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RECENSIONE


lun 8 marzo 2021

LO SPECCHIO DELLA VALLE OSCURA

Il memoir di Anna Wiener non è certo l’attacco incendiario ai dispositivi della Silicon Valley che molti si aspettavano. Forse, proprio per questo, riesce in un’impresa ancora più spaventosa: ribaltare il noto esperimento della robotica e raccontarci che nella “Valle Oscura” ci siamo anche noi.

Il modo migliore per comprendere davvero la Valle Oscura è uscirne, in senso pratico e simbolico. Altrimenti si resta intrappolati nel desiderio posticcio di leggere l’ennesimo attacco alle disfunzioni e alle violenze del punto più avanzato del capitale e se ne resta delusi. Ma come? Il libro si intitola La Valle Oscura (di Anna Wiener, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, Adelphi 2020) e non racconta tutti i lati occulti, perversi, degenerati della Silicon Valley? Eppure il gioco è proprio questo: l’ingaggio tra autore e lettore avviene su diversi piani. Alcuni li ribalta completamente.

La Silicon Valley, cuore pulsante del venture capitalism occidentale, non è certo descritta come la terra del bengodi e non ci sono accenti tecnoentusiasti per omaggiare lo spirito del tempo, ma allo stesso tempo non è nemmeno descritta in modo piatto come il luogo del male assoluto, il castello degli orrori dove un gruppo di miliardari con gli occhi da rettile e la lingua biforcuta estrae valore dall’umanità ignara, arricchendosi a dismisura. La valle oscura è descritta per quello che è. Ovvero l’epicentro delle contraddizioni globali di tutto – o quasi – il nord del pianeta.

La Valle Oscura di Anna Wiener è un memoir sotto forma di saggio, o viceversa, di una giovane donna che racconta la sua esperienza lavorativa: dalla scena editoriale hipster di New York alla scelta di mollare tutto e vivere per cinque anni nella distopia tecnocratica di San Francisco, cambiando vita, abitudini, desideri, emozioni, modo di rapportarsi con il cibo e con le persone. O forse no. Tutto è sempre rimasto uguale. È questo il problema.
In fondo il titolo originale – Uncanny Valley, da tradursi anche come “zona perturbante” – proviene da una serie di ipotesi della robotica sulle reazioni e sulle relazioni emotive degli esseri umani nei confronti della macchina antropomorfizzata. E Anne Wiener, in un testo non esente da difetti – a tratti eccessivamente leccato, a tratti furbescamente ombelicale – sembra quasi voler ribaltare l’esperimento. Forse non è la sua intenzione conscia, chi lo sa, ma è senza dubbio il risultato finale dell’opera. A leggerla pare di non trovarsi davanti alle reazioni emotive dell’umanità di fronte al robot che si fa sempre più umano ma, al contrario, pare di trovarsi di fronte allo stupore di una macchina di fronte all’umanità che si macchinizza sempre di più. E in questo caso ecco che, anche lo stile di scrittura quasi algoritmico, assume senso.

Le dinamiche del venture capitalism della Slicon Valley degli anni Dieci sono infatti simili, per non dire uguali, a quelle dell’esplosione della finance nella Londra degli anni Novanta. Sono simili l’hybris e l’impatto sociale. La San Francisco dell’iper-gentrificazione e dei senza tetto, della discriminazione di genere e delle grandi accumulazioni è un film che si ripete regolarmente, in qualsiasi luogo di sviluppo avanzato. In tutte le valley. Non solo nella cruel britannia blariana, ma in ogni ciclo economico, quando i flussi di capitale si vanno ad accumulare in singoli ecosistemi dove si trasforma tutto.

E gli esseri umani si adattano, sempre più. Le loro emotività si adeguano, le loro relazioni si conformano. È questo a essere uncanny, perturbante.
La cultura aziendale della Valley è identica a quella di ogni settore in grande crescita, anche a quello dell’editoria hipster di New York. Per questo il memoir di Wiener diventa un grande affresco del capitalismo digitale: non per il suo essere innovativo e rivoluzionario ma per esserne parte, per dimostrare a ogni pagina che alcune dinamiche si ripetono regolarmente, ogni volta che il capitale individua il punto più avanzato del suo sviluppo. In quelle mille valli oscure in cui magicamente chi ne fa parte si trova a detenere poteri che vanno ben oltre quelli economici e, senza alcuna preparazione specifica, a stravolgere gli immaginari collettivi e creare nuovi miti.

L’inquietudine di Wiener, che ha studiato per e sognato di far parte dell’industria culturale, e d’un tratto si ritrova arricchita a contare le stock option aziendali lavorando all’assistenza clienti di una start up di una società di software, si trasforma da sola in un trattato sull’economia del tardo capitalismo.

La remunerazione del capitale è la reale cifra degli assetti economici contemporanei, il lavoro perde sostanza se non intercetta i flussi: un call-center diventa fonte di benessere mentre anni di studio portano miseria e fallimento. E come in uno spaventoso esperimento di robotica messo in atto dalle macchine nei confronti delle persone, l’umanità a tutto questo si adatta sempre più, si conforma, aderisce. Il perturbante è ovunque intorno a noi, siamo immersi in una Valle Oscura.
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