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gio 30 gennaio 2020

USA, DOVE LA SEGREGAZIONE SI DIMENTICA IN FRETTA

La vicenda delle Robert Taylor Homes dimostra che per lo Stato concentrare elementi marginali in una stessa area ha una funzione di controllo sociale, ma in una fase successiva può diventare ancora più vantaggioso liberare l’area per trarne profitto. Sono processi di segregazione dai palesi risvolti affaristici che in Usa, come nel resto del mondo, si attuano e dimenticano troppo in fretta.

Chi conosce Chicago sa quanto sia facile per un turista fermo a un incrocio, col dubbio d’aver sbagliato strada, essere avvicinato da qualcuno che vuole sinceramente aiutarlo a orientarsi. Sa quanto sia altrettanto facile che a un turista venga vivacemente consigliato di evitare i quartieri meridionali della città: non prendere una stanza o girarci di notte, ma proprio metterci piede. È probabile che il turista seguirà il consiglio. L’ombra sul luogo ignoto rafforzerà lo stigma, in un circolo vizioso che intrappola i territori del South Side e le persone che ci vivono, già alle prese con la povertà e la segregazione sociale.

Nel South Side, la presenza afroamericana è tale che si parla di blackbelt. Uno dei suoi quartieri era conosciuto come “Black Metropolis” prima di assumere il temutissimo nome di Bronzeville. È qui, lungo la State Street tra la 35a e la 49a, che si allungava per circa due miglia il più grande complesso di edilizia popolare degli Stati Uniti: 28 torri da 16 piani ognuna, un totale di 4.312 appartamenti. All’epoca dell’apertura era addirittura il più consistente caso di public housing del mondo.

Costruito in tre anni, con costi che superarono i 70 milioni di dollari, il complesso delle Robert Taylor Homes fu aperto nel 1962 sotto i migliori auspici del progressismo kennediano.

Il South Side era già malfamato, se ne parlava come del “più esteso slum continuo del pianeta”. Diversi abitanti delle Homes venivano dalle aree a prevalenza afroamericana sgomberate per far posto alla Dan Ryan Expressway, un’autostrada simbolo del processo di “Urban Renewal” presto ribattezzato “Negro Removal”.

Nei modelli di partenza i grandi spazi vuoti delle Robert Taylor Homes (sui 96 acri totali solo 7 contenevano strutture fisiche) avrebbero dovuto ospitare spazi verdi, invece rimasero distese di cemento che isolarono dal contesto urbano. Nei progetti il complesso doveva dare alloggio a 11mila persone: avrebbe invece finito per ospitarne 28mila, tutte in linea o sotto i valori della soglia di povertà.

Robert Rochon Taylor, da cui il complesso prese il nome, è stato il primo presidente afroamericano della Chicago Housing Authority (CHA), la società municipale che sovrintende alle opere di public housing e detiene il maggior numero di appartamenti in affitto della città. All’apertura delle Robert Taylor Homes, il bollettino della CHA le presentava come: «One of the most attractive and livable communities in Chicago».
Come in altri casi (su tutti l’Aylesbury Estate), l’aumento delle disuguaglianze e della stigmatizzazione ha segnato il tracollo di un ambizioso – e rischioso – progetto urbanistico.

Negli ‘80 le Robert Taylor Homes sono diventate un ghetto dove viveva meno dello 0,5% della popolazione di Chicago ma vi venivano commessi l’11% degli omicidi cittadini, il 9% delle violenze sessuali e il 10% delle aggressioni aggravate. Dove la disoccupazione era al 47%, il 72% degli abitanti era minorenne e il 90% delle famiglie con bambini non aveva il padre in casa. Una sacca isolata, che seguiva regole proprie e pareva a due mondi di distanza dal lusso del Magnificent Mile anziché a un quarto d’ora di automobile.
Il public housing a Chicago ha conosciuto un’espansione, in termini di investimenti, dagli anni ‘40 alla metà dei ’70, per poi stabilizzarsi. Dalla fine dei ‘90, le politiche cittadine hanno cambiato direzione: il nuovo corso è stato rappresentato dal Chicago’s Plan for Transformation del 2000, con le sue demolizioni e le sue cessioni da mani pubbliche a mani private.

Nel 2005 le Robert Taylor Homes sono state evacuate e nel 2007 l’ultima torre del complesso è stata buttata giù.
Alla demolizione è seguita una ricostruzione, sulla base di un progetto che affondava le radici nei primi anni ‘90 e si basava sui fondi federali del programma Hope VI. L’obiettivo era un ribilanciamento sociale, che destinava a fasce di reddito miste la nuova area residenziale (circa 2.300 appartamenti, un investimento da 1.5 miliardi di dollari) sorta sulle macerie delle Homes con il nome di Legends South. Il displacement è stato una logica conseguenza.

Scriveva Marco D’Eramo nella sua preziosa storia di Chicago, Il maiale e il grattacielo: «Fa venire il groppo in gola parlare con un inquilino delle Taylor Homes che protesta perché non vuole traslocare, non vuole essere cacciato da quell’abominio. Le Taylor Homes erano un inferno, ma gli abitanti volevano restarci. Forse perché anche nei gironi più demoniaci c’è una vita di vicinato, o perché queste almeno erano le bolge che conoscevano e cui erano abituati, in cui sapevano meglio destreggiarsi, o infine perché presentivano che un inferno dotato di tetto è meglio di uno sul marciapiede all’addiaccio».

La vicenda delle Robert Taylor Homes dimostra che per lo Stato concentrare elementi marginali in una stessa area ha una funzione di controllo sociale, ma in una fase successiva può diventare ancora più vantaggioso liberare l’area e farne altro. La politica attacca in senso deterministico l’architettura, sposta l’attenzione dalle proprie responsabilità riguardo alle disuguaglianze e attua una bonifica che in termini di profitto trasforma un terreno sterile in un terreno fertile.
Demolire le Homes non ha annullato la povertà ma un simbolo di degrado. Al tempo stesso una comunità è stata sradicata da quella che chiamava “casa” e un complesso edilizio pubblico è diventato misto pubblico-privato. La stessa trasformazione del nome rientra nella tradizionale fretta di dimenticare.


Per approfondire:
- C. Herring, On the brink of “CHAnge”: Ghetto Gentrification and Chicago’s Robert Taylor Homes, «Bard Journal of Social Research», 2008
- D. Bradford Hunt, What Went Wrong with Public Housing in Chicago? A History of the Robert Taylor Homes, University of Illinois Press, 2001
- M. D'Eramo, Il maiale e il grattacielo. Chicago: una storia del nostro futuro, Feltrinelli, 2004 (prima edizione riveduta e ampliata)
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