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MONITOR


gio 1 aprile 2021

OMNIA SUNT COMMUNIA: LIBERIAMO I BREVETTI

La pandemia ha mietuto milioni di vittime e la gestione dei vaccini sta compromettendo il sistema economico-finanziario. Il tracimare della “corporate culture” ha distrutto il patto, già debolissimo, tra amministrazione pubblica e sistema privato. Infine il denaro che ha finanziato la ricerca rimane escluso dai dividendi sociali che avrebbe dovuto generare. Allora, forse, al grido millenario di «omnia sunt communia» è giunto il momento di rendere i brevetti pubblici e liberare la produzione dei vaccini a livello planetario.

Mentre la politica tuona di voler fare il possibile per fronteggiare la situazione socio-sanitaria, uno strumento prezioso giace inutilizzato. Si chiama licenza obbligatoria, ed è previsto come deroga alla Convenzione di Parigi in un passaggio che dice così:

L’articolo 31 degli accordi sui diritti della proprietà intellettuale, della durata normale di trent’anni, permette di derogare in situazioni di emergenza nazionale o di altre circostanze di estrema urgenza, o in caso di utilizzo pubblico per fini non commerciali, e tutto questo senza l’autorizzazione di chi detiene i diritti.

La domanda retorica è se questa in cui ci troviamo sia una situazione di emergenza. E non solo nazionale.

Il quadro: la pandemia ha prodotto su scala mondiale milioni di morti; la gestione globale dei vaccini sta compromettendo il sistema economico-finanziario occidentale; il tracimare della corporate culture ha rotto gli argini della decenza; il patto tra la gestione pubblica della res economica e il sistema privato, un patto già debolissimo, rischia di saltare definitivamente. Infine il denaro pubblico che ha finanziato la ricerca scientifica si scopre svilito, marginalizzato, escluso dai dividendi sociali che avrebbe potuto e dovuto generare.

Per questo intorno alla licenza obbligatoria non dovrebbe neanche aprirsi una discussione. I brevetti andrebbero resi pubblici e i vaccini prodotti liberamente a livello planetario.

Questi ultimi tempi ci hanno insegnato che la sanità è una componente fondamentale del patto tra Stato e cittadini. Ma ci ha anche mostrato come in assenza di un approccio universale la difesa sanitaria sia inefficace. I virus possono fiorire in ogni angolo del mondo, propagarsi ovunque, scavalcando muri e confini.

Oggi l’approccio ai vaccini pare una schermaglia geopolitica, dove la sovranità viene reclamata con l’accaparramento delle dosi da somministrare. Un sovranismo vaccinale che è tossico, e che la licenza obbligatoria demolirebbe subito. Questa guerra nella guerra minaccia l’umanità intera. Perché il giorno in cui l’ennesima variante del virus si svilupperà nel corpo già debole di un paese povero – una variante non coperta dal vaccino – torneremo tutti nell’angoscia. In un incubo collettivo.

La licenza obbligatoria è una battaglia cruciale per imprimere un cambio di direzione. Per dare al processo di globalizzazione un senso. La deroga all’articolo 31 venne concessa nel 2001, liberalizzando i farmaci per l’HIV troppo tempo dopo l’insorgenza del virus. Nel Sud del mondo i prezzi dei farmaci erano inaccessibili, fino a quel momento, e i morti erano stati milioni.

Il tardo capitalismo ha trasformato il corpo umano nell’ennesimo bacino d’estrazione di valore. Ha trasformato la sanità in un’industria del tutto equiparabile ad altri settori. Ma quando si toccano i cardini primi del rapporto tra Stato e cittadini, gli effetti possono essere devastanti. Mentre una metà del pianeta sembra in uno stato terminale, i media esaltano le performance stellari dei Big Pharma, che hanno trovato formule efficaci per combattere il virus. Formule che saranno commercializzate e vendute agli stessi Stati che ne hanno finanziato la ricerca. Una circolarità perversa. Il virus viene ri-estratto dall’uomo, viene messo a reddito e rientra nel ciclo del capitale, come fosse una merce comune dotata di alto contenuto tecnologico.

È evidente che il problema non sono le aziende farmaceutiche ma il sistema stesso, la pretesa che nulla esca dal circuito del capitale. La medesima questione di oggi con i Big Pharma, d’altronde, si riproporrà domani con la svolta green, quando l’emergenza climatica sarà senza ritorno e i colossi dell’energia avranno la pretesa (affaristica) di ripulire il pianeta.

Il ciclo del capitale ormai si alimenta di emergenze e denaro pubblico. È un loop continuo. Le emergenze estraggono denaro pubblico, che a sua volta contribuisce a creare nuove emergenze. Siamo costantemente immersi in una shock therapy, come aveva intuito Naomi Klein.

Una circolarità perversa: il virus viene ri-estratto dall’uomo, messo a reddito e rientra nel ciclo del capitale.

La gestione dei vaccini in Europa, però, è collegata a un grande nodo politico. Perché il fallimento del piano può colpire le fragili basi dell’Unione e dare nuova linfa a quel sovranismo che pure stava arretrando. Torneremmo alle spinte nazionaliste, se l’Europa non riuscisse ad assicurare una risposta adeguata, mentre paesi totalmente sovrani come Regno Unito e Stati Uniti ci riescono. Torneremmo a mettere in discussione l’Unione e a ipotizzare un ritorno agli Stati-nazione europei. Torneremmo brutalmente indietro.

È necessario quindi virare sulla licenza obbligatoria senza tentennamenti.

Fallire stavolta peserebbe sulla collettività nella sua interezza, senza che astrusi calcoli finanziari possano coprire il disastro. Le colpe sarebbero chiarissime. La vecchia Europa, sottomessa alle sue stesse regole e alle leggi del capitale finanziario, si dimostrerebbe incapace di proteggere i cittadini. Verrebbe a frantumarsi quel residuo di fiducia che ancora tiene le cose in equilibrio.
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