Decodificare il presente, raccontare il futuro

TREDICESIMO-PIANO


mar 20 ottobre 2015

LA DOLCE VITA DELLE MULTINAZIONALI

Enormi flussi finanziari nascosti al fisco, miliardi di euro risparmiati in tasse

Roma, 20 ottobre 2015
“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno”, diceva Ennio Flaiano.
Fuori da questo elegante palazzo di fine Ottocento, di fronte al fiume, penso che sbagliasse. L’estate è una stagione breve e ingannevole. Anche qui, in Italia. Me lo dicono le foglie dei platani sul Lungotevere. Me lo dice tutto quello che vedo, trent’anni dopo il periodo felice che trascorsi a Roma da giovane studioso. Oggi quelle foglie sono secche e il mio maestro, Federico Caffè, non c’è più.
Questo momento, l’inizio dell’autunno, quasi non ricordo quando è cominciato. Oggi sono io a insegnare, al Birkbeck di Londra, e in questa città mi cattura la malinconia. Nel frattempo sono passati i Trent’anni gloriosi, si sono spente le lotte operaie, abbiamo incassato sconfitte storiche. Sono passate le mie illusioni, ed è passato pure il lavoro dastrategist che facevo per la grande banca, quando scelsi una vita che non era la mia.
Mi sono forzato per partecipare al convegno che si è appena concluso, nel palazzo di fine Ottocento. Il titolo recitava: “Competitività, arbitraggio fiscale e Unione Europea”. Quando ho ricevuto l’invito, era una calda giornata primaverile e l’idea di un ritorno mi prometteva qualcosa. Dopo tutti questi anni, tutte queste delusioni, non so ancora fuggire dalle promesse del futuro.
Ho parlato di fronte a un pubblico che mi ascoltava a tratti, per il resto sfogliava i quotidiani e guardava lo smartphone. Sulle pagine economiche di quei giornali, la notizia principale è la multa che Fiat e Starbucks dovranno pagare per aver ricevuto “sovvenzioni mascherate” da Lussemburgo e Olanda. Aiuti che alterano la concorrenza. Una lunga lista di multinazionali coinvolte.
L’inchiesta LuxLeaks racconta di accordi troppo vantaggiosi, di Paesi che abusano del tax ruling, di compiacenza sull’evasione fiscale. Un sistema che trasferisce in Stati compiacenti la contabilità di profitti realizzati in giro per il mondo. Enormi flussi finanziari nascosti al fisco, miliardi di euro risparmiati in tasse. Fra i trecento colossi ci sono nomi che fanno paura. E ci sono anche trentuno società italiane, incluse grandi banche e aziende di Stato. Tutto è cominciato da un’indagine giornalistica internazionale.
Queste ultime inchieste, e quelle in corso da tempo su Amazon in Lussemburgo e Apple in Irlanda… Davanti alle auto che si trascinano sul Lungotevere, davanti ai platani che perdono le foglie, penso che se aggiungo il caso Volkswagen riesco a vedere una guerra commerciale a colpi di sentenze. In Europa attaccano alcuneplatform tecnologiche, in America rispondono con lo scandalo delle emissioni. Una guerra invisibile, combattuta sopra le teste di milioni di lavoratori. E gli effetti si abbattono come una valanga sulle vite di troppa gente.
Con gli occhi percorro le linee morbide del palazzo, sempre più in alto, fino a raggiungere il cielo. La luce di Roma in autunno è limpida, a quest’ora si abbassa tanto da sottrarre il buio ai vicoli e colpire le facciate dei palazzi storici.
Piegato all’indietro come sono, mi tengo alla mia stessa giacca per non perdere l’equilibrio. E così sfioro il cellulare, nella tasca interna, e ripenso all’sms che mi è arrivato ieri sera. Più o meno diceva: «È come una matassa troppo ingarbugliata. Un convegno non serve, Phil. “Possiedo la saggezza di colui che una volta è caduto; quando mi si dice che un funambolo si è sfracellato al suolo rispondo: Ha avuto ciò che si meritava”». Un numero che non conoscevo, con un prefisso americano. Una citazione che ignoravo.
Resto a guardare il cielo. Il modo che ha di stingersi in rosa e arancio, le nuvole appiattite dal vento. Ieri sera non ho avuto tempo di pensare a quell’sms. Adesso ho capito. Infilo la mano nella tasca.
Dall’altro lato del mondo, c’era Derek Morgan a scriverlo. L’uomo che scrive e cancella anche le sorti di uomini e donne. L’uomo nell’ombra, il tessitore senza volto. Afferro il cellulare. Derek, l’uomo più potente del board della grande banca. L’uomo con cui avevo a che fare quando ci lavoravo anch’io, nella grande banca.
Guardo l’orologio sul display. Mi ricordo, di colpo. Sul marciapiede invaso dalle foglie morte, sorridendo m’incammino a passo svelto.
Nella grande sala dell’Auditorium di Roma, siamo rimasti io e pochi altri. Tengo le gambe accavallate, nella poltrona laterale da dove ho assistito alla proiezione del film. E rifletto. Sul convegno del pomeriggio, sul messaggio di Derek, sul film che è appena finito.
Nessuna matassa è inestricabile. Tutto comincia e si conclude con un filo. Basta trovare quello giusto. “Trade War” è solo un modo di vedere e chiamare le cose. Il modo di chi guarda tutto dall’alto, come il personaggio del film. Io non sto in alto e non mi sono immedesimato nel funambolo. Io sono uno coi piedi sulla strada e la testa in su, a guardare il numero sul filo. Io non trattengo il fiato, per i volteggi dell’uomo a 110 metri dal suolo.
Sopra il filo, una spericolata multinazionale faceva profitti che non reinvestiva. Anzi, li investiva nel debito pubblico di un Paese.
A terra, il Paese adottava politiche di austerity per garantire la solvibilità del debito. Si facevano “riforme”. Le chiamano così quei provvedimenti che devastano protezioni sociali, cancellano diritti, dettano leggi sul lavoro sempre più flessibili, piegano donne e uomini al ricatto Dacci oggi il nostro debito quotidiano , ma generano anche sofferenza bancarie, deflazione e uno stato endemico di crisi.
Sopra il filo, quel debito del lavoratore veniva cartolarizzato e rivenduto. Dai paradisi fiscali la multinazionale acquistava i titoli dei debiti cartolarizzati.
A terra, il lavoratore si era fatto uomo indebitato: uno schiavo.
E chi non si adegua è messo all’indice come un colpevole, un loser. Tagliato fuori, escluso dal futuro.
Se smetto di pensare alla Trade War fra le due sponde dell’Atlantico e mi concentro sull’Europa, tra ciò che accade sopra il filo e ciò che accade a terra l’opposizione è altrettanto dolorosa.
Sul filo, più in alto dei grattacieli, si muovono gli interessi che tessono la trama viscosa della realtà. In punta di piedi agiscono uomini che riescono a determinare la piega degli eventi. Sul filo, dunque, si sfrutta il tallone d’Achille europeo: la fiscalità. La concorrenza spietata per attrarre capitali e investimenti spinge ogni Paese ad adottare sgravi fiscali per accaparrarsi fette di business. Su quegli sgravi, si basano intere economie nazionali. Le platform companiesstabiliscono la propria sede fiscale nel Paese UE che consente di pagare meno tasse. E anche le aziende europee con un business globale si insediano fiscalmente nel Paese che offre maggiori vantaggi. Le corporations si rifugiano nel porto franco del vecchio continente, dove la sovranità si esprime solo nel disperato tentativo di importare business e occupazione. La classe politica continentale si preoccupa unicamente di trovare sbocchi per le esportazioni, ma è incapace di creare un sistema coordinato al suo interno.
A terra, fra quelli che possono assistere soltanto alle evoluzioni del funambolo, si aggiungono altri paradossi… Regimi fiscali vantaggiosi concorrono a ridurre le entrate tributarie di Paesi in sofferenza, le cui aziende si insediano laddove la convenienza è maggiore. Lo chiamano dumping fiscale. È un dispositivo che contribuisce al regime di austerità.  
Sono rimasto da solo, nella sala dell’Auditorium. Non sento più neanche le voci nei corridoi. Nessuno viene a chiedermi di uscire, perciò rimango a pensare.
Il fatto è che sul filo puoi anche cadere. È successo perfino a Philippe Petit, il protagonista del film che ho appena visto. The Walk racconta la sua impresa, la passeggiata su un cavo d’acciaio che collegava le Torri Gemelle, il 7 agosto 1974. Un uomo che sfidava le leggi della fisica, un funambolo che ha conosciuto l’ebbrezza della sospensione ma anche il rischio della caduta.
Un’altra caduta prende la forma di sofferenze bancarie e deflazione. Inevitabili contraddizioni in seno al capitalismo.
Ma l’uomo sul filo si rialza. L’ennesima magia. La mossa virtuosa, che ha del diabolico, è il Quantitative Easing: sterilizzare tutto, salvare le rendite di capitale. 
A terra, intanto, una politica appiattita sul lato dell’offerta genera regressività fiscale. In cambio degli sgravi, un po’ di occupazione di basso livello. Ma il mio Paese è davvero insuperabile: l’Inghilterra riesce a essere il porto corsaro per qualsiasi capitale di dubbia provenienza e, al tempo stesso, a garantire un regime fiscale agevolato per individui non domicilied tra i più pagati del pianeta.
Sorrido, amaro. Adesso su quel filo, a guardare il mondo dall’alto, non c’è più Petit, ma Derek Morgan. Sempre in equilibrio instabile e col terrore di cadere da un momento all’altro, anche se non può ammetterlo. Neppure a se stesso.
Ancora seduto, con i piedi sul pavimento della sala, recupero il cellulare dalla tasca. Compongo un nuovo messaggio, che dice: «Da ogni labirinto si può uscire, seguendo un filo. Ogni matassa può essere sbrogliata. “Il filo non è ciò che si immagina. Non è l’universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso. È un mestiere. Sobrio, rude, scoraggiante” ha detto Petit. Forse l’hai dimenticato, Derek».

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