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VISIONI


lun 4 giugno 2018

IL GIORNO CHE L’EUROPA SALVÒ IL MONDO-PT.1

Domani è il grande giorno, il sogno degli Stati Uniti d’Europa comincia a diventare realtà. Tra quarantotto ore, l’età apertasi col Nixon shock sarà un ricordo. L’obiettivo è uno: fare della zona Euro un’unione politica, fiscale e bancaria. Un’impresa politica e finanziaria senza precedenti: creare le basi monetarie per una democrazia compiuta, oramai matura, capace di dare corso all’antico sogno di un manipolo di coraggiosi. Domani è il giorno in cui l’Europa salverà il mondo.

Doha, 5 giugno 2018.
Conferenza di Pace sulla Siria.
La villa messa a disposizione dal governo qatariota si trova nell’elegante quartiere diplomatico della Capitale. È stata una giornata dura. Meglio approfittare degli agi e delle comodità che solo una cultura erudita come quella islamica è in grado di offrire. Nessuna concessione all’edonismo, solo la messa in opera del sublime. Su questa terra. Qui e ora.
Inshallah.
Il ministro degli Esteri dell’Unione Europea, un olandese corpulento dal naso arrossato, osserva di sottecchi la ministra della Difesa, un’italiana con un paio di gambe da urlo. Gioca in un altro campionato per lui. Ma dopo quello che hanno fatto, stasera tutto sembra alla portata.
La pace non sembrava possibile. Non in Siria. Eppure…
Eppure ci sono riusciti. Dopo mesi di duro lavoro, gli accordi di Doha sono realtà. Un documento decisivo, che porta stabilità in Siria e nella penisola arabica. Il momento chiave, che ha permesso all’Europa di diventare protagonista sulla scena internazionale, è stata la decisione, all’alba del nuovo millennio, di abolire il Trattato di Maastricht.
DOCUMENTO 1
Parere riservato sulla consegna anticipata delle banconote e monete denominate Euro (CON/2001/41), Francoforte, 31-12-2001.
***Documento secretato*** – Non pubblicabile nella «Gazzetta ufficiale dell’Unione europea».
[…] Domani è il grande giorno, il sogno degli Stati Uniti d’Europa comincia a diventare realtà […] Tra quarantotto ore, l’età apertasi col Nixon shock sarà un ricordo. L’obiettivo è uno: fare dell’Euro la valuta di riserva globale, sostituendo il dollaro.
Sono state arginate le speculazioni finanziarie degli ultimi tre anni, grazie all’attiva partecipazione delle banche centrali dei dodici paesi fondatori. Oggi la nostra moneta si scambia a 1,04$, la prospettiva è di uno scambio a quota 1,25 entro l’anno, per toccare la fatidica soglia del raddoppio alla fine del decennio […]
Da domani cominceremo a competere sui mercati globali alla pari con gli USA. Se i pionieri si sono mossi verso Occidente, e duecento anni dopo i cowboy procedevano nella stessa direzione, l’Europa percorrerà strade più antiche e insieme più moderne. Tra quarantott’ore saremo di nuovo in viaggio lungo le Vie della Seta e in prima linea nel varcare le promettenti frontiere d’Oriente, Cina e India in primis […], senza trascurare le potenzialità del Sud America.
Il tempo del “giardino di casa” a stelle e strisce sta finendo.
[…] L’Euro è stata un’impresa politica e finanziaria senza precedenti. La decisione razionale: creare le basi monetarie per una democrazia compiuta, oramai matura, capace di dare corso all’antico sogno di un manipolo di coraggiosi. […]
Per questo era fondamentale che la nuova moneta non diventasse una gabbia valutaria: il paradiso per la potenza mercantilista tedesca, l’inferno per la cosiddetta “periferia”.
Domani infatti sarà solo l’inizio di un percorso tanto ambizioso quanto complesso, dove ciascun paese – e tutti insieme – dovranno cooperare per escludere la possibilità di scommettere su diverse velocità all’interno dell’Unione continentale. Toccherà a noi impedire di “cavalcare l’onda”, giocando allo scoperto, non più sulle valute nazionali ritenute deboli, ma sul differenziale tra i tassi di rendimento delle obbligazioni dei Paesi membri. […]
Sono state decisive in tal senso le risoluzioni del Trattato di Atene del 1999, e le modifiche dei vecchi accordi di Maastricht in quegli aspetti comunemente definiti “ordoliberali” che prevedevano la concorrenza nei rapporti tra gli Stati membri.
All’interno di un’economia di libero scambio e libero mercato era necessario sostituire il “principio di sussidiarietà” con una diversa e più lungimirante “dottrina della cooperazione”.
Un processo virtuoso per impedire che sulla medesima strada, ingabbiate nei medesimi parametri, corressero automobili a diversa velocità – aprendo il fianco alla possibile speculazione sui differenziali – e per intraprendere, al contrario, un viaggio in cui le diverse caratteristiche di chi lo compie siano funzionali all’intero sistema.
Per questo domani è solo il primo passo. Dopo l’unione monetaria sarà il momento dell’unione fiscale, bancaria e politica. Solo così si realizzerà il sogno di una comunità di uomini e donne che, dopo millenni di sangue versato nel nome di inesistenti confini interni, mettano in comune ciascuno quello di cui dispone per vivere in concordia e armonia.
Per rendere l’Unione europea se non il migliore dei mondi possibili, almeno il luogo migliore in cui stare al mondo.
[…] Da domani l’Europa è pronta a mostrare la sua leadership, ferma e gentile, al resto del pianeta Terra, a indicare un orizzonte di crescita, benessere e libertà.
Il ministro dell’Economia dell’Unione europea, un francese che di recente ha suscitato un certo scalpore per essersi presentato a Doha con il suo compagno, osserva dalla finestra la distesa labirintica di palme secolari e fontane intarsiate. Inspira l’aria pungente del deserto. Il suo lavoro comincia ora.
Il capolavoro dell’Unione europea, dopo avere inviato per la prima volta il suo esercito in una delle più difficili missioni di peacekeeping, è infatti quello di aver lavorato con le grandi potenze globali per trasformare l’accordo di pace di Doha nel punto di partenza per una profonda ristrutturazione delle relazioni politiche ed economiche in Medioriente.
Dopo nemmeno un quarto di secolo dalla strage di Srebrenica, il mattatoio che ha sublimato secoli grondanti il sangue d’infinite guerre intestine, per la prima volta Europa è diventata sinonimo di “pace e fratellanza”. Tutto è cominciato con l’unione politica del vecchio continente, cui seguirono quella fiscale e bancaria. Il ministro torna dai suoi colleghi e mostra una vecchia mail, intercettata dal servizio di intelligence continentale.
DOCUMENTO 2
9 luglio 2006
[mail inviata dal responsabile del fixed income londinese di una grande banca d’affari a un esponente del board a New York City]
Mittente: d***k****n@****.co.uk
Oggetto: “L’unione politica, fiscale e bancaria della Ue ci ha fottuti.”
***Confidenziale – Cancellare dopo lettura***
L’unione politica ci ha fottuti. Poi quella fiscale e quella bancaria sono arrivate di conseguenza. Ma è stata l’unione politica il principio di tutto.
Abbiamo provato a contrastarla in ogni modo, finanziando i vari movimenti euroscettici del continente, sovvenzionando ricerche che presentassero la costituzione di un governo europeo come la fine della democrazia, la cessione di sovranità degli Stati nazione come la causa di ogni crisi economica vissuta o immaginata.
Abbiamo fallito.
A Berlino hanno creduto ai greci e agli italiani, la feccia mediterranea, i dannati d’Europa. In Germania si sono bevuti le storie sulle antiche democrazie di Atene e Roma, sulla possibilità di un Impero il cui centro non comandasse la periferia, bensì regolasse un sistema di reti capaci di sostenersi tra loro.
E ci hanno fottuto, bloccando ogni margine di manovra speculativa.
La genesi del male è stato il trattato di Atene del 1999 (ancora i greci), quando decisero di cancellare il paradigma della concorrenza e scelsero l’esempio virtuoso del New Deal, puntando sul meccanismo di riciclaggio politico degli avanzi attivi.
Un reinvestimento delle eccedenze e dei surplus commerciali, possibili solo con un Governo centrale competente nel merito e provvisto della necessaria autorità per intervenire in materia economica e fiscale.
Ti faccio un esempio: se non ci fosse stato quel dannato meccanismo di controllo federale, ci saremmo già mangiati la Grecia (sempre loro!). Altro che le briciole che abbiamo fatto con le Olimpiadi del 2004.
Invece, al principio della crisi, davanti al dilagare della disoccupazione, ai fallimenti, alle insolvenze, ai sequestri di case e attività commerciali, il ministero degli Interni dell’Unione europea, in collaborazione con quello delle Finanze, non ha abbandonato a sé stessa l’ultima ruota del carro.
Hanno attivato il Fondo per la Sicurezza Sociale (FSS).
E non si trattava di un mero aiuto sussidiario, bensì di un meccanismo antibiotico che impedisce il contagio da una cellula all’altra all’interno dello stesso corpo.
Il FSS ha accumulato negli anni gli avanzi attivi e i surplus dei Paesi virtuosi e, investendoli in un’operazione di salvataggio del piccolo, medio e grande risparmio greco, ha permesso ad Atene di riprendersi e agli Stati membri di rimanere immuni dalla diffusione dell’epidemia.
Dopo l’unione politica, con la creazione di un vero e proprio Governo e quindi di un potere “sostanziale”, si poteva creare un’unione fiscale.
Ovviamente le diversità di carico fiscale dei diversi paesi non si sono livellate in un giorno, ma sempre seguendo la “dottrina della cooperazione” è stata introdotta un’imposta, disciplinata dallo statuto fiscale europeo delle imprese, da riscuotere su base nazionale ma gestita a livello federale.
Questo ha permesso di rompere la “gabbia dorata” dei vincoli e di proporre una fiscalità radicalmente diversa, finalizzata allo sviluppo e alla redistribuzione all’interno di una collettività più ampia.
E ha impedito che i Paesi della “periferia” utilizzassero la fiscalità come leva per rendersi più attrattivi rispetto ad altri – pensa ai soldi che avremmo potuto fare se, puta caso, Dublino avesse offerto un trattamento privilegiato alle multinazionali della tecnologia, un dumping fiscale che avrebbe avuto la splendida ricaduta a effetto di un dumping salariale all’interno di tutta la Ue… nel quale saremmo sguazzati come squali in un mattatoio marino, cazzo!
Realizzata la fottuta unione politica e la conseguente unione fiscale, invece, è stata inevitabile anche l’unione bancaria.
Anche qui, si sono tenuti alla larga da una serie di inutili cavilli burocratici come i meccanismi di vigilanza e risoluzione, puntando su una vera e propria armonizzazione, oltre che del finanziamento, anche della previsione e gestione del rischio, che ha portato a un consolidamento del settore.
Questo passaggio ha consentito alla Ue di aprire definitivamente le porte agli investimenti nel Medio e nell’estremo Oriente, mentre ha impedito a noi di guadagnare miliardi dal fallimento del progetto europeo.
Se, come ha detto qualcuno, siamo l’epicentro del terremoto che può frantumare l’economia mondiale, è stato solo costruendo quella maledetta casa antisismica dalle fondamenta politiche, fiscali e bancarie che l’Unione europea è rimasta in piedi di fronte a noi. E ci ha fottuto.

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