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lun 27 gennaio 2020

UK, DOVE VIVERE È UN LUSSO E DIVAMPA LA GUERRA AI POVERI

Ossessione per la “Regeneration” che passa per l’abbattimento e la ricostruzione speculativa. Dismissione del sistema di social housing a vantaggio degli interessi privati. Displacement e disgregazione della comunità. Guerra ai poveri e non alla povertà. Il caso dell’Aylesbury Estate di Walworth ci racconta di un UK – un mondo – in cui speculazione e interessi privati hanno vinto su uguaglianza e collettività.

Nel secondo dopoguerra, in seguito ai bombardamenti tedeschi che avevano aperto ferite nella città, il distretto di Southwark (South East London) venne individuato dall’amministrazione per concentrare la costruzione di complessi di case popolari. Si riempiva un improvviso vuoto nel tessuto della città con edilizia residenziale a prezzi accessibili. Nel gennaio 2016 David Cameron, premier in carica, scrisse che quegli interventi post-bellici avevano causato un “radicamento della povertà”.

Già solo per dimensioni, l’Aylesbury Estate di Walworth rappresenta uno dei più importanti casi di public housing in Europa: circa 7.500 abitanti, quasi tremila appartamenti (solo il 13% di proprietà privata) divisi in una cinquantina di edifici di cemento, 285mila metri quadri di estensione e quattordici anni per completarne la costruzione ispirata ai principi lecorbuseriani (1963-1977).

Altrettanto importante è la posizione dell’Aylesbury Estate nell’immaginario della società britannica: dapprima modello avanzatissimo nell’universo di edilizia sociale, poi simbolo di degrado da cui tenersi alla larga.
Walworth fa parte del distretto di Southwark, la cui riqualificazione è uno dei più caldi temi urbanistici di Londra. Subito a nord di Walworth, per esempio, c’è Elephant & Castle, da vent’anni alle prese con violenti processi di gentrification e displacement.
Case popolari ma anche giardini, un asilo per l’infanzia, un poliambulatorio. Dalle sue origini e per tutti gli anni Settanta, l’Aylesbury Estate ha risposto ai dettami (verde, strutture pubbliche d’assistenza, alloggi elementari ma confortevoli) della migliore architettura di public housing.

Il decennio successivo (gli anni Ottanta delle politiche thatcheriane e della crescita delle disuguaglianze) trasformò il quartiere in un famigerato recinto di esclusi, emarginati e criminalizzati. Più che le responsabilità della politica, si sottolineava il ruolo dell’urbanistica nella creazione di un mostro disfunzionale di cemento.

Sarebbero poi stati gli anni Novanta a porre le basi per andare in due direzioni che spesso procedono a braccetto: riqualificazione e privatizzazione.

Una buona testimonianza del peso dello stigma sull’Aylesbury Estate viene da uno spot televisivo in onda nel 2004 su Channel 4, di cui hanno scritto Ardura e Sorando in Città in vendita: «Nel video una macchina da presa si aggirava lungo il ballatoio di un edificio artificialmente riempito di spazzatura sparsa dappertutto, panni stesi e bancarelle, secondo la classica iconografia della ghost town». Le associazioni dei residenti protestarono, si legge ancora: «Proposero un remake dal taglio più realista, che Channel 4 però si rifiutò di sostituire con il precedente».

È il 1997. Appena nominato premier, Tony Blair decide che il palcoscenico per il suo primo discorso pubblico sarà l’Aylesbury Estate. Nell’occasione promette di ridare un posto nella società alla Workless Class. Promette: «Non ci saranno dimenticati nel Paese che voglio costruire. Non ci saranno zone senza speranza».

Pochi mesi dopo, nel quadro di un piano decennale che rientra nel New Deal for Communities, il complesso beneficia di un finanziamento pubblico di oltre 56 milioni di sterline a partire dal 1999.

In concreto, le cose cambieranno molto meno del previsto. La disoccupazione, lo stigma sociale e la carenza di servizi e d’opportunità resteranno alti. L’unico successo riguarderà la riduzione della criminalità, ottenuta con un aumento della sorveglianza.

Nel 2001 si chiede ai residenti dell’Aylesbury Estate di esprimersi sul passaggio dell’amministrazione del complesso nelle mani di un’housing association (privata e formalmente no-profit), la Horizon Housing Group. L’idea è di abbattere gran parte del complesso, costruire al suo posto un nuovo insediamento e aggiungere un migliaio di appartamenti da vendere a privati.

La minaccia di displacement è concreta, gli attivisti della campagna per il “no” coniano l’espressione social cleansing. La loro opinione (per esempio di Piers Corbyn, fratello maggiore dell’attuale leader laburista Jeremy) è che si tratta di una privatizzazione mascherata, nel quadro di una svendita dell’intero distretto di Southwark e di un conseguente destino di inaccessibilità degli alloggi.
I residenti si esprimono con chiarezza: 74% di voti contrari.

La situazione rimane in stallo fino al 2005, l’anno della svolta. A gennaio, subodorando la trasformazione, una marcia di attivisti per mantenere il complesso in mani pubbliche si conclude con l’occupazione per un paio di mesi di alcuni edifici dell’Aylesbury Estate svuotati.

Poco dopo, il premier Tony Blair torna a visitare il complesso a otto anni di distanza. Nonostante l’investimento dell’NDC, il tasso di mortalità è ancora superiore del 33% alla media nazionale e il 78% dei residenti diciassettenni è fuori da sistemi d’istruzione a tempo pieno.

Ancora nel 2005, il consiglio locale torna sul piano già bocciato dai residenti. Stavolta procede, sostenendo di non avere i fondi necessari per fare altrimenti: stabilisce la demolizione e cede l’amministrazione dell’area a un’altra housing association (stavolta la Notting Hill Genesis).

In un posto dove l’ascensore sociale doveva essere rimesso in moto, è significativo che uno degli elementi di maggior disagio per gli abitanti, nelle testimonianze che si incontrano, riguardi proprio lo stato degli ascensori («Erano sudici» ha ricordato il cantante Tinie Tempah, figlio illustre di Aylesbury come pure il calciatore Reiss Nelson, stellina dell’U21 inglese: entrambi di origine africana, entrambi legati a professioni che pretendono nient’altro che talento).

Così nel 2009 ha avuto inizio la graduale demolizione dell’Aylesbury Estate. Si prevede che la sostituzione con un nuovo insediamento sarà completata nel 2032. L’impressione è che il principio di fondo si ispiri a quel concetto di Cameron: buttare giù un quartiere povero per sradicare la povertà. Nell’attesa gli abitanti vivono in edifici temporanei (più angusti e costruiti con materiali peggiori di quelli originari).

Le stime riscontrate dal «Guardian» sono eloquenti: il nuovo insediamento sarà costituito da 3.575 appartamenti (l’Aylesbury Estate ne aveva 2.758), di cui solo 1.323 a prezzi di social rent (contro i 2.402 originari). Perciò: a fronte di un aumento del 38,7% del numero totale di appartamenti, solo il 37% avrà prezzi accessibili contro il 93% originario.

Ossessione per la Regeneration che passa per l’abbattimento e la ricostruzione, anziché per una rielaborazione dell’esistente. Dismissione del sistema delle council homes (quindi del social housing) a vantaggio degli interessi privati. Displacement e disgregazione della comunità. Guerra ai poveri e non alla povertà.

Nella storia dell’Aylesbury Estate si concentrano le scelte politiche che stanno rendendo Londra una città dove vivere è un lusso e il Vecchio Continente un posto che spinge sempre più in basso il concetto di margine.


Per approfondire:
- Polly McKinlay, Regeneration through the demolition of social housing: A case study of the Aylesbury Estate, London School of Economics, maggio 2012
- Andy Beckett, The fall and rise of the council estate, «The Guardian», 13 luglio 2016
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