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MONITOR


lun 16 gennaio 2017

CHELSEA MANNING LIBERA, SUBITO

Jacobin mag: "Il Presidente Obama agisca immediatamente e conceda la grazia a Chelsea Manning"

Questo post è apparso inizialmente su Jacobin Magazine che ha gentilmente concesso a “i Diavoli” la traduzione e pubblicazione.
AGGIORNAMENTO 17-18 GENNAIO 2017: Il presidente americano Barack Obama ha concesso la grazia a Chelsea Manning. La scarcerazione avverrà a maggio.
di Chase Madar
Improvvisamente si apre un orizzonte di libertà per Chelsea Manning. Esiste la possibilità concreta che il veterano[i] della guerra in Iraq, nonché gola profonda di Wikileaks, torni a casa per il giorno della Marmotta.
Anche solo un anno fa era impensabile; ora, potrebbe riscattare almeno in parte il triste primato dell’amministrazione Obama nel perseguire le fughe di notizie e gli informatori.
Chelsea Manning ha prestato servizio nell’intelligence dell’Esercito, posizione da cui ha fatto filtrare a Wikileaks migliaia di rapporti sul campo dai conflitti in Afghanistan e Iraq, così come migliaia di documenti del Dipartimento di Stato. Grazie a Manning, possiamo ricostruire il mosaico della rovinosa repressione della guerriglia in Afghanistan: raid notturni finiti male, uccisioni di civili ai checkpoint, avamposti costruiti e poi abbandonati. Sappiamo che c’erano direttive ufficiali – nonostante le smentite ai più elevati livelli ufficiali – per le truppe di occupazione degli Stati Uniti di non intervenire nelle torture perpetrate dalle autorità irachene ai danni dei sospetti arrestati sul posto. Sappiamo che il Dipartimento di Stato ha fatto pesanti pressioni per tenere basso il salario minimo a Haiti, lo stato più povero delle Americhe, e si è speso per estendere il regime di proprietà intellettuale di Big Pharma all’Europa occidentale, dove i farmaci prescritti hanno un costo molto inferiore rispetto a qui.
Nelle crude informazioni dei leak di Manning non c’è nulla che solletichi il nostro ego nazionale – quindi affrontarle è, a maggior ragione, necessario. Informazioni che sono citate quotidianamente dai media di maggiore diffusione e negli studi di alto profilo su temi di politica estera. In un ambito in cui la secretazione[ii]raggiunge estremi difficili da credere – fino al 2010 non è stato declassificato un solo documento dai tempi del governo Madison[iii], un’attesa durata due secoli – questi leak sono un sospirato raggio di luce nelle tenebre.
Questo tipo di conoscenza non è di solito ben accolto da chi occupa posizioni di potere, che quindi tenta di impallinare l’ambasciatore: gli informatori vengono abitualmente imputati dei problemi che contribuiscono a portare alla luce. Lo scandaloso trattamento riservato a Manning non fa eccezione. Ma ci sono tre cose che vanno tenute a mente riguardo alle sue rivelazioni.
Primo: anche se funzionari e commentatori hanno reagito alla pubblicazione di queste informazioni con un tasso di panico variabile, l’accusa, durante il lungo processo Manning presso la corte marziale, ha fallito nel dimostrare che un qualche danno concreto sia stato arrecato a civili o militari dal diffondersi delle rivelazioni in oggetto.
Secondo: anche se per mole si tratta della più grande fuga di notizie nella storia degli Stati Uniti, parliamo comunque di una quantità di documenti inferiore all’1 per cento di quanto il governo federale mediamente classifica come “segreto” in un anno; inoltre le argomentazioni dei “profeti del baratro” – ovvero che questa falla avrebbe portato alla totale trasparenza sui complotti del governo americano – si sono dimostrate completamente campate in aria. L’eccesso di classificazione continua a soffocare la prassi di governo e il discorso pubblico americano, nascondendo agli occhi dei cittadini americani informazioni cruciali sulle azioni della nostra amministrazione, in patria e all’estero.
Terzo: non un singolo documento tra quelli fatti trapelare da Manning era stato classificato come “Top Secret” e molti – tra cui il video in soggettiva di un massacro compiuto da elicotteri americani in un quartiere periferico di Baghdad nel luglio 2007 – non erano classificati del tutto. (La stessa dicitura “Top Secret” significa meno di quanto correntemente si pensi: 1,4 milioni di persone – e non solo cittadini americani – dispongono dell’accesso alle informazioni Top Secret. Una cifra pazzesca).
Difendere Manning e i suoi documenti non è solo una questione di sani principi morali, ma di enormi conseguenze nella vita reale. L’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti non sarebbe stata semplicemente possibile senza la secretazione, la distorsione dei fatti e le menzogne del governo. Agli artefici di questa guerra fraudolenta non è stata contestata la minima responsabilità, mentre un soldato semplice, che ha prestato servizio sul campo e ha tentato di condividere la sua esperienza di un tale bagno di sangue, è stato l’unico a essere severamente punito.
Se – tu che stai leggendo – sei il tipo di persona che ritiene immorale e malvagio conoscere quello che il tuo governo sta facendo, declina subito e senza esitazione questo appello alla clemenza. Ma se sei in grado di percepire i livelli distopici di segreto di stato imposti da Washington e le ricadute dannose sul resto del mondo, allora è il momento di prenderti cinque minuti per alzare la voce in favore di Chelsea Manning.
Questo è uno dei rari casi in cui una risposta massiva delle persone potrebbe fare la vera differenza.
Il Dipartimento di Giustizia è incredibilmente abbottonato sul procedimento di grazia, e la notizia che è stata lasciata filtrare ieri, a sorpresa, a NBC News, secondo la quale il nome di Manning sarebbe in una shortlist di candidati alla grazia, è quasi sicuramente un test per misurare la reazione dell’opinione pubblica rispetto a un caso che fino a poco tempo fa era troppo scottante da toccare anche per la Casa Bianca.
Non più. Il sostegno alla causa di Chelsea Manning è stato costruito pazientemente, anche in contesti davvero insospettabili.
Prendete per esempio i falchi ortodossi che editano l’influente blog Lawfare delle Brooking Institutions’: lo scorso ottobre hanno richiesto la commutazione della sentenza Manning, un appello ripetuto pochi giorni fa.
Anche sul versante della destra populista sta crescendo il sostegno a Manning. Uno strano effetto collaterale del fatto che Julian Assange è diventato il cocco di InfoWars e di Fox News: improvvisamente molti “impresentabili” devoti di Trump hanno accolto la causa di un transgender veterano dell’Iraq. (È difficile immaginare che Trump conceda la grazia a Manning, ma non del tutto inimmaginabile – dopo tutto fu il Repubblicano conservatore Warren Harding a graziare il socialista Eugene Dabs durante l’amnistia generale del Natale 1921).
E sarebbe scorretto non menzionare l’ampia e benevola copertura del caso Manning da parte del  magazine Cosmopolitan, con un approfondimento sul cambio di sesso, annunciato il giorno dopo la brutale sentenza a 35 anni di carcere. La lotta portata avanti da Manning per la dignità dei detenuti militari transgender – unita all’esperto patrocinio dell’avvocato dell’ACLU[iv] Chase Strangio, le ha portato anche il sostegno della comunità LGBT.
Certo, la gastrite di qualche neocon potrà peggiorare, ma la moneta dei sobillatori di paure varrà sempre meno nel 2017. Come i falchi liberal, che sono spesso stati tra i più zelanti accusatori di Manning, i puristi “legge-e-ordine” sono infatti al momento troppo occupati a trovare marionette di Putin sotto ogni cuscino per fare eccessive storie. Se ne faranno una ragione.
Anche se il reato di Manning è unico, secondo gli standard americani, la punizione brutale che ha ricevuto – quasi un anno di isolamento prima del processo a dispetto dell’esplicito parere medico delle autorità di custodia militari, e la condanna estrema a 35 anni – non lo è. Tra i 70.000 e i 100.000 prigionieri americani subiscono varie forme di isolamento a lungo termine, una pratica giustamente definita come tortura. L’isolamento di lungo periodo è routine nell’universo carcerario americano e deve essere abolita.
E certo Manning non è l’unico prigioniero a meritare la grazia. Due detenute federali con cui ho avuto il piacere di parlare, Alice Marie Johnson e Euka Wadlington, che stanno entrambe scontando l’ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale per reati di droga senza uso di violenza – ergastolo per reati di droga senza uso di violenza! – hanno appena visto rigettati i loro appelli, probabilmente perché il Dipartimento di Giustizia ha lasciato che l’accusa intervenisse nella decisione. Il DOJ[v] sotto l’amministrazione Obama ha garantito un numero record sia di commutazioni di pena sia di rifiuti a domande di grazia, come è stato messo in risalto dall’eccellente blog Pardon Power di P.S. Ruckman.
A livello federale e nella maggior parte degli Stati si è ancora molto avari nella concessione della grazia, e il Procuratore Generale Loretta Lynch non si è distinta con le sue recenti ed erronee dichiarazioni secondo le quali non sarebbe competenza del governo federale la concessione di amnistie generali. In realtà molti presidenti, da Lincoln a Wilson a Carter, hanno concesso la grazia a intere categorie di persone, ed è tempo che i nostri amministratori e presidenti riprendano questa buona abitudine.
Il medievalismo postmoderno in cui sguazza la giustizia criminale americana non è infatti una buona ragione per negare la grazia a Chelsea Manning o a chiunque altro. E nonostante tutto il disorientamento di una nazione che si sta risvegliando nell’incubo a occhi aperti di quattro anni di “President Trump”, è tempo di chiedere clemenza per questa coraggiosa gola profonda. Tutto quel che serve è scrollarsi di dosso un po’ di apatia. “L’apatia”, ha scritto Manning in una conversazione online con l’informatore federale che l’ha poi denunciata, “è molto peggio della partecipazione attiva [nella guerra in Iraq]…l’apatia è la sua terza dimensione”. (Queste chat, sia detto en passant, sono il più coinvolgente e intenso pezzo di teatro nonfiction prodotto finora dal nostro secolo).
Lei merita la libertà. I nostri livelli distopici di segreto di stato hanno portato direttamente al massacro in Medio Oriente le cui conseguenze sono ancora tutte da scrivere. Gole profonde come lei dovrebbero essere benvenute, non brutalizzate. Quindi, Presidente Obama, la liberi finché ne ha la possibilità. Liberi Chelsea Manning.
[i] Manning ha cambiato sesso subito dopo la sentenza
[ii] Nella versione inglese il termine usato è “overclassification”. Il riferimento è al dibattito in corso da tempo negli Stati Uniti riguardo alla classificazione dei documenti e all’eccesso di secretazione in nome della sicurezza nazionale. Per approfondire leggi anche qui, qui, qui e qui
[iii] James Madison, quarto presidente degli Stati Uniti d’America (1751-1836)
[iv] American Civil Liberties Union
[v] Department Of Justice
Potete contattare la Casa Bianca riguardo a Chelsea Manning attraverso i numeri di telefono e gli indirizzi email che trovate qui, e qui quelli del Dipartimento di Giustizia.

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