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MONITOR


mar 31 ottobre 2017

“XI-PENSIERO” PER UN PIANO TRENTENNALE

Forte di una leadership teoricamente incontrastabile, il presidente cinese si è rivolto agli oltre 2300 delegati del partito, riuniti nella Grande Sala del Popolo di Piazza Tian’anmen, e ha delineato un ambizioso piano di sviluppo trentennale. Ha inizio la “nuova era” della Cina, sotto la guida dello Xi Jinping-pensiero.

Il più importante leader cinese dopo Mao Zedong e Deng Xiaoping. Il «re della Cina», parafrasando il presidente statunitense Donald Trump. Al termine del 19esimo Congresso del Partito Comunista Cinese è tutto un fiorire di iperboli più o meno maldestre, ma generalmente genuine, nel tentativo di descrivere un passaggio storico di prima importanza sia per la Cina sia per noi, il resto del mondo.
Facendo avverare le previsioni più elementari del caso, il presidente cinese Xi Jinping è uscito dal Congresso ulteriormente rafforzato, a dimostrazione che le briglie del Partito sono oggi saldamente nelle mani del leader e paiono destinate a rimanerci per un tempo indeterminato tra i cinque e i dieci anni.
Nel primo caso, si tratterebbe di un “regolare” avvicendamento generazionale tra la quinta generazione di leader del Pcc – Xi Jinping – e la sesta, che dovrebbe ereditare le sorti della Repubblica popolare nel 2022. Nel secondo, si verificherebbe invece un’anomalia su cui a lungo si è speculato nella stampa internazionale, che vede in Xi un leader deciso a stravolgere consuetudini non scritte in vigore dall’epoca di Deng, pronto a far saltare il limite massimo di dieci anni alla guida del paese, osservato dai predecessori dell’attuale presidente cinese.

Le nomine dei sette membri del Comitato permanente del Politburo, la cabina di regia del governo di Pechino, sembrano come minimo rimandare a data da destinarsi la designazione di un successore di Xi.
Il «dream team» dei sette capi della Cina di domani è composto infatti esclusivamente da ultrasessantenni: leader a scadenza che sanno, escluso Xi, di non poter ragionevolmente aspirare a una futura presidenza della Repubblica.
Gli osservatori di cose cinesi hanno notato l’assenza di chiunque possa rispondere all’identikit generazionale di «futuro presidente cinese»: i due candidati più chiacchierati – Hu Chunhua (classe ‘63) e Chen Min’er (classe ‘60) – sono rimasti nelle immediate retrovie dei 25 membri del Politburo.
Come se non bastasse, il Partito ha dato il via libera all’inserimento nella propria Costituzione della personale teoria politica di Xi Jinping: il «pensiero di Xi sul Socialismo con Caratteristiche Cinesi per una Nuova Era».
Significa che il Xi-pensiero entra ufficialmente a far parte del dna del Partito Comunista Cinese, appena sotto il “Pensiero di Mao Zedong” ma sopra alla “Teoria di Deng Xiaoping”: a differenza del pensiero di Deng, inserito nella Costituzione del Partito dopo la sua morte, Xi Jinping e Mao Zedong sono oggi gli unici leader cinesi ad aver visto ufficializzato il loro personale – e nominale – contributo ideologico al Partito da viventi.
Steve Tsang, direttore del China Institute della SOAS University di Londra, in un commento pubblicato dal Washington Post spiega: «[…] col suo nome incastonato nella costituzione mentre è ancora al potere, Xi si è assicurato che chiunque gli si opponga venga considerato nemico del partito. […] In qualità di leader supremo, Xi è più temuto che ammirato, pur godendo di un vasto supporto al di fuori del partito».
Forte di una leadership teoricamente incontrastabile, Xi Jinping si è rivolto agli oltre 2300 delegati del partito, riuniti nella Grande Sala del Popolo di Piazza Tian’anmen, e ha delineato un ambizioso piano di sviluppo trentennale, suddiviso in due fasi: la “nuova era” della Cina di Xi Jinping.
Come riporta l’agenzia di stampa nazionale Xinhua, citando estratti del discorso di Xi, «la Cina continuerà a costruire sopra le fondamenta create dalla “società moderatamente prosperosa”, con altri 15 anni di duro lavoro, assicurandosi che la modernizzazione socialista sia “praticamente realizzata entro il 2035”.
Entro la metà del ventunesimo secolo, la Cina diventerà “un leader globale in termini di forza collettiva nazionale e influenza internazionale” […]. Ciò significa che la Cina ha fissato un obiettivo da raggiungere entro trent’anni, e che lo slancio modernizzatore sta prendendo velocità».
A questo proposito, spiega Tsang sempre sul Washington Post: «Per soddisfare le ambiziose aspirazioni di Xi, la Cina dovrà mantenere una crescita annua del Pil tra il 6 e il 7 per cento, per i prossimi trent’anni. Per farcela, dovrà bypassare il cosiddetto “Minsky Moment” – l’improvviso crollo dei prezzi dei beni in seguito a una lunga fase di ottimismo e crescita –, risolvere il problema della rapida accumulazione di debito, superare la “middle-income trap”, occuparsi delle conseguenze del deficit demografico (fotografato in una contrazione della forza-lavoro affiancata dal progressivo invecchiamento della popolazione) e soddisfare il rallentamento globale della crescita economica».
Un’apparente missione impossibile che però, nell’ottica di Xi, poggia su basi teoriche decisamente solide, formulate negli ultimi trent’anni dallo scienziato politico Wang Huning.
Wang, 62 anni, teorico e ideologo del partito già vicino a Jiang Zemin e Hu Jintao, è considerato uomo di Xi e principale ispiratore del pensiero politico dell’attuale presidente cinese, tanto da meritarsi una inaspettata promozione proprio nel Comitato permanente del Politburo: unico, tra i sette membri, a non avere uno straccio di esperienza amministrativa diretta.

In un meticoloso approfondimento di Jude Blanchette , autorevole osservatore di cose cinesi e membro del China Center for Economics and Business di Pechino, si legge: «Gli scritti di Wang degli anni Ottanta avrebbero formato le fondamenta del cosiddetto “neo-autoritarismo”. Secondo questa dottrina, la stabilità politica forniva la struttura per lo sviluppo economico e considerazioni riguardo democrazia e libertà individuali sarebbero dovute venire dopo, in presenza di condizioni appropriate».

Interessante, a questo punto, affiancare questa estrema sintesi della dottrina di Wang al di Wang Xiangwei, che sul South China Morning Post – in un articolo intitolato “What President Xi Jinping’s New Leadership Team Means For China’s Economy” – scrive: «Nonostante la moltitudine di complimenti per i traguardi raggiunti – negli ultimi cinque anni – in campo economico, apparsi sui media ufficiali, il progresso in quell’ambito non è stato tanto grande quanto lo si pubblicizza.
Gli investitori stranieri si sono sentiti meno benvenuti, e si sono lamentati apertamente della mancanza di accesso al mercato e di altri impedimenti. Il contrario esatto della propaganda che descrive una Cina in procinto di diventare un campione globale del commercio e degli investimenti.
Ma ci sono buone ragioni per credere che le cose andranno meglio, nei prossimi cinque anni. Una è che, in questo periodo e oltre, gli affari economici saranno per Xi una priorità.

Nel suo primo mandato, la prima priorità è stata consolidare il potere, in parte attraverso i successi della campagna anticorruzione. La seconda priorità è stata fare passi drastici per modernizzare l’Esercito Popolare di Liberazione e guadagnarsi il controllo assoluto delle forze armate. […]In quest’ordine, l’economia era al terzo posto tra le priorità. Ora, avendo raggiunto i primi due obiettivi, l’economia dovrebbe salire al primo posto».
Se davvero, come sembra voler comunicare il Pcc, tutto è sotto controllo e tutto è già stato pianificato, il secondo mandato di Xi coinciderà con l’ultima fase di quell’esperimento chiamato “Socialismo con Caratteristiche Cinesi”.
Cioè aprirsi al mercato e promuovere riforme in campo economico, mantenendo però la supervisione ferrea di uno Stato forte, capace di indirizzare le traiettorie dello sviluppo senza farsi sopraffare dalle incursioni del libero mercato.
Un panorama ipotetico che Xi intende perseguire, attualizzando ricorsi storici non inediti.
Secondo questa analisi pubblicata dal Guardian, la Cina che per quattro decenni si è concentrata sulla propria crescita interna, ora, come gli Stati Uniti del Piano Marshall, con la Belt and Road Initiative punta al ruolo di prima potenza mondiale, sostituendosi alla leadership traballante di Washington.

La scommessa di Xi? Riuscirci sotto la sua guida.

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