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mer 8 novembre 2017

OCEAN: COME HACKERARE LA DEMOCRAZIA

OCEAN, tutto maiuscolo, non si riferisce alla pellicola di Soderbergh. E’ acronimo per openness (apertura mentale), conscientiousness (scrupolosità, extroversion (affabilità), agreeableness (cooperatività) e neuroticism (facilità ad arrabbiarsi). Dagli anni Ottanta è il modello base per le indagini e i test psicometrici. Dagli anni Dieci, grazie a internet, ai social network e ai big data, è il modello base per influenzare le scelte politiche degli elettori.

Per portare a termine la rapina cinematografica del secolo, i protagonisti del film Ocean’s Eleven (Steven Soderbergh, 2011) utilizzano il trucco più semplice e allo stesso tempo più astuto. Il depistaggio. Fingono di essere da una parte, nel caveau del casinò, per agire indisturbati dall’altra, sono i poliziotti che entrano ed escono dalla porta principale con le valigie piene di soldi.

Lo stesso è accaduto per la rapina elettorale del secolo, l’elezione di Donald Trump a quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti, il 9 novembre 2016. Qui la manovra tattica per fuorviare l’attenzione si erge a sublime opera d’arte. Mentre tutti sono distratti a guardare il Russiagate, ovvero il presunto intervento russo nel processo elettorale, l’ex palazzinaro e presentatore televisivo trionfa grazie al metodo OCEAN.
OCEAN, tutto maiuscolo, non si riferisce alla pellicola di Soderbergh. E’ acronimo per openness (apertura mentale), conscientiousness (scrupolosità, extroversion (affabilità), agreeableness (cooperatività) e neuroticism (facilità ad arrabbiarsi). Dagli anni Ottanta è il modello base per le indagini e i test psicometrici. Dagli anni Dieci, grazie a internet, ai social network e ai big data, è il modello base per influenzare le scelte politiche degli elettori.
Tutto comincia nel 2008, quando un dottorando dell’Università di Cambridge, Michal Kosinski, inventa la app MyPersonality. Sottopone alcuni utenti di Facebook al test standard di OCEAN. Poi cerca delle variabili ai profili psicologici “tipici” ottenuti (estroverso, timoroso, violento, impaurito) nei dati disponibili sui loro profili social – sesso, età, religione, abitazione, like e interazioni. Una volta raccolto un numero sufficiente di dati e di casi tipici grazie ai test psicometrici, e rapportati alle modalità comportamentali sul social network, il lavoro deduttivo inverso appare piuttosto semplice. Dai like di una persona su Facebook è possibile trarne i principali tratti psicologici.

Nei laboratori di Psicometria dell’Università di Cambridge, l’applicazione MyPersonality è analizzata a fondo. Fino a che, nel 2012, Michal Kosinski afferma che grazie a 68 like su Facebook è in grado di stabilire colore della pelle, credo religioso e intenzione di voto dell’utente prescelto con un margine di errore minimo.

Due anni dopo, nel 2014, Michal Kosinski afferma che gli bastano 10 like per conoscere una persona meglio dei suoi colleghi di lavoro, 150 per conoscerla meglio dei suoi genitori, 300 meglio del partner. Se ha libero accesso al tuo profilo, ti conoscerà meglio di quanto tu conosca te stesso.

Il nostro smartphone, sostiene Kosinski, non è altro che un immenso questionario psicometrico che compiliamo di continuo, consciamente o meno.
Lo stesso anno, Kosinski è approcciato da un collega, Aleksandr Kogan, che gli chiede di poter acquistare la sua app MyPersonality per conto della società per cui lavora: la SCL (Strategic Communication Laboratories). Non ci sarebbe nulla di strano.
La maggior parte degli stupidi test di personalità che gli utenti fanno ogni giorno su Facebook – Che tipo di persona sei? Che dittatore saresti stato? A quale cantante rock o rivoluzionario comunista somigli? – premettono chiaramente che si sta dando alla società che li commissiona il permesso di avere accesso al proprio profilo Facebook – sesso, età, religione, abitazione, like e interazioni.
La cosa che insospettisce Kosinski, però, è che la SCL sostiene sul proprio sito di essere stata coinvolta in diversi processi elettorali, dall’Ucraina alla Nigeria. E di avere contribuito a influenzare le decisioni di vasti gruppi di persone, anche per conto della Nato e dei dipartimenti di sicurezza americani e britannici.

Non è millantato credito, SCL fa davvero questo.

Kosinski declina quindi l’offerta del collega, e non si accorge di nulla. Fino a quando, il 9 novembre 2016, il giorno dopo l’elezione di Donald Trump, il nome di Cambridge Analytica fa capolino un po’ ovunque. E ha un sussulto. Quella società sembra davvero ricalcare i suoi studi sulla relazione tra i big data ottenuti grazie ai social network e profilo psicologico dell’utente, ma lo fa in funzione delle elezioni politiche.

Se fosse stato più attento, Michal Kosinski si sarebbe accorto che il nome Cambridge Analytica era già uscito l’anno prima. Nel novembre del 2015 uno dei due think tank più importanti a favore della Brexit, Leave.Eu spiega come si stiano avvalendo di un’azienda basata a Londra, la Cambridge Analytic appunto, che utilizza il sistema OCEAN. Per fare cosa non è ancora chiaro.

Un mese dopo The Guardian titola, “Ted Cruz utilizza un’azienda che setaccia i dati di milioni di ignari utenti Facebook”, raccontando che il candidato repubblicano alle primarie americane, il favorito, utilizza i big data per avvantaggiarsi nel voto elettorale. Anche qui, è Cambridge Analytica.

Non ci sarebbe nulla di strano in sé, anche Obama l’ha fatto, disegnando mappe e diagrammi dei possibili elettori e cercando di intercettare il loro sentiment. Il problema è come si fa. Ma ancora non si sa. Il Guardian ubica poi Cambridge Analytica nei laboratori dell’Università di Cambridge, non potendo ancora sapere la storia di Michal Kosinski e del suo rifiuto, e trova la prima pista: Cambridge Analytica è di proprietà del miliardario con simpatie all’estrema destra Robert Mercer.

La vera potenza di Cambridge Analytica, come tutti noi, Michal Kosinski la scopre però all’indomani dell’elezione di Donald Trump. Cambridge Analytica non ha nulla a che fare con Michal Kosinski, o con l’Università di Cambridge, è un’azienda fondata nel 2013 con sede a Londra. Il Ceo è Alexander Nix, il finanziatore è Robert Mercer. Cambridge Analytica – l’ironia non difetta a chi l’ha chiamata così – è una sussidiaria della SCL, la società che l’aveva avvicinato tramite un collega cui Kosinski si era rifiutato di vendere la sua app MyPersonality.

Nel corso delle Elezioni Presidenziali 2016, sul suo sito era scritto che disponeva un dettagliato database della stragrande maggioranza degli elettori americani, circa 220 milioni.
“In pratica ogni messaggio di Trump è basato sull’analisi dei big data”, afferma il suo Ceo Alexander Nix in una delle rare sortite pubbliche al Concordia Summit del 2016.
Alexander Nix è assai chiaro sul funzionamento del modello OCEAN in funzione elettorale.

Si comprano sul mercato tutti i dati disponibili sull’elettorato americano. Dai registri immobiliari alle chiese, dai concessionari alle carte di credito, dagli abbonamenti al traffico internet. Ai social network. I big data.
Ogni dato è disponibile, ogni dato è in vendita. E se non lo è, è facilissimo rubarlo. Ogni volta che si accetta un cookie, che si firma per l’accettazione o si clicca sul tasto sì alla richiesta di accesso ai nostri dati, siamo noi stessi a metterli in circolo. E così facendo mettiamo in circolo i nostri bisogni, le nostre aspirazioni e i nostri desideri. I nostri limiti più evidenti e le paure più nascoste. E così come ogni giorno ci arrivano pubblicità mirate, allo stesso modo qualcuno sta cercando di condizionare il nostro voto. O di comprarlo.
I codici etici e i limiti giuridici, sono assai fragili.

E come, grazie a i big data, le grandi compagnie tecnologiche prosperano monetizzando l’inconscio e i suoi desideri, Cambridge Analytica, Scl e compagnie simili influenzano la vita politica acquistando spazi pubblicitari sulle stesse Big Tech.

Come fanno, lo spiega di nuovo Alexander Nix.
Si vuole per esempio fare pubblicità mirata a favore del secondo emendamento e della libera vendita e circolazione delle armi? Convincere nella maniera migliore, più raffinata? All’obiettivo che il test psicometrico OCEAN ha catalogato come timoroso, si invia materiale in cui si stimolano le sue paure: rapine, effrazioni nelle case, meglio se commesse da stranieri. All’obiettivo catalogato come docile, invece, scene di fraterne battute di caccia in compagnia, di padri e figli con un fucile uniti al tramonto.
Nel caso delle elezioni politiche, il lavoro si fa ancora più certosino. I dettagli cominciano a variare in microscopiche sfumature, per ottimizzare l’impatto sul profilo dell’elettore. L’enorme quantità di Big Data fornisce un profilo psicologico sempre più preciso, chi vuole influenzare la vita politica del paese confeziona slogan sempre più particolareggiati.

“Possiamo rivolgerci a un singolo villaggio, a un condominio, o addirittura al singolo individuo”, spiega Nix in un’intervista a Das Magazin.

E così è, attraverso i dark post, i post sponsorizzati di Facebook che sono visibili solo a un certo numero di persone, catalogate come ottimali ricettori. A ogni gruppo di persone catalogato secondo un certo profilo psicologico, sesso, religione, etnia, volontà e aspirazioni, si inviano una serie di messaggi sponsorizzati a tema sociale, politico, economico, destinati a stimolare un riflesso solo ed esclusivamente in quel tipo di utente. Ogni post pubblicitario è disegnato appositamente per stimolare paure, ambizioni e desideri dell’elettore, e indurlo a rispondere con il voto giusto. Il voto di chi paga milioni a Cambridge Analytica.

Emma Briant, nel suo libro Propaganda and Counter-Terrorism: Strategies for Global Change (Manchester University Press, 2014) spiega come SCL, la compagnia che possiede Cambridge Analytica, abbia effettivamente le capacità di influenzare psicologie e cambiamenti. Di come SCL abbia lavorato per la Nato, i dipartimenti degli Interni britannici e statunitensi, per cambiare “i comportamenti e le credenze di larghe sezioni delle popolazioni nel mondo, specialmente nelle zone di conflitto o in vista di repentini cambi di regime politico”.

La scorsa settimana, c’è stato il tentativo – sbagliato – di fare emergere un collegamento tra la questione Russia Gate e Cambridge Analytics. I media di tutto il mondo, la CNN in prima fila, hanno annunciato il contatto tra Julian Assange, controverso fondatore di Wikileaks, e Alexander Nix, in cui quest’ultimo chiedeva di poter avere accesso alle email di Hilary Clinton. Quindi, si chiede la CNN, quale è il ruolo di Cambridge Analytica nel tentativo russo di screditare la candidatura di Hilary Clinton?

È vero che una delle ultime apparizioni pubbliche di Nigel Farage, leader dell’estrema destra britannica fautrice della Brexit, ottenuta grazie al lavoro di Cambridge Analytica, è stata all’ambasciata ecuadoregna di Londra in compagnia di Julian Assange, considerato molto vicino a Putin. Ed è vero che lo stesso Farage è stato il primo politico straniero a essere ricevuto dal neoeletto Presidente Donald Trump. Può darsi, quindi, che tra Assange, Farage, Trump e Putin ci sia un rapporto e uno scambio di informazioni. Detto ciò, la sovrapposizione tra le vicende Cambridge Analytica e Russiagate dovrebbe concludersi con questo tweet di Assange “Sono stato contattato, ho risposto non grazie”.

Altrimenti, sovrapponendo i due piani, si fa il gioco di Donald Trump. Utilizzare il Russiagate per distrarre dal vero scandalo: Cambridge Analytica. Si cade nel suo depistaggio, nel suo metodo Ocean, inteso come quello del film.

Perché dietro queste società, e queste metodologie di lavoro sui big data e sul condizionamento elettorale, c’è un network di estrema destra che fa paura.

Abbiamo già incontrato qualche paragrafo sopra, durante la campagna per le primarie repubblicane di Ted Cruz, il miliardario Robert Mercer, che possiede il pacchetto di maggioranza di azionidi Cambridge Analytica.  Dalle dichiarazioni dei redditi dello stesso Mercer, risulta come abbia  sovvenzionato con almeno 45 milioni diverse campagne politiche repubblicane, passando da Ted Cruz a Donald Trump quando era chiaro che l’indebitato proprietario di alberghi, casinò e campi da golf avrebbe avuto la meglio nella nomination. E con 50 milioni diverse organizzazioni no-profit riconducibili alla galassia dell’estrema destra, antisemita e islamofoba.

È stato lo stesso Robert Mercer che ha lanciato la carriera del blogger anti-islamico Milo Yiannopoulos e, soprattutto, con 10 milioni ha permesso la nascita di Breitbart, il sito di estrema destra da cui è emersa la figura di Steve Bannon, il noto giornalista alt-right arrivato a ricoprire brevemente la carica di Consigliere speciale del presidente durante il primo anno dell’amministrazione Trump.
Il più visitato sito di informazione sui social network, con 2 miliardi di pagine visitate l’anno e connessioni pericolose con il Ku Klux Klan e gruppi eversivi neonazisti, il ruolo cruciale di Breitbart nell’elezione di Trump è noto a tutti.  Meno noto il fatto che il suo leader Steve Bannon sia stato a lungo nel consiglio di amministrazione di Cambridge Analytica.
Il cerchio sta per chiudersi, ma c’è un terzo attore in campo. È il Gai (Government Accountability Institute) cofondato da Bannon e Mercer e nel cui board siede Rebekah, figlia del miliardario e tra le più importanti sostenitrici della campagna di Trump, con soldi che spesso sono tornati a casa tramite le consulenze pagate a Breitbart o a Cambridge Analytica.  Il Gai è un gruppo di giornalismo investigativo che usa i big data (vantano l’utilizzo di mega-computer del valore di oltre 1 miliardo di dollari l’uno) per orientarsi nel dark web e raccogliere materiale per produrre libri come Clinton Cash: The Untold Story of How and Why Foreign Governments and Businesses Helped Make Bill and Hillary Rich(Harper, 2015). Un best seller il cui contenuto è facilmente intuibile dal titolo.

Internet, social network, raccolta dei dati, analisi psicologica e psicometrica dei sentimenti e dei desideri. Un intreccio di amore per i soldi e fascinazione per il suprematismo bianco che ha portato alla creazione di un vero e proprio impero.

Fondata da Nigel Oakes, uno dei creatori della vittoriosa campagna di Saatchi & Saatchi per Margaret Thatcher, la compagnia Slc, di cui Cambridge Analytic è sussidiaria, “Usa le stesse metodologie dei servizi segreti, utilizzando i dati che hanno a disposizione per il loro tornaconto economico”, scrive ancora Emma Briant. “Sfruttano la nostra dipendenza dai social media”.

E lo fanno all’interno di questo ben riconoscibile network di estrema destra. Tutt’altro che segreto o occulto.
Per questo, il tentativo di collegare la questione Cambridge Analytica con il Russiagate vuol dire essere caduti con entrambi i piedi nel tranello Ocean – inteso come il depistaggio del film – messo in atto da Donald Trump e dai suoi consiglieri e finanziatori. Quando diverse aziende private, fondate e sovvenzionate da noti personaggi alt-right, acquisiscono i dati personali di centinaia di milioni persone, a loro insaputa, e tramite il metodo OCEAN li utilizzano per modificarne gli orientamenti sociali e politici, sembra assai pretestuoso, e inutile, vedere quali colpe attribuire a Vladimir Putin nella sconfitta di Hilary Clinton. Si sta facendo il loro gioco.
Il problema non è chi ha mandato delle email. Il problema è che ogni volta che noi apriamo un computer non ci stanno solo facendo scegliere come vestirci e cosa mangiare. Ma anche chi votare. E lo stanno facendo aziende private, sovvenzionate da miliardari di estrema destra, che collaborano con governi occidentali, e che rivendicano di essere intervenute nei processi politici di diversi paesi “lontani”. E di averli modificati a loro piacimento. Prima di essere riusciti a farlo anche negli Stati Uniti.

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