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MONITOR


sab 12 novembre 2016

OGGI USA, DOMANI EUROPA

Trump è diventato il 45esimo presidente degli Stati Uniti e i populisti del Vecchio Continente si sono uniti in un unico coro di approvazione, promettendo di replicare il “fenomeno” alle elezioni-test che si terranno nei prossimi mesi in Austria, Olanda, Francia e Germania. Lo squadrone europeo del repubblicano, pronto a consumare la transizione alle urne, ha il volto di Marine Le Pen, ma anche di Frauke Petry in Germania, di Geert Wilders in Olanda, Norbert Hofer in Austria. Da una sponda all’altra dell’Atlantico l'ultradestra è diventata de facto il collettore della rabbia sociale, il canale di sfogo indiscriminato della frustrazione di parte della classe media e di un pezzo della classe operaia, entrambe schiacciate da una politica distante. Gli eventi stanno cambiando il corso della Storia, mentre si sgretola lentamente la base di sostegno dei partiti tradizionali e la sinistra socialista non riesce a ricompattarsi per non soccombere. Così nel discorso politico si innestano i nazionalismi, l’urgenza apparente di riappropriarsi della sovranità nazionale, l’invenzione del nemico percepito (l’immigrato pericoloso), l’appello a un’identità cristallizzata e monolitica che rifiuta ogni tipo di contaminazione

«Abbiamo diffuso perfino le rivoluzioni, i mezzi per violare confini e rovesciare governi. Un ordine talmente grandioso da divulgare strumenti per ogni sovversione. Sono state dissipate fortune. Alcuni si sono venduti l’anima e molti sono caduti. Ma ne è valsa la pena. Siamo gli esattori di tasse occulte che tutti hanno scelto di pagare per progredire. Siamo la luce, e non è più il tempo per i profeti di apocalissi. Apri gli occhi.» Da Il crash della classe media, l’ascesa dei populismi – Il Tredicesimo piano
Il 10 dicembre 2015 “Bloomberg” scriveva: «L’Europa ha un sacco di Donald Trump». Tre giorni prima il “New Yorker” titolava: «Donald Trump è la Marine Le Pen d’America». Meno di un anno dopo, quello che a molti analisti sembrava inimmaginabile è accaduto: il tycoon repubblicano  è diventato il 45esimo presidente degli Stati Uniti e i populisti del Vecchio Continente si sono uniti in un unico coro di approvazione, promettendo di replicare il “fenomeno” trumpista alle elezioni-test che si terranno nei prossimi mesi in Austria, Olanda, Francia e Germania [qui il focus de “i Diavoli”].
In Austria le presidenziali si terranno il 4 dicembre 2016, in Olanda le politiche a marzo 2017, in Francia si sceglierà il nuovo presidente il 23 maggio 2017, al primo turno, e infine toccherà alla Germania ad inizio autunno 2017. In questo difficile 2016, sono già andati a votare, come abbiamo ricostruito qui, i cittadini tedeschi per le regionali di marzo e settembre, ma anche 1) gli austriaci, il 22 maggio, per il secondo turno delle presidenziali (voto invalidato per irregolarità); 2) gli spagnoli, il 26 giugno, per sbloccare (senza successo) lo stallo al governo (poi superato a fine ottobre); 3) gli ungheresi, il 2 ottobre, al referendum-flop sulle quote migranti, voluto da Viktor Orbán [qui il ritratto de “i Diavoli”], che ha salutato l’elezione del nuovo presidente Usa con un post su Facebook e una sua foto davanti alla tv:«Che magnifica notizia. La democrazia è ancora viva».
Lo squadrone europeo di Trump pronto a consumare la transizione populista alle urne ha il volto di Marine Le Pen, ma anche di Frauke Petry in Germania, di Geert Wilders in Olanda, Norbert Hofer in Austria.

Oggi Washington e domani Parigi, Berlino, Amsterdam e Vienna?

Da una sponda all’altra dell’Atlantico la destra populista è diventata de facto il collettore della rabbia sociale, il canale di sfogo indiscriminato della frustrazione di parte della classe media [qui il racconto del crash della middle class in un passaggio de “i Diavoli” (Rizzoli 2014)] e di un pezzo della classe operaia (non tutta, come spiega qui “The Intercept” nel caso americano), entrambe schiacciate da una politica distante e un’economia sempre più lontana dalle esigenze industriali locali.
Gli eventi stanno cambiando il corso della Storia, mentre si sgretola lentamente la base di sostegno dei partiti tradizionali e la sinistra socialista non riesce a ricompattarsi per non soccombere. Così nel discorso politico si innestano i nazionalismi, l’urgenza apparente di riappropriarsi della sovranità nazionale, l’invenzione del nemico percepito (l’immigrato pericoloso), l’appello a un’identità cristallizzata e monolitica che rifiuta ogni tipo di contaminazione.
Il rischio sembra tradursi in una formula: oggi gli Usa, domani l’Europa. Come avevamo raccontato qui, l’Unione del dopo-Brexit è un ossimoro già nei termini: è divisa. Per arginare l’onda populista, si rifugia in un discorso politico ambiguo rispetto ai suoi princìpi fondatori, appellandosi a concetti come: difesa, protezione, preservazione, controllo, forza. Alle rivendicazioni popolari contro la disuguaglianza sociale e l’arrivo dei migranti, Bruxelles risponde con un doppio registro: richiama all’accoglienza, ma predispone il controllo degli ingressi nella fortezza Europa e si prepara alla securizzazione del territorio.

Francia. La retorica di Le Pen e il «ritorno dei popoli liberi»

In prima fila, a festeggiare l’elezione del tycoon del GOP, c’era proprio Marine Le Pen, leader del Front National che ha scalato i sondaggi francesi (in percentuale il suo è il primo partito ed è molto probabile che arrivi al ballottaggio alle presidenziali di primavera 2017 in Francia). Su Twitter ha scritto: «Quello che è successo questa notte non è la fine del mondo, è la fine di un mondo. La sua elezione è una buona notizia per il nostro Paese. I suoi impegni saranno benefici per la Francia». E ancora, secondo Le Pen «è il ritorno dei popoli liberi e di un’immensa sete di libertà». La bionda pasionaria di ultradestra ha ripetuto sistematicamente in diversi tweet due concetti: la sovranità popolare e la libertà del popolo, appellandosi dunque alla “pancia” del Paese.
Cosa hanno in comune Marine e “the big” Donald? Di certo la retorica incendiaria contro l’immigrazione, ma i punti di contatto sono svariati: dall’agitazione delle folle contro l’establishment alla legittimazione dell’odio xenofobo degli ambienti di ultradestra. Trump vuole costruire un muro con il Messico per bloccare gli ingressi illegali ed è intenzionato a fermare i musulmani che vogliono entrare negli Usa. Le Pen, invece, ha paragonato i musulmani che pregano per le strade di Francia all’occupazione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale e si oppone alla redistribuzione dei migranti.
Nel giorno dell’incoronazione di Trump, a tradurre in un tweet un pezzo di storia del mondo in trasformazione (purtroppo verso derive xenobe) è stato Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front National ed ex presidente francese, noto per le sue posizioni di estrema destra e le uscite anti-semite. Quando in Europa era già la mattina del 9 novembre e le tv di tutto il mondo annunciavano i primi risultati del voto Usa, ancora prima della figlia, Le Pen padre twittava: «Oggi gli Stati Uniti, domani la Francia». E ancora: «Formidabile calcio nel sedere ai sistemi politico-mediatici mondiali e anche francesi (…) I popoli hanno bisogno di verità e coraggio. Brava America. Viva Trump».
Che succederà alle urne nel 2017? “Marine Président”, come recita il suo slogan elettorale, diventerà realtà e dunque la leader del Front National riuscirà a conquistare l’Eliseo? Di sicuro, a sinistra la situazione è difficile. Il presidente François Hollande non sarà il candidato automaticamente nominato della gauche socialista. Le primarie sono fissate per il 22 gennaio 2017, così come accadrà nella destra repubblicana il 20 novembre. Tra i candidati, a sinistra ci sono l’anti-Hollande ed ex ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg, e Benoît Hamon, già ministro dell’Istruzione; a destra è molto probabile uno scontro a due, nonostante ci siano più candidati: l’ex presidente Nicolas Sarkozy e l’ex premier Alain Juppé.

La tedesca Petry: «Trump ha in mano la carta della svolta»

Frauke Petry, leader della Alternative für Deutschland, è il volto pulito della destra populista tedesca [qui il ritratto de “i Diavoli”]. Anche lei, come Trump, vede nell’Islam una minaccia. Anzi, è proprio convinta che sia «incostituzionale», considera «i musulmani non graditi» e in passato si è anche detta pronta a «sparare ai migranti» se necessario.  Proprio per tutti i motivi snocciolati sopra, ha accolto il trionfo elettorale del magnate americano come un colpo “necessario” alle élite.
«È arrivato il momento che anche negli Stati Uniti d’America coloro che ne sono stati privati dall’establishment riacquistino la loro voce», ha commentato. «La maggior parte del popolo americano ha voluto un nuovo inizio politico. Dopo la vittoria elettorale di Trump anche i rapporti transatlantici devono essere rivisti». Ha aggiunto: «Questo risultato elettorale è incoraggiante per la Germania e per l’Europa, perché Trump ha effettivamente in mano la carta della svolta politica», perché «proprio come gli americani non credono ai sondaggisti dei media mainstream, i cittadini tedeschi devono trovare il coraggio di andare alle urne e non restare a casa», per mandare a casa i vecchi partiti.
Beatrix von Storch, leader della AfD di Berlino ha scritto su Facebook: «Non solo negli Stati Uniti, ma anche in Germania i cittadini vogliono confini sicuri, meno globalizzazione e politiche di buon senso che siano più concentrati sul loro paese».
Che diranno i tedeschi alle urne? La data delle elezioni non è ancora stata stabilita, ma di certo si dovranno tenere tra il 27 agosto e il 22 ottobre 2017. Angela Merkel, cancelliera ed esponente della Cdu, non ha ancora deciso se scenderà in campo. Il suo contestato slogan e «Wir schaffen das» («Ce la faremo») e la scelta di tenere le porte aperte ai migranti non l’ha aiutata alle regionali della primavera e dell’autunno di quest’anno.
Il 5 settembre 2016, dal Meclemburgo-Pomerania è arrivata la sconfitta, proprio nel Länd dove Merkel ha il collegio per il Bundestag, nello stesso luogo dove sono arrivati appena 23 mila migranti (tutti i dati qui) e dove la retorica anti-Islam dei populisti di destra dell’AfD  ha raccolto consensi. Come abbiamo spiegato già qui, in quel caso hanno votato circa 800 mila persone, su una popolazione di 1,6 milioni nel Länd, rispetto agli 80 milioni totali. Numeri piccoli, dunque, ma dall’alto valore simbolico, visto che la popolarità di Merkel è scesa dal 67% al 45% in un anno e – come raccontato qui  l’intenzione dell’ala (destra) bavarese del partito della cancelliera è quella di proporre una selezione degli immigrati in base alla religione.

Wilders pronto a riprendersi l’Olanda proprio come Donald gli Usa

«Congratulazioni. La tua vittoria è storica e per tutti noi. Gli americani si riprendono il Paese. Così faremo noi», ha twittatoGeert Wilders il 9 novembre, il cui slogan elettorale somiglia molto a quello del cugino americano: «L’Olanda torni a essere nostra».
Il suo “partito della libertà”, PVV, è il più popolare dei Paesi Bassi: euroscettico, pronto a un referendum per chiedere l’uscita dall’Unione europea e deciso a vietare le moschee.
Il 15 marzo 2017, gli olandesi dovranno scegliere i prossimi 150 rappresentanti del Parlamento (la cosiddetta «seconda Camera»). Nel manifesto di undici punti, pubblicato ad agosto su Facebook, Wilders scrive che la sua priorità è la de-islamizzazione della terra dei tulipani: moschee e scuole coraniche chiuse, bandito il Corano, vietato il velo integrale in pubblico, chiusi i centri di accoglienza profughi e sigillati i confini.

«Bisogna imparare la lezione americana», parola dell’austriaco Hofer

Per Norbert Hofer, leader dell’ultradestra nazionalista della Fpö e candidato alle presidenziali del 4 dicembre 2016, dal trionfo di Trump alla Casa Bianca bisogna imparare una lezione: «È stato dimostrato che quando le élite si allontanano dai cittadini, vengono sostituite». I tecnocrati europei, a detta sua, «devono capire che bisogna tener conto delle paure e delle preoccupazioni dei cittadini, e adottare misure migliori».
Come abbiamo raccontato anche qui, il candidato Fpö fomenta la retorica di un’identità austriaca-mitteleuropea da preservare contro una presunta invasione e paventa l’ipotesi di un’uscita Öxit dall’Ue.Hofer, che vuole la riforma del voto per posta, punta su un’alleanza con i popolari della Övp per cercare di apparire meno estremista e guadagnare consensi anche al centro.
Il 4 dicembre 2016 vedremo cosa decideranno gli austriaci: se confermeranno o meno la vittoria di Alexander van der Bellen, indipendente sostenuto dai Verdi, ottenuta il 22 maggio, salvo poi essere annullata per irregolarità dopo un ricorso degli ultranazionalisti.
Il nemico è l’archetipo che domina l’Europa: il liberal-xenofobo, colui che accetta supinamente il dominio del capitalismo globale e considera lo straniero come la minaccia per definizione. Occorre rovesciare questo paradigma: è il capitale che crea le migrazioni di massa e deprime il lavoro, ed è il capitale che – circolando selvaggiamente alla ricerca di ecosistemi perfetti e bacini d’estrazione sempre nuovi – devasta l’ambiente, ridelinea gli assetti geopolitici, detta deleteri cambi di regimi in giro per il pianeta. Lo xenofobo liberale non capisce che è proprio l’ottusità della sua ideologia a generare disastri e catastrofi. Concentrato sul sintomo, ignora la causa che lo produce. Le migrazioni di massa sono il motore del tardo-capitalismo: prima, vengono indotte, poi osteggiate. Da La quarta via – Il Tredicesimo piano

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