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MONITOR


lun 20 novembre 2017

A CHE PUNTO È LA BREXIT?

Un piano di libera circolazione per i banchieri, il calcolo delle spese d'uscita, la road map per passare alla fase due dei negoziati e lo "zampino" di Francia e Germania: il racconto di un'impasse.

Quanto costerà l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea lo sapremo probabilmente entro fine anno, almeno secondo i calcoli di Londra. Ma per veder consumare il divorzio effettivo ci toccherà aspettare il 29 marzo 2019. Se il cancelliere Philip Hammond, a capo del Tesoro britannico, ha dato il primo annuncio domenica 18 novembre, a stabilire l’ora X della separazione è stata la premier Theresa May in persona una decina di giorni fa, chiarendo che ora e data precisa saranno inserite nel Withdrawal Bill (la legge che si sta discutendo alla Camera dei Comuni per annullare lo European Communities Act del 1972).

Tra brusche fermate e ripartenze, May – per alcuni la “vergine di ghiaccio” pronta a riformare il capitalismo – ha da sempre ripetuto che “Brexit significa Brexit” e che “non intende tollerare” alcuna forma di ostruzionismo volta bloccare il processo innescatosi con il referendum del 23 giugno 2016. Perché, dice la premier, “nessuno deve dubitare che la Brexit stia avvenendo”.

Il 14 e 15 dicembre è fissato un summit a Bruxelles e in quell’occasione verrà fatta luce su due questioni fondamentali che ancora non sembrano aver trovato d’accordo il team negoziale europeo e quello britannico: le frontiere in Irlanda del Nord e le spese da pagare, ovvero il debito che la Gran Bretagna deve saldare per rispettare i suoi impegni rispetto al bilancio dell’Unione. A ottobre, come avevamo scritto qui, circolavano le seguenti indiscrezioni: 20 miliardi di euro (secondo le stime di Londra), ma probabilmente i numeri reali potrebbero raggiungere 60 o addirittura i 100 miliardi di euro.

La verità è che siamo ancora alla prima fase dei negoziati, alla fine del sesto round per l’esattezza. E l’Europa spinge perché si arrivi a dei risultati tangibili, e presto. “Ho chiarito a Theresa May che i progressi devono avvenire all’inizio di dicembre o poco più tardi”, ha tenuto a precisare il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
“La «bambina cresciuta nelle contee d’Inghilterra», poi ragazza modello e oggi animale politico matricolato, ha un obiettivo dichiarato: «un’economia che funziona per tutti». L’istinto sembra interventista, segnerebbe una cesura storica rispetto all’era Cameron e le divisioni all’interno dei Tories potrebbero aiutarla. Nei suoi discorsi pubblici, però, è molto cauta”. Da Theresa May, “la vergine di ghiaccio”

Un piano di libera circolazione per i banchieri

Di certo c’è quanto previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona: i negoziati deve durare due anni. E quelli ufficiali per la Brexit sono iniziati il 19 giugno 2017. Secondo la road map, entro l’inizio del 2018 la legge quadro sulla separazione UK-Ue dovrà essere approvata in via definitiva, e in autunno – in teoria – le trattative dovrebbero essersi concluse per poi passare alla fase di ratifica.

Anche se May continua a dirsi “fiduciosa” che presto si arriverà alla fase due (ovvero la discussione sul libero scambio), si naviga a vista.

Secondo quanto ha dichiarato alla Bbc il ministro Davis Davis, Londra ha “offerto alcuni compromessi creativi” agli interlocutori europei, ma da Bruxelles non ci sarebbe stata sempre collaborazione.

Davis ha rassicurato anche il mondo della finanza: avrebbe in mente un piano di libera circolazione per i banchieri in tutta Europa, anche dopo la Brexit. Attualmente ci sono almeno cinquanta banche, con base nel Regno Unite, pronte a un trasferimento da Londra verso un Paese Ue. La notizia è stata data dalla responsabile della supervisione bancaria della Bce, Daniele Nouy: “Alcune ci hanno contatto in diverse occasioni per parlare dei loro piani di trasferimento”. Stando a quanto ha poi spiegato la Banca centrale europea in una nota diffusa dall’Ansa, i piani di trasferimento di alcune banche sarebbero inadeguati: “Alcuni aspetti dei piani bancari non soddisfano pienamente le aspettative e i requisiti previsti per le banche operanti nell’area dell’euro”. E ancora: “La Bce e le autorità nazionali di vigilanza  prevedono che le banche, almeno nel medio termine, possano gestire parte dei rischi a livello locale”.

A gennaio lo scenario era il seguente:
“Theresa May chiude all’Europa, sì, ma apre agli Stati Uniti e fa piombare la Brexit in una dimensione “global”. Il “fiscal dumping” è la sua grande minaccia rivolta agli euroburocrati, (e non solo). Qui si nasconde il paradosso: se le banche della City perderanno la licenza di operare in Europa, a quel punto Londra giocherà la sua carta e proverà a richiamare i capitali europei attraverso le agevolazioni fiscali. Il «popolo» del Leave, quello al quale May aveva promesso che «Brexit significa Brexit» aveva proprio rifiutato questo modello. Quelle stesse forze invocavano uno stop alla globalizzazione, proprio mentre le multinazionali non vogliono ostacoli né frontiere”. Da La Brexit delle contraddizioni

Il capitale della Brexit e lo zampino di Berlino e Londra

Oggi, speculazioni a parte, è ancora tutto in bilico. E intanto, con la Brexit ancora sospesa, i lavoratori europei continuano a spostarsi nel Regno Unito. Stando ai numeri snocciolati dall’Ufficio nazionale di statistica (Ons) britannico,

2,38 milioni di persone sarebbero arrivate tra luglio e settembre 2017, pari a 112 mila in piü rispetto al 2016.
“Se è vero che a May interessa il turismo dei capitali e meno la libera circolazione di tutte le persone, finora sembra che nessun cittadino europeo dovrà andare via dal Regno Unito causa Brexit. A tutti i cittadini Ue verrà data la possibilità di regolarizzare il proprio status [qui tutti i dettagli in un policy paper di 15 pagine, ndr], la promessa per ora è nero su bianco. Il punto critico è la Corte di giustizia europea: l’Europa vuole che i diritti sociali ed economici dei cittadini siano garantiti e chiede che la Corte resti organo giurisdizionale”. (Da Perché la Brexit non va avanti?)
Come finirà questo gioco delle parti? A creare l’impasse, stando alle insinuazioni di Davis – detto anche Mr. Brexit –  ci sarebbe lo zampino di Germania e Francia.

Vedremo. Alla prossima puntata.

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