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TREDICESIMO-PIANO


ven 1 luglio 2016

L’ESERCITO DEGLI INVISIBILI: UK AI TEMPI DEL BREXIT

Spostare l'attenzione sul conflitto generazionale per occultare quello di classe è un vecchio trucco, un rimedio per tutte le stagioni. Ma in troppi hanno visto…

Dear Britannia,
una volta George Orwell ti ha definita «Una famiglia diretta dai membri che non capiscono nulla». Una famiglia… una comunità chiusa, chi sta dentro e chi sta fuori.
Gli ultimi giorni ti hanno sconvolta. Il referendum, il caos. Una valanga di commenti, analisi demografiche, accuse d’ignoranza rivolte al popolino – la populace, dicono in Francia – colpevole di aver votato per il Leave. La reazione al Brexit ha la stessa natura della ragione del Brexit.
In realtà il Leave è stato votato da un esercito d’invisibili, cittadini solo di nome, fantasmi di fatto, molto spesso sfuggiti ai big data, ai sondaggi, alla finestra sempre aperta dei social network.
E adesso, dopo il risultato, gli altri corrono a recuperare firme, milioni di firme, per rifare il referendum. Insultano e delegittimano i fantasmi, gli invisibili, i cittadini solo di nome. Invece dovrebbero interrogarsi sui motivi per cui la maggioranza ha scelto una strada discontinua, accidentata, rifiutando la continuità.
Non c’entrano Boris Johnson, i dubbi di Corbyn o la faccia esaltata di Farage. No, non c’entrano. L’esercito degli invisibili ha voluto concedersi il lampo di un’apparizione, l’eclatante uscita dalle ombre delle quinte, un fragoroso irrompere al centro della scena.
E se pure ci sono danni, beh, che li riparino Loro: quelli sempre visibili, quelli degli exit poll, gli champagne-laburisti e gli smart-conservatori. David Cameron si è dimesso. Boris Johnson non si candiderà alla guida dei conservatori. I due rampolli di Eton dal curriculum perfetto si eclissano.

Eccolo, il fallimento dell’old boy network, la frantumazione dell’élite britannica vittima della sua stessa arroganza, quella che ti ha trascinata in un referendum tanto stupido. I membri stupidi di una famiglia, sì: la loro famiglia.

Per spiegare il risultato della consultazione referendaria, hanno usato la chiave generazionale, contrapposto i giovani ai vecchi, il Paese moderno e velocissimo al Paese passato e immobile.
Se non fosse tragica, questa lettura sarebbe buffa e grottesca. Si basa sugli stessi soft data, i medesimi riscontri, le solite interviste. Fonda un manicheismo snob che palesa l’inevitabilità della sconfitta del Remain.

Dicono: “Ma i giovani!” Non dicono che tra dieci anni molti di quei giovani saranno le nuove schiere degli invisibili e dei fantasmi. Dentro o fuori? In o out? Ma non rispetto all’Europa, no. In UK, piuttosto. Lungo le tante faglie che frantumano uno dei paradigmi della cittadinanza moderna. L’altro, quello francese, si sfarina allo stesso modo dall’altra parte della Manica. Leave o Remain è solo un altro modo per dire “inclusi” ed “esclusi”. Oggi un ventenne può nutrire ancora la speranza di essere incluso, ma quanti ventenni sono – in realtà – gli esclusi di domani?

Dentro o fuori? In o out?

“La speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda” diceva un famoso regista italiano. Chi ha votato Leave non ha più “speranza” e ha affermato il senso della propria condizione dopo decenni di politiche escludenti, in questa nazione delusa, laboratorio della dissoluzione del fordismo e delle politiche keynesiane.

L’Inghilterra della deindustrializzazione e dei servizi finanziari, delle start-up e del sistema educativo meritocratico ma riservato ai milionari, l’Inghilterra dei minatori sconfitti e della società-che-non-esiste. Una copia degli Stati Uniti, ma senza il potere. Thatcher e Reagan, Blair e Clinton, le guerre stupide, la City e Wall Street: sempre paralleli, sempre convergenti.

Spostare l’attenzione sul conflitto generazionale per occultare quello di classe è un vecchio trucco, un rimedio per tutte le stagioni. Ma in troppi hanno visto… Hanno visto moltitudini d’inglesi migrare da Londra verso città a buon mercato, “galleggianti” su un oceano di solitudine, povertà, disperazione e paura.

Hanno visto migliaia di giovani arrivare a Londra – nel cuore del nuovo “miracolo”, al centro del “sogno” – per rimanere incatenati a lavori di merda. Hanno visto la desertificazione del Nord Inghilterra insieme all’esclusione che dilagava. E cosa avrebbero dovuto votare?
I partiti si sono spaccati, e l’indicazione politica ha perso valore. Del resto la politica moderna è al tramonto. Farage sembra il padrone del gioco, ma sparirà anche lui, perché la vittoria del Leave non gli appartiene davvero. Non appartiene a nessuno. E gli Euroscettici o i No Euro, sparsi per il continente, non pensino che questa è la loro vittoria. Non lo è.

Perché questa è la vittoria degli invisibili, dei fantasmi, dei muti che hanno trovato la parola e alzato la voce, di quelli che non sono rappresentati da nessuno. È a loro che appartiene, questa vittoria. E solo a loro. La politica inglese, così come quella europea, deve fare i conti con quarant’anni di Storia, più che con il risultato di un referendum, scioccamente indetto da uno sciocco che non aveva strategia e sbagliava la tattica.

Ti ho vista delusa a lungo, e ora ti vedo ferita. Il dolore che serpeggia dentro, prima o poi deve trovare uno sbocco. Milioni di persone si sono incontrate a un bivio. Dentro o fuori? In o Out? La scelta non si trovava sulla strada per l’Europa. La scelta riguardava la cittadinanza inglese. Inclusi o esclusi, essere o non essere? E non è nemmeno un dilemma, questo. È l’urlo assordante di coloro che stanno fuori.

Sinceramente, Philip Wade
Per capirne di più: Should I stay or should I go. UK al voto. (Leggi)

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