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TREDICESIMO-PIANO


mar 10 febbraio 2015

LA GRECIA E IL POKER

Una strana partita in cui un giocatore, Atene, usa le fiches di Frankfurt, soldi prestati dall’avversario

Martedì 10 febbraio 2015

C’è un grande trade in ballo. E io credo solo ai grandi trade, sono quelli che rincorro. Come i surfisti alla ricerca della grande mareggiata. Cavalcare l’onda più alta. Oggi la grande mareggiata si dà nell’Egeo. Tutti gli occhi sono puntati sulla piccola Grecia dove si combatterà la grande battaglia. Armageddon.
Vendere o comprare, quale è la mossa giusta?
Un gomito poggiato al bracciolo in pelle, la mano libera che sfoglia una pagina. Mi fermo su una frase: «Le civiltà arrivano a un punto ove la forza numerica dei poveri rivaleggia con l’abilità dei pochi ricchi, questo equilibrio instabile genera una situazione critica che la storia affronta o con legislazioni che redistribuiscono la ricchezza o con rivoluzioni che distribuiscono la povertà». Chiudo il libro, lo ripongo sul tavolino. È l’alba.
La copertina e quel che c’è scritto – Le lezioni della storia, Will e Ariel Durant – mi rimangono sotto gli occhi, mentre penso a come muovermi. La tentazione è stata di mettermi corto sui titoli di Stato greci, non ho avuto dubbi o quasi. Vendere. Perché se la Grecia non si accorda con la Troika e rischia di uscire dall’euro c’è solo da vendere. Poi, però…
Poi sembra che ad Atene sia tornato Solone, insieme a quella sua misura per estinguere i debiti, la legge che vietava il prestito di denaro con garanzia sulla persona…
Bevo dal bicchiere che mi hanno portato. Le leggi di questo nuovo Solone non riguardano solo la Grecia: la partita si gioca in tutto il continente, la Vecchia Europa diventa un tavolo verde. Assomiglia al poker. A una strana partita, però. In cui un giocatore, Atene, usa le fiches di Frankfurt, soldi prestati dall’avversario. È un gioco, sì, ma si sa che i giochi sono una metafora della guerra. La BCE fa una mossa aggressiva che sembra un all-in: interrompe la proroga che permette alle banche greche di finanziarsi con titoli di Stato ellenici presso la stessa BCE. Attraverso l’Eurotower sembra che i Tedeschi vogliano forzare la Grecia a rispettare gli accordi. Sembra, perché non è l’all-in. È solo un rilancio, quello. Meglio ancora: è un bluff.
Da tempo ho smesso di giocare a poker. Scoprivo troppo facilmente gli avversari: come fingevano, come si nascondevano. Non mi divertivo più. E che la finanza sia una sequenza anonima di codici alfanumerici, questo per me è fondamentale. C’entra con l’adrenalina. La fisionomia dei giocatori al tavolo di poker, le variazioni che studiavo nel corso della partita, i gesti involontari… Ero padrone del gioco di ognuno. Come del bicchiere che ora ripongo sul piano.
La BCE rilancia al piatto con la sicurezza di chi sa di avere il punto in mano. Invece è un bluff. Mi manca solo un tassello, e avrò capito la partita. Mi sporgo verso il tavolino, prendo il telefono che mette in comunicazione con la cabina dell’aereo. «Atterriamo a Parigi» dico.
Niente Londra, stamattina. Niente ritorno in the United Kingdomsfruttando l’ora di fuso dopo la solita corsa in Lamborghini sulle strade italiane. Da anni è il mio passatempo. Andare e tornare in una notte. London City-Milano, Milano-London City. In mezzo una macchina lanciata a 250 chilometri all’ora. La velocità mi rilassa. Alcuni dicono che è la mia droga. Altri mi chiedono perché vado in Italia.
Ignorano cosa significhi sentirsi padroni dello spazio-tempo.
Ma oggi non ci penso. Oggi voglio solo capire quali sono le carte coperte dei greci.
L’ombra del bicchiere sul tavolino inizia a spostarsi. L’angolo con cui si allunga sulla superficie cambia mentre l’aereo modifica la rotta, e si prepara ad atterrare.
Nella sede dell’antica banca francese, Émile mi lascia parlare. Maneggia un piccolo calendario da tavolo, in metallo, dove ogni rotazione fa scalare la tessera che indica la data.
Émile è un banker che stimo, uno che tratta obbligazioni e titoli di Stato con serietà. Ha qualcosa di Derek Morgan, il Maestro, il migliore di tutti. Con in più, una certa maniacalità tutta europea per l’eleganza. Con in meno, fra le altre cose, un imperfetto controllo dei movimenti, anche ora che mi ascolta. Perché lui non sa quanto bene so leggere il linguaggio del corpo.
«Facciamo che il comunicato della BCE sia solo una dimostrazione muscolare» dico. «E che la parte cruciale non sia ammettere che manca l’intesa sulla continuazione del programma. Facciamo che la Grecia abbia ragione a dire che non è questo il punto, che spostarsi dalla BCE alle diverse banche centrali per recuperare liquidi nemmeno cambia tanto. Mi segui?» Émile annuisce, tenendo le mani congiunte, in verticale davanti alla bocca. L’imposizione del silenzio.
«Se invece il passaggio fondamentale» proseguo, «fosse quello in cui si conferma implicitamente lo status della banche greche e la loro affidabilità…» Un raggio di sole entra dalla finestra mentre concludo il ragionamento ipotetico: «In questo caso, la vera crisi esploderebbe solo se venisse tagliato il cordone della Emergency Liquidity Assistance e delle forme alternative di finanziamento. Il che sarebbe difficile, e comunque neanche così irrimediabile».
Émile sposta su un lato della scrivania il piccolo calendario che ci divide. «I Tedeschi…» mormora. Poi stringe le labbra per un attimo. «Usano la paura, Bruno. Sanno che è contagiosa.»
Osservo il modo in cui me lo dice con più attenzione di quanto immagini.
«Ma se ti mantieni freddo, nessun ricatto può funzionare davvero.» Si appoggia allo schienale, mi guarda negli occhi: «La paura bisogna trattarla come un virus. Mettila in quarantena e sarai immune al contagio». La fronte senza increspature, il tono di voce uniforme. Émile non sta mentendo.
«Grazie» gli dico. Apparentemente senza ragione.
La luce percorre in linea retta il Boulevard Malesherbes, mentre telefono a Londra. «Cominciamo a metterci lunghi sulla Grecia» dico a Mike, il mio luogotenente al floor, un mastino dello Yorkshire di poche parole e dai modi ruvidi. «Muoviti in punta di piedi.»
Dall’altra parte avverto la sorpresa, lo stupore.
«Lunghi» confermo. «Se sta tranquilla la banca a cui Atene si è rivolta per ristrutturare il debito tre anni fa e che adesso negozia per il nuovo governo, stiamo tranquilli pure noi. Compriamo.»
Riattacco. Prendo a camminare lungo il viale, dall’ottavo in direzione del nono arrondissement. Bisogna cogliere l’attimo giusto, la grande onda. Quando il terrore arriverà e tutti venderanno Grecia, io avrò comprato, perché so dominare la paura. E perché l’accordo coi Tedeschi ci sarà.

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