mida a Wall Street” ci offre una profonda analisi dell’ideologia monetarista dominante e ci dà alcune indicazioni per contrastarla, in primo luogo sottolinearne il carattere ideologico, riconoscendo che moneta e valore non sono la stessa cosa e che il valore deriva dal lavoro e dall’economia reale.

Inoltre, seguendo una suggestione del saggio conclusivo di Federico Leoni, pensare a «un’economia generale» come condizione trascendentale di ogni relazione e scambio interumano e con la natura, di cui l’economia politica sarebbe una parte, ci porterebbe a pensare ad altre forme di scambio e di società «al di là del sacrificio».

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