Decodificare il presente, raccontare il futuro

TREDICESIMO-PIANO


ven 17 aprile 2015

LA PROSSIMA BOLLA

Tutto il potere ai creditori

Dal diario di Philip Wade

In una fiction di quelle che guardano i miei studenti, ho sentito dire: “Winter is coming”. Nello stesso momento, se mi fossi affacciato, dalla finestra avrei visto i primi germogli sui rami degli alberi. Era un monito: l’inverno sta arrivando. In verità l’inverno è arrivato tanto tempo fa, e non è più finito. È una questione politica. C’è stato un tempo in cui amavo questo periodo dell’anno, l’inizio della primavera, la promessa di un risveglio. Forse invecchiare è vivere l’inverno più lungo, quello dello scontento. Se riavvolgo il nastro, mi tornano in mente tutti i modi in cui ho vissuto l’avvento della stagione. Le passeggiate adulte fra i prati di Regent’s Park, se non ho lezioni al Birkbeck, o quando lavoravo alla grande banca e avevo bisogno di staccare. Da giovane, a Roma, quando ero allievo di Federico Caffè, quel caldo quasi estivo che ti faceva rinfrescare alle fontanelle, in strada. Prima ancora a Liverpool, da ragazzino, tra i daffodil nei parchi e la luce che illuminava le facciate dei palazzi vittoriani. I fiori, l’aria luminosa, mentre accompagnavo mia madre per qualche commissione e mio padre stava al cantiere. Il clima cambiò a un certo punto. Venne un freddo maledetto e rimase fino all’estate torrida. Vennero mesi disorientati, bui e senza fiori. Il calendario potevamo anche dimenticarci di cambiarlo, tanto valeva.
L’invito è arrivato via mail, qualche giorno fa. Una nota fondazione londinese, vicina a una banca importante della City, mi chiede di participare a un convegno sul tema “La prossima bolla”. Lo so chi c’è dietro a quell’invito. Lo so che c’è il manovratore, il grande illusionista, il banker americano per cui lavoravo nella grande banca, quando ho provato a cambiare vita e non sono riuscito. Lo so che dietro c’è la mano di Derek Morgan. Ho tentennato. Il tema dell’intervento mi lasciava un’incertezza. E soprattutto non riuscivo a stabilire l’opportunità di stare fra politici e finanzieri, strategist delle banche d’affari e gente degli hedge fund. Trovarmi in mezzo a persone come Bruno Livraghi, il devoto della forza e della velocità, l’italiano che sommergerebbe l’Italia sotto i propri profitti. Uno tanto concentrato sull’accelerazione da non pensare alla strada che prende. Quando ho capito di cosa dovevo parlare, però, ho accettato.
Rabbrividisco ogni volta che penso a quel tema. Ogni volta che mi trovo a parlarne è come se guadagnassi una consapevolezza nuova dell’inverno infinito in cui l’Occidente è stato precipitato. Uno dei miei allievi mi ha raccontato una storia. Un suo amico della New York University gli ha detto che gli studenti, lì, fanno una specie di baratto: i loro salari futuri in cambio del diritto allo studio. Ricevono prestiti su prestiti, a tassi di interesse vergognosi. E infatti si vergognano, gli ha detto l’amico americano. Non possono confessare le loro difficoltà ai compagni che vengono da famiglie benestanti. Oltre a studiare devono lavorare, e sono talmente stremati da addormentarsi in classe. Qualcuno chiama “hedge” quei prestiti, cercando di trovare un nome cool. Le parole sono importanti. Qualcuno si ripete che certe offerte non si possono rifiutare. Ma la verità è che sono umiliati dalla situazione. I prestiti studenteschi non sono come altri debiti: le agenzie di recupero crediti hanno poteri enormi, possono allungare le mani su salari, dichiarazioni dei redditi, previdenza sociale… Il mio studente non era il primo a descrivermi quello scenario. Con un mio collega dei tempi di Roma, allievo anche lui di Caffè, siamo rimasti buoni amici. Ho seguito la crescita di suo figlio. In Italia non trovava sbocchi, ed è emigrato negli Stati Uniti. Il mio amico mi ha raccontato di università pubbliche sempre meno accessibili per i costi crescenti.
Di college for profit dove i ragazzi finiscono nella morsa del debito, tra funzionari criminali e finanziatori corrotti che esigono pagamenti folli. Di un sistema dove più bassa è l’origine sociale della famiglia, più alta è l’esposizione al ricatto. Di padri che attraverso la copertura dei mutui si fanno garanti per i prestiti universitari ai figli, garanzia che viene annullata con l’esplosione della crisi. E i debiti delle banche vengono cancellati, ma le persone comuni no: loro devono ripagarsi i propri. Il figlio del mio amico italiano ha visto suoi coetanei ostinarsi e lottare, per finanziare la propria laurea, al prezzo dell’indebitamento. E della vergogna.
Ecco la nuova bolla. Ecco i prestiti cartolarizzati, il ricatto agli studenti, la catena al collo che li costringe a tenere la testa bassa. Tutto il potere ai creditori. Tassi così alti da ricordare in ogni momento che quello è un business fra i più lucrosi dell’industria finanziaria. Il prestito agli studenti, il rischio più grande nel mercato del credito, nel cuore di un inverno fuori stagione. Il trilione di dollari di prestiti in sospeso agli studenti americani, non è ripagabile. Penso alla merda dei subprime, al great crash dell’immobiliare. Al luna park c’era un gioco che da ragazzino mi attirava più di tutti: con un martello si colpiva un certo punto che illuminava, in base alla forza adoperata, una colonnina. Di fronte a questa storia mi viene da pensare al momento in cui aspettavo il mio turno davanti al gioco del martello. Quello prima di me se ne andava, io facevo qualche movimento con il collo e le braccia, per fare lo spaccone. Le luci alte sulla colonnina pulsavano come per un’emergenza. Poi smettevano e toccava a me. Colpivo più forte che potevo e di nuovo si alzavano, le luci, a lampeggiare.
Ma dietro ogni bolla c’è la politica. E la crisi non è un fatto episodico e congiunturale, bensì l’essenza stessa del capitalismo al tempo del diktat neo-liberista. La nuova politica è quella che passa attraverso il credito facile, che trasforma i diritti in possibilità d’indebitamento. E da tutto questo emerge un nuovo soggetto: l’uomo indebitato. È come se ci fosse un unico Grande Creditore, da una parte, e dall’altra tutti debitori. Tutti colpevoli. Tutti falliti. Semplicemente: loosers.
È questo che andrò a dire domani, nel mio intervento al convegno. Perché bisogna riappropriarsi della primavera. Conquistarla con una nuova battaglia. Era primavera, quella in cui avevo una borsa di studio e le agevolazioni mi facevano pagare il 10% del biglietto dei mezzi pubblici.
Era primavera, quando non si accendeva un debito per studiare ma si apriva un conto corrente per ricevere i soldi della borsa di studio. Era primavera, quando Margaret Thatcher non aveva completato la sua offensiva. E il grande inverno degli anni Ottanta non aveva ancora avvolto l’Occidente nella sua coltre. “Winter is coming”… Era primavera quando insieme ai miei, nei giorni di festa, andavo in quei parchi sommersi di fiori gialli. E la vita era dura, ma mio padre si vantava di vivere solo del suo lavoro, e non aver chiesto mai soldi in prestito. Era primavera quell’orgoglio della working class contro la vergogna e il senso di colpa dell’uomo indebitato. Sulla strada del ritorno dall’università, oggi ho preso un volantino. Le parole STRIKE DEBT! sono in evidenza sopra un pezzo di stoffa rossa. Poco più in basso, una scritta: YOU ARE NOT A LOAN.

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