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sab 19 febbraio 2022

SPY GAME: HACKERARE LA FINANZA

Mentre sale il prezzo del gas e soffiano venti di guerra tra Donetsk e Lugansk, le spie sono tornate. Se il gioco è lo stesso, il campo di battaglia è diverso. Non più le strade ciottolate e gli antri fumosi della Berlino immersa nella Guerra Fredda, ma splendidi e luminosi uffici le cui immense vetrate si affacciano sulle city. Il nuovo game è hackerare la tecnofinanza.

Notte, nebbia fitta, lampioni deboli, strade ciottolate e antri nascosti. Inquadrature oblique, ombre che si allungano sulle facciate dei palazzi. Onde radio, telefoni pubblici, fogli sdruciti che passano di mano, scarpe di pelle che calpestano vacillanti l’asfalto del Checkpoint Charlie: il posto di blocco sulla Friedrichstraße che separava il quartiere sovietico di Mitte e quello statunitense di Kreuzberg nella Berlino della Guerra Fredda.

È questo l’immaginario collettivo del gioco delle spie. Da allora sono passati tre quarti di secolo e molte cose sembravano essere cambiate: l’Unione Sovietica dissolta nella Russia, le guerre e le secessioni a riscrivere la mappa degli stati dell’Est, lo scioglimento del Patto di Varsavia a favore della Nato, ultimo avamposto bellico e ideologico degli Stati Uniti.

Sono passati tre quarti di secolo, eppure nulla è cambiato. Mentre sale il prezzo del gas e soffiano venti di guerra tra Donetsk e Lugansk, si muovono gli incrociatori sul Mar Nero affacciandosi al porto di Odessa, si alzano al cielo i caccia e si dispiegano a terra i missili, le spie sono tornate a giocare. I loro passaporti non lasciano dubbi: americani, russi, inglesi, svizzeri, ucraini.

Il game è lo stesso, solo il campo di battaglia è diverso. Non sono più le strade lerce e ciottolate o gli antri fumosi e nascosti dei palazzi di Berlino, ma splendidi e luminosi uffici, arredati da riviste di design e incastonati in grattacieli disegnati da archistar, che attraverso immense vetrate si affacciano sulle grandi città stato globali. E le dominano. Il nuovo gioco delle spie oggi corre a velocità folle lungo i cavi della fibra ottica, penetra nei server materiali e immateriali dei cloud della rete e si combatte all’ultimo sangue sul floor della tecnofinanza.

È cominciato il mese scorso, presso la corte distrettuale di Boston, Massachusetts, il processo all’oligarca russo Vladislav Klyushin, 41 anni, fondatore e Ceo della società di sicurezza informatica MT-13. Klyushin, insieme ad altre persone, è accusato di frode, insider trading e intrusione illegale nei sistemi informatici. Gli è stata negata la libertà provvisoria a fronte di una cauzione di 2,5 milioni di dollari. Perché potrebbe scappare, o potrebbe essere ucciso.


Sul tavolo del procuratore americano non c’è solo la più grande truffa informatica mai messa in piedi ai danni della Sec (Securities and Exchange Commission, l’organismo di controllo della Borsa statunitense) e di colossi della finanza come Ibm, Snap, Microsoft e Tesla, ma un complicatissimo gioco diplomatico che coinvolge i servizi segreti di almeno quattro paesi, a partire da quelli della Russia e degli Stati Uniti. Un gioco di spie, sono sempre loro.

Arrestato lo scorso marzo in Svizzera, mentre si stava dirigendo in un resort sciistico, estradato a dicembre negli Stati Uniti, Klyushin è accusato di avere organizzato il più spettacolare hackeraggio della finanza mai visto. Insieme ad alcuni dipendenti della sua MT-13 come Ivan Yermakov e Nikolai Rumiantcev, e a due uomini d’affari russi come Mikhail Irzak e Igor Sladkov, ha avuto buon gioco nello studiare il flusso d’informazioni che precedono le comunicazioni finanziarie.

In un mondo in cui un nanosecondo di vantaggio o un’informazione in più rispetto all’avversario hanno un’importanza decisiva, superiore al valore stesso dello scambio di azioni, è lì che bisogna colpire: in corrispondenza dell’anello debole della catena che processa le informazioni.

Gli hacker della MT-13 sono entrati nei cloud e nei sistemi informatici di due società di intermediazione che aiutano le compagnie a compilare e custodire i loro dati e le loro informazioni, tra cui i bilanci annuali e trimestrali, prima che questi siano condivisi con la Sec (Securities and Exchange Commission). Una volta in possesso di queste informazioni in anteprima assoluta, con l’aiuto dei due uomini di affari e di conti bancari aperti in giro per il mondo, Klyushin cominciava a speculare: shortando o facendo long selling a seconda del fatto che i numeri che lui leggeva in esclusiva fossero buoni o cattivi.

Oppure si limitava a vendere le informazioni a pochi selezionati clienti, che operavano anche loro in regime di insider trading. Tra il 2018 e il 2020 la sola MT-13 ha così guadagnato 82,5 milioni di dollari.

La truffa è una versione aggiornata di quella organizzata da Vadym Iermolovych, Oleksandr Ieremenko e Ivan Turchynov, di passaporto ucraino, che tra il 2010 e il 2015 riescono ad hackerare oltre 150 mila notizie finanziarie riservate in mano a Business Wire, Marketwired and PR Newswire, aziende che forniscono servizi di notizie per le società quotate in tutti i principali mercati finanziari internazionali, e a operare in borsa con i vantaggi ottenuti. Insieme a un’altra quarantina di persona si stima che in cinque anni riescano a intascare oltre 100 milioni dollari, prima di essere arrestati e condannati dalle autorità americane.

Nonostante fosse il periodo della seconda rivoluzione ucraina, con le proteste di Majdan, la cacciata di Viktor Janukovyč, la risposta russa e l’invasione della Crimea, all’epoca i tre hacker ucraini furono accusati di lavorare per Putin e i servizi segreti russi. Curioso che anni dopo, mentre esplode la crisi tra Russia e America proprio a causa dell’Ucraina, la storia si ripeta. O forse no.

Il secondo livello dell’inchiesta su Vladislav Klyushin, l’oligarca Ceo della MT-13 appena arrestato, verte infatti sulle sue frequentazioni con il Cremlino, il Fsb (Federál'naja služba bezopásnosti Rossijskoj Federácii, il servizio segreto russo) e soprattutto con il Gru (Glavnoe razvedyvatel'noe upravlenie, il servizio informazioni delle Forze armate russe).

Per gli inquirenti americani Klyushin, che giusto un paio di anni fa ha ricevuto una medaglia d’onore da Vladimir Putin in persona, lavorerebbe infatti da anni per i servizi russi. Ivan Yermakov, il suo dipendente della MT-13 coinvolto nella truffa finanziaria, sarebbe uno dei protagonisti dell’operazione Fancy Bear che nel 2016 aveva portato diversi informatici russi ad hackerare le email e i dossier del Partito Democratico americano per fermare l’avanzata dell’allora candidata Hilary Clinton e favorire l’avvento di Donald Trump.


E lo stesso Klyushin è sospettato di avere partecipato all’operazione Sergei Skripal, la spia russa avvelenata nel 2018 insieme alla figlia Yulia nel ristorante della zona commerciale di Salisbury, nel Regno Unito. Il fatto è che, a partire dal caso Skripal fino ad arrivare a Fancy Bear o a Cambridge Analytica, come avevamo raccontato in due puntate di un nostro dossier (qui la prima e qui la seconda), la storia non è mai così semplice.

Nel gioco di spie non esiste il bianco e il nero, il bene e il male, la Russia e gli Stati Uniti. Tutto è più liquido. La forma di protagonisti si adatta al momento della partita, e così il loro ruolo e il padrone che scelgono di servire. Tutto è liquido nelle strade come nei floor della tecnofinanza. E nebbia di Berlino è la coltre fumosa che copre doppi e tripli giochi.

Vladislav Klyushin solo negli ultimi due anni sarebbe stato infatti avvicinato prima dai servizi segreti americani, nel 2019 nel sud della Francia, e poi da quelli britannici, nel 2020 all’aeroporto di Edimburgo. E nulla può impedire di pensare che questo sia successo altre volte in passato, e che in almeno in una di queste occasioni abbia deciso di cominciare a lavorare per il nemico. Difficile altrimenti spiegare come un personaggio così noto, e implicato, e pericoloso, sia stato lasciato così a lungo libero di girare per l’Europa. E infatti sarà lui a dirlo alla stampa, non appena è arrestato.

Fatto sta che nel marzo 2021, quando l’aereo di Klyushin atterra a Zurigo per incontrare l’elicottero che lo avrebbe portato con la famiglia nel resort sciistico di Zermatt, la polizia svizzera lo arresta. Qui comincia un lunghissimo scontro di cancellerie tra Svizzera, Stati Uniti e Russia, che complica ancora di più la faccenda. Sia gli americani sia i russi infatti richiedono l’estradizione di Klyushin, con vare accuse di frode, riciclaggio, truffa e insider trading.

Questo non vuol dire che sia un nemico, spesso l’accusa giudiziaria è un trucco utilizzato da un paese per riottenere la custodia di un proprio agente attraverso l’estradizione, e trarlo così in salvo da una situazione pericolosa. A ingarbugliare ancor più il tutto c’è il fatto che il nome di Klyushin diventa il protagonista di un vertice russo-americano di quel giugno su uno scambio di prigionieri tra i due paesi.

Perché nell’epoca della tecnofinanza, in cui i flussi immateriali del denaro e delle informazioni corrono lungo i cavi della fibra ottica e sono immagazzinati dentro nuvole virtuali, il nuovo gioco delle spie coinvolge sempre gli stessi attori che operavano sulla Friedrichstraße ai due lati del Checkpoint Charlie. Non c’è nessun dopo guerra e oggi come allora è impossibile stabilire con certezza chi agisca per conto di chi.

L’unica certezza è che molto spesso le spie utilizzano armi e capacità per se stessi, prima ancora che per il paese cui avevano prestato giuramento e fedeltà. È per questo che mentre il prezzo del gas sale alle stelle e tra Donetsk e Lugansk soffiano impetuosi i venti di guerra tra Russia e Stati Uniti, alcune spie al servizio di loro stessi e del loro game, più che dei due paesi che pensano di poterle controllare, sono riuscite ad hackerare la finanza. E hanno messo in scena una delle più memorabili truffe mai realizzate.
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