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MONITOR


ven 13 aprile 2018

BARDONECCHIA MON AMOUR

Bardonecchia mon amour, è il caso di dirlo. Non sarà stato a causa del blitz oltreconfine della gendarmerie contro i migranti, ma in pochi giorni nei salotti della finanza italiana si è costruito un solido fronte antifrancese. I fatti sono noti. Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) è entrata a gamba tesa nel dossier più delicato dell’economia nazionale: la partita tra Elliott e Vivendi per il controllo di Tim. I francesi di Vivendi controllano il 23,9% di Tim, e spingono per creare un polo europeo delle telecomunicazioni in grado di competere globalmente con i colossi cinesi e americani. Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, la questione dello scorporo della rete.

Non sarà stato a causa del blitz oltreconfine della gendarmerie contro i migranti avvenuto a Bardonecchia, ma in pochi giorni nei salotti della finanza italiana si è costruito un solido fronte antifrancese.
I fatti sono noti. Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) è entrata a gamba tesa nel dossier più delicato dell’economia nazionale: la partita tra Elliott e Vivendi per il controllo di Tim.
I francesi di Vivendi controllano il 23,9% di Tim, e spingono per creare un polo europeo delle telecomunicazioni in grado di competere globalmente con i colossi cinesi e americani. Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, la questione dello scorporo della rete.
La nuova piattaforma auspicata dalla società francese, guidata dal bretone Vincent Bolloré, più che ad ampio respiro europeo può essere inserita nell’idea di grandeur transalpina che oggi ha il volto giovane e spavaldo di Emmanel Macron.
In mezzo al campo ci sono gli azionisti Tim: i fondi istituzionali italiani (3,78%), esteri (45%), l’insieme degli altri azionisti (13% circa). Dall’altra è schierato il fondo Elliott dell’americano Paul Singer – gli “avvoltoi” che guadagnarono comprando i bond argentini durante il default. In pochi giorni Elliott, che controllava il 5%, è salito al 10% circa per contrastare l’egemonia francese.
Elliott ha fatto però una struttura “derivata”, per cui se Telecom scende sotto o sopra un tale prezzo la sua posizione scende drasticamente.
La scintilla definitiva, il casus belli, è stata la trattativa per la presentazione della lista per i nuovi vertici di Tim. I nomi proposti sono sembrati meno indipendenti di quello che dovevano essere. Troppo vicini ai francesi.
È qui che, con un’accelerata improvvisa che passerà alla storia come “il Blitz di Pasqua”, l’ex primo ministro Gentiloni con il collega dello Sviluppo Calenda e quello del Tesoro Padoan (azionista di maggioranza con l’82,77% di Cdp) hanno dato mandato a Cdp di rastrellare il 5% di azioni Tim sul mercato.
Mossa necessaria per presentarsi alla prossima assemblea del 24 aprile a fianco del fondo Elliott, che in quella sede chiederà il decadimento da consiglio dei sei amministratori messi lì dai francesi.
La manovra di Gentiloni e Calenda, seppure accettata a malincuore da Padoan, le cui liason transalpine sono note, è riuscita a creare una maggioranza politica lì dove in Parlamento sembra impossibile da trovare.
C’è il sostegno del PD, del Movimento 5 Stelle (molto attivo in questa operazione il deputato Maurizio Buffagni) e della Lega (in più di un’occasione Salvini ha chiesto l’italianità di Tim, anche se non è proprio questo il merito della questione).
E ovviamente di Berlusconi, che con Bolloré ha un conto aperto da quando Vivendi non ha chiuso il contratto per l’acquisto di Premium e in tutta risposta ha cominciato la scalata ostile a Mediaset.
A questo va aggiunto anche che il fondo Elliott è, a oggi, il vero proprietario del Milan e il garante del passaggio di quel mezzo miliardo di euro dai paradisi fiscali di Hong Kong, Isole Vergini e Delaware alle casse di Fininvest.
Ma Cdp, in rappresentanza dell’intero arco politico italiano, non è stata sola nella sortita antifrancese. Lunedì 9 aprile, giorno di presentazione delle liste, un report per i fondi internazionali firmato dall’advisor Glass Lewis suggeriva di votare per i nomi presentati da Elliott.
La stessa Assogestioni, all’inizio accusata da alcuni di avere un atteggiamento equivoco per la presenza di fondi francesi al suo interno, ha cambiato campo: non ha presentato una propria lista di minoranza lasciando che i suoi voti possano convergere su quelli di Elliott. La scintilla ha incendiato il combustibile. Il motore ha cominciato a girare. La guerra è cominciata. Senza esclusione di colpi.
La questione non è politica, it’s the economy stupid.
La dimostrazione che oramai è la finanza a dettare i tempi alla politica, e non più viceversa. La Große Koalition che difficilmente si formerà in Parlamento si è costituita in meno di un attimo per il caso Tim.
Anche perché non si tratta di una ri-nazionalizzazione, come l’ha chiamata Fassina (deputato di Sinistra Italiana) o come la vogliono presentare Lega e Cinque Stelle. Piuttosto di un ennesimo segno della ragione ordoliberale: una globalizzazione in cui anche lo Stato – leggi Cdp – gioca secondo gli schemi del diritto privato e non di quello pubblico.
Il 24 aprile l’assemblea che dovrà nominare i nuovi consiglieri non sarà quindi la vigilia della Liberazione dal giogo straniero, e nemmeno un risorgere del sentimento antifrancese mazziniano. Solo la risoluzione, in un modo o nell’altro, di un problema economico.
L’ennesima dimostrazione del dominio della finanza sulla politica.
Tra corsi, ricorsi e impugnazioni, la Guerra di Tim prepara ad altre partite, come quella su Saipem. E nel caso Vivendi fosse messa in minoranza dentro Tim, si passerebbe alla fusione con Open Fiber, società di Enel e della stessa Cdp, per la creazione di una rete per la fibra italiana.
Si dice poi che, finite le battaglie, sia Elliott in Tim sia Enel in Open Fiber, sarebbero disposti a cedere la loro quota alla stessa Cdp.
Con il rimescolamento delle carte, prodotto dal blitz di Pasqua e dall’ingresso di Cdp in Tim, si colpisce la Caisse des dépots et consignations (equivalente francese della Cdp) che, insieme ai fondi francesi, alla scorsa assemblea aveva votato l’allargamento del Cda da 13 a 17 membri, accogliendo i 4 di Vivendi.
Contestualmente, si tutelano i piccoli azionisti. È stato molto chiaro Franco Lombardi, presidente di Asati, quando ha appoggiato la mozione Elliott, sostenendo che avrebbe favorito i piccoli azionisti di Tim, circa 1% del capitale. E definendo Vivendi «azionista di maggioranza tra i più negativi dalla privatizzazione della società a oggi, anche in riferimento all’andamento del titolo».

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