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MONITOR


lun 15 giugno 2020

ZOMBIE ECONOMY

L’effetto della pandemia sembra quasi scomparso dai mercati finanziari, che millantano una ripresa verticale. In realtà siamo di fronte a una replica della “Great Financial Crisis” del 2008: identica la medicina in contanti somministrata a un paziente malconcio. È la Zombie Economy, che maschera e copre una realtà produttiva in avanzato stato di putrefazione, permette all’1 % della popolazione di vivere in una bolla permanente e impone al restante 99% il disastro.

L’effetto della pandemia è quasi scomparso dai mercati finanziari. Le borse globali scommettono su una ripresa verticale, dall’andamento a forma di “v” (shaped recovery) trainato dall’enorme liquidità riversata dagli Stati.

Siamo di fronte a una replica della “Great Financial Crisis” del 2008: identica la medicina in contanti somministrata a un paziente malconcio, al limite dell’accanimento terapeutico, ma stavolta a dosaggio raddoppiato. La leva e l’indebitamento non riguardano più solo le banche, ma vengono spalmate fino a contagiare ogni ganglio del sistema economico globale.

È l’economia dei morti viventi, degli zombie. La finanza, presentata come meccanismo impalpabile eppure solido, maschera e copre una realtà produttiva già in avanzato stato di putrefazione. Lo testimonia, tra le altre, la grottesca quotazione a -37 dollari al barile toccata dal mercato petrolifero, d’improvviso inerme di fronte a un traffico su strada e aereo (-95 per cento!) paralizzato dalla pandemia.

Migliaia di attività fallite saranno tenute in vita utilizzando i capitali degli aiuti di Stato, così da garantire l’assegno di fine anno da versare agli azionisti e continuare a ridurre i costi. Tutti, senza distinzione.

Gli zombie occupano i media, posseggono i media, e ripetono la nenia del baratto di aiuti per “la rinascita” in cambio di posti di lavoro. È la favoletta del lavorismo, la cui morale non rispetteranno mai. Il processo di riduzione della forza lavoro, in corso da anni, è un capitolo a parte rispetto alla pandemia, che ha invece accelerato uno stato di decomposizione pre-esistente. Per invertirlo, occorrono misure strutturali, non contingenti.

Invece si insiste nel nutrire una Zombie Economy che inquina l’ambiente e la società agendo perennemente indisturbata, protetta da uno Stato di polizia che esige la vetta nei libri contabili delle amministrazioni di mezzo mondo.

Un primato che oggi, con migliaia di manifestanti per le strade a danzare intorno ai resti fumanti delle infrastrutture del Capitale, viene finalmente messo in discussione, avanzando proposte di “defunding” di organi di polizia ipertrofizzati, in botta di steroidi. Se le ingenti risorse destinate ad aziende iper-indebitate fossero riversate nelle comunità, la polizia senza dubbio servirebbe meno.

Sembra un problema prettamente americano, ma in ordini di grandezza diversi riguarda l’amministrazione pubblica a livello globale. La deriva securitaria, la militarizzazione hollywoodiana dei poliziotti di quartiere, sono alibi per una pessima allocazione delle risorse collettive.

Eppure, lo schema della redistribuzione inversa della ricchezza a braccetto con l’inasprimento securitario, non cambia. La teoria dello sgocciolamento dall’alto (trickle down effect) è una barzelletta portata a livelli parossistici in un sistema che invalida ogni legge della fisica dei corpi inerti. Nella zombie economy nulla scende, tutto sale.

Gli aiuti diventano dividendi da distribuire, i costi ambientali rimangono fardelli scaricati sulla collettività, i costi sanitari sui pazienti. E la temporanea carità degli aiuti collettivi, una volta esaurito l’effetto placebo, lascerà spazio alla solita ricerca infinita di “shitty jobs”, a condizioni sempre peggiori rispetto a un passato già tragico.

È una discesa senza sosta negli inferi della shareolder economy: più si scende, più le condizioni di vita peggiorano, mentre gli azionisti brindano ingozzandosi di dividendi.

È l’aberrazione di una Wall Street tornata ai massimi mentre le fiamme si levano per le strade di Washington, Los Angeles, Seattle, New York, Minneapolis e decine di metropoli prima falcidiate dalla pandemia (i cui numeri continuano a essere ancora allarmanti in molti continenti del pianeta, ma alle solite considerati di serie B rispetto al democratico e sviluppato occidente), ora sventrate dalla rabbia dei George Floyd, dei Trayvon Martin, degli Eric Garner, delle Breonna Taylor, dei Rodney King.

Sui nostri teleschermi, sui nostri smartphone, va in onda a getto continuo l’incarnazione del distacco insanabile tra la governance della crisi e la disperazione della collettività.

Una quotidianità in cui pandemia e rivolta sociale paralizzano ogni aspetto dell’esistenza produttiva a stelle strisce tranne la borsa, unico baluardo d’interesse, da proteggere a ogni costo.

Il sacrificio umano della pandemia non ha scalfito il totem finanziario. Anzi, ha regalato ulteriore volatilità agli operatori e ha drenato tutte le risorse necessarie per ripartire.

La Zombie Economy è questa: un ordine apparente in cui si muore per strada mentre il casinò dei mercati finanziari continua a prosperare grazie alle iniezioni di liquidità che arrivano dalle istituzioni.

È la realtà distopica raccontata in Cosmopolis da Don DeLillo. La rivolta nelle strade e i mercati finanziari che macinano profitti record, indisturbati. La risposta dovrebbe essere “Defund Wall Street”: spezzare il patto scellerato tra capitale e Stato che permette all’1 % di vivere in una bolla permanente, imponendo al 99% il disastro.
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