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gio 22 giugno 2017

CHICAGO SOTTO LE LUCI DELLA GENTRIFICATION

Pilsen, Lower East Side di Chicago. In meno di quindici anni vanno via 10 mila ispanici: un quarto degli abitanti del quartiere. Al loro posto arriva qualcun altro. Bianchi, benestanti. Un ricambio che fa salire il livello medio d'istruzione, le possibilità economiche. Un gioco di espulsioni e sostituzioni dove vincono i più forti.

Nell’arco di tredici anni, fra 2000 e 2013, diecimila abitanti ispanici lasciano Pilsen, il principale quartiere del Lower East Side, a Chicago. La maggior parte di loro non è in grado di vivere in una zona che ha visto bruscamente crescere i prezzi degli immobili. La presenza ispanica a Pilsen nella seconda metà del Novecento era stata schiacciante.

Diecimila persone significano circa un quarto degli abitanti del quartiere. Al loro posto arriva qualcun altro. Bianchi, benestanti. Un ricambio che fa salire il livello medio d’istruzione, le possibilità economiche. E che soprattutto cambia gli equilibri fra le comunità: la popolazione bianca aumenta del 22%.

A mettere tutto questo in evidenza è lo studio pubblicato di recente dalla University of Illinois at Chicago, a firma di John Betancur e Youngjun Kim, che ragiona su traiettorie e impatto della gentrification in questo quartiere.
Un displacement spaventoso, tanto per le dimensioni quanto per la rapidità del fenomeno. Che sembra avere le sue principali radici poco lontano, in un paio di decisioni amministrative che hanno trasformato il volto della zona.

Perché l’anno uno della trasformazione contemporanea di Pilsen si direbbe il 1997. Quando l’amministrazione municipale avvia il Pilsen Industrial Tax Increment Financing District, con l’obiettivo di dare il via all’industria della zona. E quando l’Università of Illinois at Chicago, proprio l’istituzione dietro lo studio di Betancur e Youngjun, espande il proprio campus di trenta acri a ridosso di questa area, e inevitabilmente la modifica.
Da vent’anni, dunque, Pilsen subisce attacchi speculativi e violente trasformazioni della sua dimensione socio-economica. E quindi della composizione. In un gioco di espulsioni e sostituzioni dove vincono i più forti.
Porta d’accesso agli Stati Uniti per migranti irlandesi e tedeschi nell’Ottocento. Terra d’elezione dei cecoslovacchi, poi, che le assegnano il nome in omaggio a Plzeň, la città boema dove anni dopo sorgerà la Škoda. Per estensione il quartiere diventa l’enclave est-europea di Chicago, fino agli anni Sessanta. In quel periodo, i messicani che vivevano nel quartiere immediatamente a nord si spostano a Pilsen, allontanati dalla costruzione del campus dell’University of Illinois at Chicago. E la loro presenza si fa prevalente.

Per mezzo secolo i Mexican-Americans dominano Pilsen. Dai ristoranti ai piccoli esercizi, dai negozi tipici fino al Museo di Belle Arti (National Museum of Mexican Art): il quartiere riflette la popolazione che lo abita e la cultura con cui sfuma ulteriormente l’identità della metropoli.
Da un paio di secoli, gli abitanti di Pilsen si passano un ideale testimone che attraversa il tempo e le diversità: essere una minoranza e perlopiù rappresentare una marginalità. Per questo l’ultima evoluzione nel ricambio non è significativa e allarmante in quanto tale, ma perché con la comunità ispanica si stanno scacciando gli indesiderati, i reietti. Coloro che vivono Pilsen da un paio di secoli, cioè praticamente da quando Chicago è stata ceduta dai nativi al governo degli Stati Uniti.
A opporsi al processo e al conseguente displacement ci sono gruppi come la Pilsen Alliance, nata immediatamente dopo il varo delle misure amministrative del 1997, considerate già allora una minaccia al quartiere. Una social justice organization, come si presenta sul proprio sito, con un board formato da ispano-americani. L’obiettivo è proteggere la compattezza della comunità dagli assalti speculativi, per mezzo di progetti che riguardano l’equità nel sistema educativo, l’accessibilità degli alloggi, la cura della dimensione pubblica e collettiva.
Se si percorrono una decina di chilometri a nord, da Pilsen si raggiunge il quartiere di Logan Square. Si tratta di un’altra realtà, in un altro quadrante di Chicago, ma la battaglia ha lo stesso aspetto.

Perché la sua storia migratoria ha avuto un percorso simile a quello di Pilsen: polacchi e russi nella prima metà del Novecento, ispano-americani (principalmente messicani) nella seconda metà. La gentrification recente sta minando allo stesso modo le comunità residenti: si impenna il costo di alloggi ed esercizi commerciali, cresce la coolness nella rappresentazione, gli abitanti storici vengono indirettamente invitati alla porta. E il displacement qui ha avuto negli ultimi quindici anni una portata di enorme impatto.
La maggioranza ispano-americana, le comunità polacche e afro-americane, cedono il passo ad artisti e più in generale a creativi: un ceto medio bianco che trova stimolante l’atmosfera di Logan Square e innesca la catena che porta all’espulsione di chi aveva creato appunto quell’atmosfera.
La maggioranza ispano-americana, soprattutto. Quasi ventimilaresidenti ispanici hanno infatti lasciato il quartiere, tra 2000 e 2014: la presenza della comunità è scesa di quasi il 20% sul totale dei residenti di Logan Square. È per questo che alcune associazioni del territorio hanno organizzato il festival culturale XingonX, lo scorso aprile: per ricordare quanto messicani, portoricani, cubani, hanno contribuito a dare a Logan Square. Danze, banchetti di gastronomia, mercatini dell’artigianato. Come ha spiegatoun’organizzatrice: «Ci riprendiamo la narrazione. Celebriamo la Latino history, per dire: Siamo ancora qui e stiamo ancora combattendo».
LETTURE: John J. Betancur, Youngjun Kim, The Trajectory and Impact of Ongoing Gentrification in Pilsen, 2016 
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