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sab 1 luglio 2017

ROTTERDAM IN PROGRESSIVA GENTRIFICATION

Rotterdam si indirizza verso la demolizione di alcune realtà di social housing e verso una progressiva gentrification. Si sbiadisce l'immagine portuale e industriale della città, che si orienta strategicamente a ospitare e intrattenere.

Il 30 novembre scorso si è tenuto un referendum importante per Rotterdam e per le sue prospettive di sviluppo. I cittadini erano chiamati a valutare il piano urbanistico comunale, che puntava a sostituire circa 20.000 case popolari con circa 36.000 immobili destinati alla fascia economica medio-alta della popolazione. Si era arrivati al referendum attraverso una petizione che aveva raccolto oltre diecimila firme. Il quorum era fissato al 30%, la partecipazione al voto si è fermata al 17%. Il referendum ha fallito.

Eppure in una città come Rotterdam la dismissione di politiche abitative attente alla marginalità si direbbe miope, oltre a spezzare la tradizionale, fortissima cura dei Paesi Bassi per il social housing. Perché a Rotterdam la disparità è fortissima. Le zone-bene, molte delle quali vengono da un processo di gentrification recente, stridono violentemente con i quartieri di mala fama, quartieri tra i più poveri dell’intero Paese. Città che gira intorno al suo porto, il più grande d’Europa. Città interamente ricostruita dopo la Seconda guerra mondiale, a seguito dei bombardamenti tedeschi. Città che negli anni Settanta ha conosciuto una crisi economica, legata al peso della funzione industriale, che è stata anche crisi identitaria. Città dove, a cavallo tra il Novecento e il Duemila, l’intervento di archistar e il Premio Città dell’Architettura 2007 non sono andati allo stesso passo delle condizioni abitative dei margini. Ma le hanno guadagnato i titoli di capitale dell’architettura contemporanea e “Manhattan” d’Europa.
Fino agli anni Novanta, il governo olandese aveva sostenuto massicciamente le municipalità locali sulla questione abitativa. La cesura degli anni Novanta in questo senso è netta: lo Stato si sfila dalla questione delle case popolari, di fatto non riconosce più la propria funzione precedente. E inizia a orientarsi con decisione al mercato, vendendo a privati gli immobili destinati all’edilizia popolare.
La situazione si acuisce negli anni seguenti, quando Rotterdam si indirizza con più fermezza verso la demolizione di alcune realtà di social housing e la cessione di altre, appunto a privati. Un momento-chiave è evidentemente il risultato delle elezioni del 2002, quando la lista di Pim Fortuyn vince ai danni dell’asse socialdemocratico-verde. Nel 2006 un documento della City of Rotterdam spiega di puntare ad attrarre, nelle “zone problematiche”, una popolazione “desiderabile”. Parallelamente la città, allentata l’immagine portuale e industriale, si orienta strategicamente a ospitare eventi culturali e d’intrattenimento. Capitale della cultura europea nel 2001. Sede del Grand Départ del Tour de France nel 2010. Il piano di rinnovamento urbanistico che si sviluppa a Rotterdam da metà anni Settanta a inizio Novanta, tiene la barra sulla centralità del social housing e preferisce intervenire con miglioramenti e integrazioni piuttosto che con demolizioni e ricostruzioni. Tra i quartieri inclusi nel piano, il caso forse più interessante è quello di Spangen, subito a ovest del centro città, costruito tra le due guerre mondiali. Interessante perché al centro di molti e diversi tentativi di trasformazione, se non di mera speculazione, eppure ancora abbastanza famigerato.

Quartiere marcatamente popolare, noto per questo a livello nazionale, dove l’amministrazione nei primi anni Ottanta interviene con la creazione di piazze, spazi verdi, un waterfront. E soprattutto con la modernizzazione di un terzo degli immobili di edilizia popolare. Un decennio dopo, però, Spangen è ancora un quartiere difficile. Forse più di prima. Spaccio, prostituzione, stigma. Gli abitanti protestano, organizzano delle ronde per sorvegliare la zona.

All’inizio degli anni Zero, l’amministrazione cittadina offre immobili a prezzi stracciati, in cambio di una ristrutturazione fisica e un cambio d’immagine. Succede a Spangen con il “Wallisblok”, ma anche in quartieri simili come Bospolder-Tussendijken e Katendrecht. Un progetto di privatizzazione che vede lo sforzo congiunto di architetti e amministratori, e nuovi residenti. I quali sono perlopiù giovani creativi, con tempo a disposizione e interessi a un profitto nel medio termine (non è permesso rivendere la casa prima di alcuni anni). A distanza di poco il progetto verrà considerato un successo. Spangen tuttavia mantiene le sue specificità, continua a esser considerato problematico e non vede crescere il valore dei suoi immobili. A limitare la crescita sembrerebbe essere la sua natura di quartiere multiculturale della città, con la schiacciante prevalenza di abitanti non-olandesi (soprattutto da Turchia, Marocco, Suriname) e una povertà altrettanto notevole.
Altrove la gentrification ha avuto vita molto più semplice.

Subito a sud del centro di Rotterdam, per esempio, il Lloyd Quarter nella zona di Delfshaven è probabilmente l’esempio di hype più spiccata. Ex area portuale e industriale riconvertita in luogo di svago, destinata a una fascia di popolazione benestante e in particolare a quella che Richard Florida chiamerebbe creative class, è oggi una distesa di caffè ricercati, ristoranti giapponesi e boutique hotel.

Hoogvliet, comune tradizionalmente autonomo rispetto a Rotterdam, è stato annesso alla città a metà del Novecento, pur mantenendo uno statuto speciale. Legata all’impianto della compagnia petrolifera Shell, l’area di Hoogvliet è stata a lungo abitata da operai che vivevano in case popolari. Ma la forte recessione degli anni Ottanta interviene a colpire Hoogvliet a colpi di stigma: nella percezione diventa un ghetto, in balia di disoccupazione e criminalità. Tra i quartieri di Hoogvliet più famigerati in quel periodo c’è Nieuw Engeland, dove si decide di intervenire all’inizio degli anni Novanta: perlopiù attraverso il rinnovamento degli immobili popolari, e solo in parte attraverso la demolizione e la costruzione di nuovi immobili popolari. Che hanno prezzi accessibili e possono assorbire gli abitanti degli immobili demoliti, senza costringerli al displacement. Alla fine del decennio, però, una nuova ondata di demolizioni a Nieuw Engeland prepara il campo a una gentrification aggressiva. Si vuole penalizzare il social housing e l’alta densità abitativa, a vantaggio di abitanti-proprietari. L’obiettivo dichiaratodell’amministrazione è di aumentare la “controllabilità” della zona.

Il porto di Rotterdam ha conosciuto un’espansione e una forte trasformazione dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento. L’area del vecchio porto (Oude Haven) viene riconvertita negli anni Settanta in zona parzialmente residenziale (tra l’altro con le famose “case cubiche”) e parzialmente destinata a musei e uffici.
Se il ruolo portuale è per tradizione l’anima di Rotterdam, il cambiamento d’uso e di spirito del waterfront sulla Nuova Mosa ha un valore simbolico altissimo. Il Kop van Zuid, di fronte al centro storico della città, si è infatti svestito della sua funzione per diventare un’area privilegiata della grande architettura contemporanea. Se ancora negli anni Ottanta era un luogo in abbandono, isolato, esempio di dismissione, oggi è un’infilata di grattacieli e palazzi di grande valore. Tra gli altri lo storico Hotel New York, che a inizio Novecento dava alloggio a chi aspettava di emigrare nel Nord America.
Il 30 novembre scorso, la domanda sulla scheda del referendum diceva: “Siete a favore o contro la housing vision di Rotterdam?”. La risposta è stata chiara. Se l’occasione era buona per lanciare un allarme, in pochi lo hanno ascoltato.

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