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lun 30 gennaio 2017

SPREAD, RISCHIO ITALIA

Torna alla ribalta la parola che ha segnato l’inizio degli anni Dieci, accompagnando il terremoto dei debiti sovrani europei. Il differenziale tra il BTP italiano e il Bund tedesco ha superato i 180 punti base.

Spread. Torna alla ribalta la parola che ha segnato l’inizio degli anni Dieci, accompagnando il terremoto dei debiti sovrani europei. Il differenziale tra il BTP italiano e il Bund tedesco ha superato i 180 punti base. Gli analisti, intanto, tracciano gli scenari di una possibile impennata. Bruno Livraghi – quarant’anni, nazionalità italiana, responsabile della sede londinese di un importante hedge fund d’oltreoceano – è una leggenda della street come in gergo vengono chiamati i mercati finanziari. Sulla capacità di prevedere il futuro e giocare in anticipo, il raider milanese ha costruito un impero. Lo raggiungiamo telefonicamente a Melbourne, dove ha assistito all’epica finale degli Australian Open tra Rafael Nadal e Roger Federer, in ossequio alla sua grande passione: il tennis.
Livraghi, per chi ha tifato?
Come sempre per il vincitore.
Sui mercati, invece, la pallina sembra cadere nella metà-campo italiana. Che succede allo spread?
Il differenziale tornerà a crescere perché il debito italiano è il convitato di pietra, l’elefante nella stanza. Si può fingere di non vederlo, ma è proprio lì.
E lei? Giocherà aggressivo come Federer?
(Ride) Lo sto già facendo. Per questo compro spread: “corto” Italia, “lungo” Germania e Spagna.
Perché prevede una crescita del differenziale?
Per diverse ragioni: alcune legate alla specifica situazione italiana, altre riferibili al contesto europeo, altre ancora alla congiuntura mondiale. Quest’anno l’Italia deve rifinanziare 260 miliardi di debito pubblico in un momento in cui la BCE ha imboccato la via del tapering, cioè l’uscita graduale dal Quantitative easing con una riduzione dell’acquisto di titoli di Stato. Al tempo stesso, la situazione delle banche italiane è fin troppo nota. Sono afflitte da problemi di sottocapitalizzazione, impedite dai crediti deteriorati, gravate dalle sofferenze che – lungi dall’essere eliminate – tenderanno ad aumentare se il Paese rimarrà in stagnazione. Aggiungiamo i vincoli posti all’acquisizione di titoli di Stato d’un solo Paese, e non è difficile intuire come il margine di manovra degli istituti bancari italiani in rapporto al debito sia fortemente ridotto. E poi c’è l’endemica instabilità politica che – dal referendum del 4 dicembre a un eventuale, imminente passaggio elettorale – grava sull’Italia. Sono tutti segnali che consentono d’immaginare un rialzo dello spread.
Dallo scorso autunno l’Italia sembra al centro di un risiko volto a ridefinire il controllo di importanti asset del Paese: soprattutto nel comparto assicurativo e bancario. Questa partita influisce sulla tenuta debito?
Con l’accordo tra Amundi e Unicredit abbiamo perso il fondo Pioneer. Adesso resta Intesa, che – in caso di acquisizione di Generali – potrebbe diventare l’ultimo, grande baluardo a difesa dei titoli di Stato. E tuttavia, anche se la fusione dovesse darsi, sarà sottoposta a significativi vincoli regolamentari. Inoltre, il potenziale beneficio contabile che si registrerebbe, libererebbe capitale nel breve periodo, ma non a media scadenza.
Eppure, in passato proprio Pioneer era andato “corto” di BTP senza mostrare particolare attenzione per la “causa nazionale”. E per quanto riguarda Generali, pare che i BTP detenuti dalle assicurazioni triestine non sarebbero venduti all’eventuale nuovo gestore e che non esistano vincoli di concentrazione. Sui mercati il passaporto è un falso problema…
Mi limito a considerare come all’Italia restino solo i risparmi che, fino adesso, hanno finanziato l’enorme debito pubblico. E mi preoccupa il fatto che possano andare a finanziare debiti esteri. Se a questo aggiungiamo che molti asset manager stanno già passando in mani straniere, il rischio di ricadute sulla stabilità italiana è concreto.
In che modo la situazione europea può agire sullo spread?
Perché il 2017 sarà un anno cruciale, che potrebbe terremotare gli equilibri politici dell’Unione. Adesso si guarda alle presidenziali francesi e alle elezioni politiche in Germania. Io dico di fare molta attenzione all’Olanda, che tutti sottovalutano e – invece – è cruciale. Il passaggio elettorale del 15 marzo con un’eventuale affermazione dell’ultradestra guidata dall’euroscettico e sovranista Geert Wilders potrebbe incendiare la prateria europea più della Brexit e prima del voto francese.
Italia ed Europa… La terza dimensione, invece, riguarda la congiuntura internazionale. Come valuta l’inizio della presidenza di Donald Trump?
Come un generatore esponenziale di timori in rapporto alla crescita, che in Europa può decelerare bruscamente. Con il problema del debito, il rialzo dei tassi, e la deflazione strisciante, l’Italia rischia di trovarsi di nuovo sotto la luce sinistra dei riflettori.
Non condivide l’entusiasmo dei mercati per il nuovo Presidente?
Credo che la comunità finanziaria stia sbagliando valutazione, ignorando gli effetti devastanti che la nuova presidenza potrebbe provocare. Sulla street in tanti sognano un nuovo Reagan. Credo che in tanti avranno un brutto risveglio.
E così “shorterà” Italia.
Diciamo che non mi piace giocare in difesa, e preferisco dettare gli scambi muovendomi in anticipo. Trump accelera e accorcia il tempo, in Europa il fronte sovranista accelera, e allora accelero anch’io.
Game, set, match: sempre dalla parte del vincitore.

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