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MONITOR


mar 10 maggio 2022

LUTHER BLISSETT: LA CASA DEI SENZA NOME

La beffa ritorna, il mito continua. “Luther Blissett House” è il nome che svetta sul portone d’ingresso dell’edificio pronto a ospitare diciassette famiglie. È una casa popolare che sorge sulle macerie del welfare state britannico smantellato a colpi di mercato e competizione, e l’ha fatta costruire proprio lui, il nome multiplo in persona.

Io sono lui come tu sei lui come tu sei me e noi siamo tutti assieme. Questa frase appare e scompare a intermittenza dai primi anni Novanta su fanzine, volantini, ciclostili, sui muri delle città. Appare e scompare a volte in contemporanea in luoghi e spazi diversi. La firma è sempre la stessa però. La firma è quella di Luther Blissett, calciatore giamaicano di passaporto britannico che ha militato per anni nel Watford e nei primi anni Ottanta ha giocato per una stagione nel Milan. Una stagione tragicomica, come lo è la storia che porta al suo arrivo in Italia.

Si narra infatti che l’allora presidente del Milan Giuseppe Farina nella primavera del 1983 si reca a Londra per assistere alla partita tra Tottenham e Watford, squadra in cui militano John Barnes e Luther Blissett: entrambi attaccanti, entrambi neri, entrambi giamaicani. Facile confondersi in quegli anni, ancor più facile se io sono lui come tu sei lui come tu sei me e noi siamo tutti assieme. E così, quando al termine della partita Farina decide di acquistare quel giovane attaccante nero e giamaicano che sfugge imprendibile sulla fascia sinistra, i dirigenti del Watford sono lesti a rispondere che il suo nome è Luther Blissett.

Convinto di avere fatto il colpaccio, Farina tira fuori il libretto degli assegni e paga la considerevole cifra di un milione di sterline per portarlo in Italia. Ma in Serie A Luther Blissett mette in scena una delle migliori performance del teatro dell’assurdo dai tempi di Alfred Jarry e Egidio Calloni: sbaglia gol incredibili da buona posizione, inciampa sul pallone davanti alla porta sguarnita. Alla fine segna la miseria di 5 inutili gol in 30 partite e dopo solo un anno saluta per tornare a Watford. Qui Luther Blissett continua comunque un’ottima carriera, giocando diverse volte in nazionale, anche se non paragonabile a quella del suo omonimo John Barnes che entra nella storia del Liverpool e del calcio inglese. È la prima beffa di Luther Blissett?


Io sono lui come tu sei lui come tu sei me e noi siamo tutti assieme. La frase, che dalle fanzine e dai ciclostili è oramai approdata sulle pagine a lentissimo caricamento della nascente rete telematica World Wide Web, diventa esergo del manifesto del Luther Blissett Project che spiega «Chiunque può divenire Luther Blissett semplicemente dichiarandosi parte del progetto e firmandosi col nome collettivo Luther Blissett» (Rivista di Guerra Psichica e Adunate Sediziose, n.0, aprile/maggio 1995). Chiunque può essere Luther Blissett: possono esserlo studenti, operai, artisti, squatter, militanti politici, possono esserlo i calciatori Luther Blissett e John Barnes, possiamo esserlo io che scrivo e tu che leggi, voi che scrivete e noi che leggiamo. Siamo tutti assieme. Non ci sono regole, statuti, ordinamenti. Solo una via da seguire: la beffa.

Le beffe del Luther Blissett Project esondano la strada e entrano nelle case degli italiani attraverso giornali e televisioni: derive psicogeografiche che si trasformano in adunate non sediziose e ribaltano il concetto di assalto al potere. Come fermare un gruppo di persone che decide di organizzare feste e iniziative su autobus notturni di linea? Come arrestare gente che invece del Parlamento circonda l’Ufficio Anagrafe perché è nel nome prima ancora che nel ruolo che si sedimenta la violenza del potere?

Trasmissioni storiche come “Chi l’ha visto?” si mettono sulle tracce dell’artista inglese Harry Kipper scomparso poco dopo il suo arrivo in Italia. Ma Harry Kipper, ovviamente, non esiste. I quotidiani locali, poi quelli nazionali, poi i telegiornali della sera, si occupano terrorizzati di messe nere e riti satanici nel Viterbese. Intervengono professori e psicologi, educatori e filosofi, tutti a spiegare il perché e il percome di queste inquietanti vicende. Solo che, non sono mai accadute. Sono state ricreate ad arte, come in un teatro dell’assurdo. È l’ennesima beffa.


E Luther Blissett cosa fa? Luther Blissett scrive libri e organizza performance, confonde le derive con gli approdi e sottrae il senso al significante. Luther Blissett agisce nei centri sociali, mette il culo in strada, occupa le case sfitte per ridisegnare l’urbanistica cittadina nel nome del diritto all’abitare che in quegli anni comincia ad essere eliminato dalle costituzioni materiali del dopoguerra all’insegna della competizione e del merito: se non hai una casa è perché non hai fatto abbastanza per averla, se finisci per strada non è colpa di una società iniqua e infame ma solo colpa tua.

Luther Blissett continua a giocare a pallone, nel Watford e nel Bournemouth, poi si ritira. Comincia a fare l’allenatore, l’opinionista televisivo, mette su un team di corse sportive per aiutare i giovani di discendenza afrocaraibica cui la società britannica chiude le porte in faccia. Colpa loro, ovviamente, non del razzismo istituzionale della più antica “democrazia” del mondo. Che si beffa della democrazia.

Durante gli Europei del 2004, mentre partecipa come opinionista alle trasmissioni del canale inglese ITV, Luther Blissett confessa di essere uno dei tanti Luther Blissett che agitano la scena culturale e politica di tutta Europa. Afferma di essere parte del Luther Blissett Project, “un collettivo internazionale di anarcosindacalisti il cui scopo è la decostruzione del nome individuale” e legge in italiano la parte del manifesto in cui si recita che “Chiunque può divenire Luther Blissett semplicemente adottando il nome collettivo Luther Blissett”. Poi, rivolgendosi ai colleghi, spiega che lui è Luther Blissett ma anche loro sono Luther Blissett e tutti siamo Luther Blissett. La guerra psichica ha raggiunto il suo culmine.


Anche il Luther Blissett calciatore non è più una persona, men che meno un nome individuale. Lui, come noi, è un entità collettiva. Un’entità collettiva che quando assume le sembianze di un ragazzo nero nato in Giamaica e trasferitosi nel Regno Unito negli anni Settanta dello scorso secolo deve fronteggiare violenza, razzismo, classismo, miseria e povertà. Luther Blissett si accorge molto presto che un nero non ha le stesse prospettive di un bianco, un povero non ha le stesse possiblità di un ricco.

Luther Blissett attraversa gli anni dello smantellamento del welfare state britannico: niente più casa, scuola e assistenza sanitaria. Solo merito e competizione. Luther Blissett attraversa gli anni delle violenze razziste di strada dell’estrema destra, funzionali al dispiegamento di questa nuova religione neoliberale che raggiungerà il suo culmine con Margaret Thatcher e Tony Blair: i nomi propri dei cantori del merito e della competizione.


Luther Blissett non ha meriti particolari, né crede nella competizione. Anzi, è membro di un “collettivo internazionale di anarcosindacalisti”. È stato solo fortunato a diventare calciatore e ad affrancarsi dalla miseria e dalla povertà cui lo avevano destinato la classe sociale e il colore della pelle, a salvarsi dalla violenza istituzionale e da quella della strada. A sopravvivere, a differenza di molti suoi amici. Ad avere una casa, a differenza della maggior parte dei suoi amici.

Luther Blissett non è un nome proprio e non è un nome particolare, è semplicemente il nome che oggi appare su un edificio squadrato di mattoni poco lontano dalla stazione di Watford. Una casa popolare, come quelle in cui è cresciuto. Luther Blissett House è il nome che svetta sul portone di ingresso di questo edificio che contiene cinque appartamenti con due stanze da letto e dodici appartamenti con tre stanze da letto, pronto a ospitare diciassette famiglie. “Sono molto contento che appaia questo nome su questo edificio” – ha detto Luther Blissett pochi giorni fa durante l’inaugurazione. “Spero che questa casa contribuisca a ricreare un senso di stabilità e di comunità”.

Una comunità di persone cui altrimenti sarebbe stato negato il diritto all’abitare, al vivere una vita degna, a poter immaginare un futuro. Una comunità di persone che magari una casa ce l’aveva, ma è stata buttata fuori perché la speculazione edilizia e i nuovi paradigmi sociali urbani non prevedono la loro presenza. Una comunità di persone escluse perché non hanno meriti o non sono abbastanza competitivi, o forse perché il concetto stesso di democrazia è una beffa. Una comunità di persone che ancora oggi, ogni giorno, deve lottare contro le differenze di classe, di razza, di genere. Una comunità di persone che oggi ha un nome, il nome dei senza casa e dei senza nome: Luther Blissett.
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