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MONITOR


mer 25 ottobre 2017

CORBYN CONTRO TUTTI

Quando si espone l’alogenuro d’argento alla luce, si ottiene un annerimento tanto più denso quanto più alta è la densità luminosa. È il negativo della fotografia. Jeremy Bernard Corbyn è il negativo di cinquant’anni di politiche europee. Corbyn contro tutti.

Quando si espone l’alogenuro d’argento alla luce, si ottiene un annerimento tanto più denso quanto più alta è la densità luminosa. È il negativo della fotografia. Jeremy Bernard Corbyn è il negativo di cinquant’anni di politiche europee. Corbyn contro tutti.
Personaggio mite, riservato, ha vissuto all’ombra gran parte della sua carriera politica. Poi la luce dei flash si accende improvvisa su questo vecchio socialista inglese quando, nel settembre 2015, diventa a sorpresa il leader del Labour Party. E imprime sulla lastra un’immagine latente, non ancora del tutto visibile.
Per molti è un fuoco fatuo, una fiammella destinata a spegnersi in fretta. A sorpresa invece Corbyn tiene. Seppur non visibile a occhio nudo, il processo chimico innestato dall’emulsione corbyniana attecchisce ovunque. Alle elezioni generali del 2017 in Gran Bretagna arriva a sfiorare una clamorosa rimonta. Poche settimane dopo, sul palco del Festival di Glastonbury, la rock star è lui. “Stop that train, we wanna get on”.
Corbyn è il negativo della politica neoliberale, intesa come architrave dei principi e delle norme che mettono lo Stato al servizio dell’impresa, è il negativo della supremazia del diritto privato sul diritto pubblico.
È il negativo di quei partiti socialdemocratici che hanno abdicato con consapevolezza al dominio della politica dell’offerta su quella della domanda, e ora si stanno giustamente estinguendo. È il negativo di coloro che utilizzano la lotta all’immigrazione come dispositivo di controllo sulle classi medie impoverite. È il negativo delle politiche estrattive senza fondo che stanno disintegrando il pianeta.

Quando la giusta dose di metolo e idrochinone – idee rivoluzionarie nella loro semplicità – amplificano la fotolisi dell’argento, l’immagine di Corbyn diventa visibile a occhio nudo. Il corbynismo si espande, travalica i confini britannici.

Nulla di messianico, nessun culto della personalità, l’immagine di Corbyn diventa immagine multipla di ciascuno di noi. Nella camera oscura la luce prende il posto dell’oscurità. L’uomo anziano che ha sempre vissuto nell’ombra, il vecchio londinese marxista fuori dal tempo, diventa la possibilità di una politica del presente. Jeremy Bernard Corbyn è il positivo di una nuova utopia politica.
C’è qualcosa di molto concreto che si aggira per l’Europa. Non è uno spettro. La sua funzione non è di spaventare la classe dominante, né tantomeno di rovesciarla. Ma di fornirle una sponda, teorica e pratica. È la variante populista.
Sulle pareti del contemporaneo, protetti dalle nebbie della peggiore crisi di sistema, spuntano come muffe i cani da guardia di Monsieur le Capital. Si raccontano come reali interpreti dei bisogni del popolo, si autocertificano come emanazioni dirette delle istanze popolari. Però il popolo se lo devono fabbricare, ammettono. Cucire su misura. Loro. Corbyn non ha bisogno di confezionarsi un popolo, Corbyn ha un partito da mettere al servizio del popolo.
Costruire un popolo. Servire il popolo. L’ombra. La luce.

Corbyn punta al centro. È la mossa del cavallo.
Come non crede a un alto e a un basso che abbiano sostituito la destra e la sinistra così non punta a un centro che è in mezzo tra la destra e la sinistra. Punta al centro storicizzato al 2017, spogliato di ogni rimando politologico e inteso come centro del problema. Centro della maggioranza, della collettività. Baricentro della politica.
E allora diventa centrale tutto ciò che era periferico. La tutela ambientale, il paesaggio urbano devastato dalla speculazione, il diritto all’abitare, la sanità pubblica, le reti ferroviarie, le reti delle telecomunicazioni.
Non più il decoro asettico che maschera la gentrificazione, la sanità che diventa industria, l’ambientalismo che si fa green capitalism per start up rampanti. Oltre il recente passato del Labour, dentro al Labour.

Corbyn non usa il popolo per giustificare la sua esistenza, utilizza le vie tradizionali del partito. E solo dopo chiede l’approvazione del popolo, che non è suo ma che lui si offre di rappresentare.
È la risposta della politica alla vacuità del populismo. È il significante che latita a chi urla strali contro le caste, i plutocrati sionisti, i migranti.
Va diretto all’obiettivo più grande, allo smantellamento dell’infrastruttura politico-finanziaria dominante. Mai come ora è corretto parlare di neoliberismo, perché Jeremy Bernard Corbyn ne è il grande nemico. Ne ha individuato i meccanismi. E mostrandoli, certificandone l’esistenza, ne autorizza e ne decreta la fine.
L’uomo anziano che ha sempre vissuto nell’ombra, il vecchio londinese marxista fuori dal tempo, sfida la variante populista sul suo terreno.
Gioca sulla capacità di tenere insieme pezzi di knolewdge workersdelle metropoli e pezzi di working class, di ceto medio impoverito e di eccedenze proletarie mai arricchite. Senza puntare alla proficua ambivalenza filosofica, si inserisce nella terra di mezzo concreta, abitata.

Lo Stato come luogo agito del diritto pubblico, della cittadinanza. Non la piccola patria dei muri e dei confini, su cui esercitare la sovranità.

Lo Stato che osa intervenire sulla gig economy: il paradiso del tardo capitalismo, l’utopia dei post capitalisti. “Immaginate un’azienda tipo Uber gestita in modo cooperativo dai suoi autisti, che collettivamente controllano il loro futuro, si accordano sulla paga e sulle condizioni di lavoro, con tutti i profitti condivisi o reinvestiti”.
Aspettando l’accelerazione finale, l’intelligenza artificiale come gestore ultimo del lavoro vivo, si reinventa un mutualismo che non è nostalgico retaggio novecentesco ma capacità di storicizzare il presente.
Il punto qui è proprio gestire i passaggi intermedi. Smantellare tutti i dispositivi di sfruttamento del lavoro di logistica occultati sotto l’ombrello astratto della tecnologia.

Tenere insieme il lavoro materiale sostituito dalle macchine e il lavoro immateriale creato dalle macchine. Cercare il centro tra neo-luddismo e tecno-entusiasmo, studiare il baricentro del lavoro modificato dalla tecnologia e dalla globalizzazione. Affrontare la fine del lavoro.

Se la grande crisi della socialdemocrazia europea è figlia della dissoluzione della sua classe di riferimento, che frazionata si è accasata in un’offerta politica disomogenea che va dai populismi identitari alle posizioni neoliberali, qui non si tratta di costruire un popolo immaginario, ma di riunificare un popolo che va dall’imprenditore di sé stesso all’operaio classico, dal lavoratore della gig economy al cognitariato immateriale. E di rappresentare il popolo, servendolo.
Quella rappresentanza che nel 2017 sembra una bestemmia, ma non lo è. Perché bisogna anche superare la retorica della democrazia diretta. In attesa della sua estinzione, lo Stato torna centrale nel suo esercizio del diritto pubblico.
Quando si espone l’alogenuro d’argento alla luce, si ottiene un annerimento tanto più denso quanto più alta è la densità luminosa. È il negativo della fotografia.

Jeremy Bernard Corbyn è il negativo della variante populista. È il negativo delle politiche europee passate e presenti. Rovescia la realtà, la ribalta. È il negativo dell’oggi come dato e immutabile.

Ci racconta come l’architrave economico-finanziario costituito da cinquant’anni di politiche neoliberali sia il primo grande nemico della collettività e dei beni comuni. Il centro è la difesa dei beni comuni. La dimensione della torta intesa come prodotto interno del mondo o di ogni singolo paese diventa irrilevante se non viene redistribuita equamente: la ricchezza delle nazioni passa per le politiche redistributive.
E nel 2017 redistribuire vuol dire eliminare le esternalità ambientali create dalle aziende, vuol dire curare tutti, trasportare tutti, educare tutti, dare un tetto a tutti.
Vuol dire combattere il cannibalismo degli immobiliaristi, il cannibalismo degli inquinatori seriali, il cannibalismo dei finanzieri senza scrupoli. Questo è il centro. Questo è il nuovo baricentro corbyniano. La ricchezza monetaria può anche essere lasciata a chi la persegue, senza essere demonizzata, ma la rat race globale a scapito della collettività è insostenibile.
Se mai governerà, Jeremy Corbyn sarà la sciagura dei mercati finanziari. Le contraeree mediatiche sono già pronte a riversare tonnellate di piombo sui pericoli del corbynismo, sul rischio di trovarsi in un’immensa Caracas con le code ai supermercati, la benzina razionata.
La contro-reazione è pronta. Ci saranno repressione e piccole concessioni: repression and cocession. Magari saranno eliminati gli impresentabili: Theresa May, Donald Trump. Ma il sistema dovrà reggere.

Perché a rischio non sono più soltanto i mercati, ma tutti i dispositivi di controllo ben collaudati negli ultimi quarant’anni. Non deve esistere alternativa all’eterno presente. Bisogna trovare il negativo della fotografia. E bruciarlo.

Ma Corbyn è già passato dalla camera oscura del suffragio popolare. Ha ottenuto la delega della rappresentanza. I neri sono diventati bianchi. Le ombre, luci.
Corbyn è il positivo di una nuova speranza politica.
Guardare la fotografia, da qui, da oltre duemila chilometri di distanza, e capire che sta indicando un percorso. Camminare anche noi su questa strada, senza timore di apparire fuori dal tempo. Anzi. Curvare il tempo. Scardinare i dogmi fissati nel linguaggio e provare nuovi varchi, altre intersezioni. Lì, dove è la fotografia di Jeremy Bernard Corbyn.

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