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lun 9 ottobre 2017

PERCHÉ LA BREXIT NON VA AVANTI

Il conto da pagare, i diritti dei cittadini Ue e la questione irlandese: sono tre i punti critici dei negoziati per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, arrivati al quinto round. Intanto Theresa May, con la sua strategia del sottomarino, prova a tenere a bada i critici in casa e si prepara "ad ogni evenienza" (fallimento compreso).

C’è una storia di cui tutti parlano e di cui praticamente nessuno ha chiari i dettagli. La chiamano Brexit, ufficialmente uscita della Gran Bretagna (in realtà del Regno Unito) dall’Unione europea. Inizia (ma non finisce, perché l’epilogo è ancora da scrivere) nel 2016, l’anno zero della grande contesa: quella tra Leave and Remain, andare via o restare Da Storia (incompleta) della Brexit
È autunno inoltrato e i negoziati della Brexit sono arrivati al quinto giro di giostra. Al tavolo si discutono le condizioni di un divorzio difficile, ovvero dell’uscita di Londra dall’Unione europea. Seduti a contrattare ci sono la squadra di Michel Barnier della Commissione europea e quella del ministro britannico David Davis. Le trattative si sono arenate, troppo “frustranti” per la premier britannica Theresa May, che – nonostante si dica “sicura di trovare un accordo” – si sta comunque preparando ad “ogni evenienza”. Ergo: anche a consumare il fallimento dei negoziati.

I tre nodi cruciali che bloccano i negoziati

La Gran Bretagna di oggi, quella fiera e tracotante descritta da Theresa May a Firenze, ovvero quella del “siamo la quinta potenza economica del mondo”, con “un popolo indomabile”, e con un destino post-Brexit “luminoso”, ancora non vuole cedere su due punti fondamentali. Il primo riguarda i diritti dei cittadini europei che vivono oltre Manica (ma anche i britannici che abitano in Europa).

Se è vero che a May interessa il turismo dei capitali e meno la libera circolazione di tutte le persone, finora sembra che nessun cittadino europeo dovrà andare via dal Regno Unito causa Brexit. A tutti i cittadini Ue verrà data la possibilità di regolarizzare il proprio status [qui tutti i dettagli in un policy paper di 15 pagine, ndr], la promessa per ora è nero su bianco. Il punto critico è la Corte di giustizia europea: l’Europa vuole che i diritti sociali ed economici dei cittadini siano garantiti e chiede che la Corte resti organo giurisdizionale, ma i britannici non cedono. Il piano di Londra sarebbe quello di inserire l’intesa finale all’interno dell’ordinamento giuridico locale.

Altro tasto dolente sono le spese da pagare rispetto agli impegni presi in merito al bilancio Ue. Quanto costerà la separazione a marzo 2019 (May ha chiesto una transizione morbida fino al 2021)? Il tira e molla è sempre sulle cifre: Londra punta a pagare 20 miliardi di euro, ma le stime parlano di numeri compresi tra i 60 e i 100 miliardi di euro.

In realtà c’è anche un terzo nodo che rallenta i negoziati e viaggia sulla rotta Belfast-Dublino: la definizione della frontiera dell’Irlanda del Nord (oggi parte del Regno Unito) e la Repubblica d’Irlanda.

La roadmap della Brexit

Dal 9 al 12 ottobre si tiene la tornata numero cinque delle trattative ed entro la fine del mese la Commissione europea dovrà portare i risultati dei colloqui davanti al Consiglio europeo.

In quella sede si spera in un passo avanti da parte dei 27.

May e la “strategia del sottomarino”

Negoziati a parte, per May le grandi tensioni sono in casa. La donna del “Brexit significa Brexit”, ex ragazza diligente venuta dalle contee sud d’Inghilterra e arrivata fino al numero 10 di Downing Street, deve gestire le pressioni del ministro degli Esteri Boris Johnson che ha fissato i suoi quattro paletti sulla Brexit.

Ecco le sue “red lines”, snocciolate in un’intervista a The Sun: 1) la transizione deve durare due anni “e non un secondo di più”; 2) Londra non dovrà seguire nessuna disposizioni della Corte di giustizia europea durante la transizione; 3) Dopo il periodo di transizione l’accesso al mercato unico per il Regno Unito dovrà essere gratuito; 4) Nessuna legge Ue dovrà regolare l’accesso di Londra al mercato unico. Tutto ciò significa che dietro le quinte i sostenitori della hard Brexit potrebbero essere già pronti ad eseguire un sabotaggio dello stile May.

Ma la premier è conosciuta per essere molto scaltra. Craig Oliver, per cinque anni responsabile comunicazione e spin doctor dell’allora primo ministro conservatore David Cameron, nel suo Unleashing Demons. The inside story of Brexit (Liberare i demoni. L’inside story della Brexit, ndr), descrive la premier britannica come un personaggio difficile e a tratti incomprensibile. Allora (gennaio 2016) l’austera May, già alla guida degli Interni, non faceva dormire sonni tranquilli al premier. Il motivo era quella sua “strategia da sottomarino”, quasi mai incline a parlare con i giornalisti, anzi pronta a “evitare i media quando possibile”, ma sempre ambivalente e all’apparenza disposta a stare da entrambe le parti della barricata (ufficialmente con il Remain, ma forse con un debole per il Leave).

Stando alle indiscrezioni della stampa britannica, May sta studiando un piano di rimpasto di governo per fare fuori Johnson e – scrive il Sunday Telegraph – “miliardi di pound saranno sbloccati l’anno prossimo nel caso in cui non si facciano progressi sulla Brexit”. Vedremo
“Un gioco delle parti, il teatro inglese. Roba da buffoni. La politica ridotta a parodia, come questa “battaglia navale” sul Tamigi, che è farsa e tragedia insieme”. Da Brexit, battaglia navale — il Tredicesimo piano

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