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MONITOR


lun 3 febbraio 2020

L’INVASIONE DEGLI ULTRACORPI CINESI

Che a unirci siano gli istinti più subumani e beceri della nostra specie – la paura, il sospetto, la paranoia, l’ignoranza – non ci interessa. Siamo le bande armate di Cecità, e ne siamo orgogliosi. La minaccia del contagio ha agito da collante. E ora noi, insieme, possiamo essere invincibili.

Dr. Miles Bennell: «Aiuto! Aiuto! Ferma! Ascoltatemi! Ascoltatemi! Ascoltatemi! Ferma! Ferma! Ferma! Ferma! Aspetta! Quelli che mi stanno inseguendo non sono esseri umani! Ascoltatemi! Siamo tutti in pericolo! Fermatevi! Fermatevi, vi scongiuro! Vi prego, ascoltatemi! Fermo! Fermo! Aiuto! Fermatevi! Mi ascolti lei, la prego, accosti! Ho bisogno del suo aiuto! È successa una cosa terribile! Fermatevi! Dove correte, incoscienti?! Ascoltate! Siamo in pericolo! Siamo tutti in pericolo! Il mondo intero è in pericolo! Ascoltatemi o sarà troppo tardi! Fermatevi! Fermatevi! Fermatevi! Fermatevi!»
L’Invasione degli Ultracorpi (Don Siegel, 1956)

Quando il virus è arrivato tra noi, all’alba del decennio che ci traghetterà in una nuova realtà iper-tecnologicizzata 5.0, ci ha trovato prontissimi. Già ordinatamente disposti in filari di baccelli amniotici. Docilmente preparati ad alimentare macchine che, stupidamente, temiamo un giorno possano soggiogarci definitivamente.

Grazie al virus, ne abbiamo avuto l’ennesima prova. Non dobbiamo più preoccuparci. Siamo già stati soggiogati.

Il coronavirus che contagia migliaia di corpi in Cina e poche decine nel resto del mondo, con un tasso di mortalità per ora statisticamente risibile, ci ha permesso di abbandonarci a un’isteria collettiva liberatoria.

Finalmente siamo i protagonisti di quegli immaginari catastrofici che abbiamo tanto desiderato. Ora, grazie al cielo, ci siamo svegliati.

Guardiamo con ammirazione mista a invidia i cordoni sanitari messi in atto con solerzia dall’amministrazione cinese, dove una classe dirigente pragmatica e con gli attributi per fare ciò che deve essere fatto ha isolato dal resto del pianeta oltre 50 milioni di persone.

Sappiamo poco e niente di questi uomini e donne, relegati per chissà quanto ancora dentro campi speciali a forma di megalopoli. L’eterno ritorno della storia. Disumanizzata dal racconto globale del contagio, la popolazione a rischio perde ogni singolarità. Si fonde in numeri a sei cifre di soggetti malfunzionanti, non produttivi, inutili.

L’uomo malato è homo sacer. Non ha più alcun diritto.

Dr. Miles Bennel: «Ma che cos’è? Cosa sta succedendo?»
Dr. Dan Kauffman: «Non lo so, sembra una strana nevrosi. Evidentemente contagiosa. Un’isteria epidemica di massa. In due settimane si è presa tutta la città.»
Dr. Miles Bennel: «E qual è la causa?»
Dr. Dan Kauffman: «La preoccupazione per quello che sta succedendo al mondo, probabilmente.»

Con apprensione per le ricadute del virus sul computo del PIL globale, osserviamo commossi il brulicare di ruspe e muletti nell’enorme cantiere di Wuhan. Qui la manodopera cinese – con spirito di abnegazione degno del soldato semplice ed eroe della rivoluzione Lei Feng – lavora a ciclo continuo per erigere a tempo di record due ospedali. Ammirazione, invidia.

Chissà se saranno operativi prima di demolire completamente le proiezioni di crescita di quest’anno, ci chiediamo. Speranza, timore.

Che il coronavirus sia cinese è un vero peccato, pensiamo. Grande comunità, lavoratori instancabili, niente moschee o preghiere in mezzo alla strada. I nostri cinesi stanno al loro posto nei loro quartieri, si sposano le loro donne, se muoiono – chissà se muoiono davvero, mai visto un loro funerale – lo fanno con discrezione, nel rispetto delle nostre tradizioni.

Grande comunità, ma non sono come noi. E anche noi, nel nostro piccolo, grazie al virus abbiamo scoperto di avere gli attributi per fare quello che deve essere fatto. Per erigere i nostri cordoni sanitari: vietato l’ingresso ai cinesi, la bambina alla festa non me la portare «per motivi umanitari», certo che questi si mangiano di tutto anche cani e pipistrelli, le mascherine le fanno a Wuhan, i cinesi il virus «ce l’hanno nel DNA».

Dobbiamo essere grati al virus, La sua azione chiarificatrice ci ha mostrato ancora una volta che no, non siamo tutti uguali. Ci sono i contagiati e i sani, i deboli e i forti. Loro e noi.

La minaccia del contagio ha agito da collante. E ora noi, insieme, possiamo essere invincibili.

Da torme di individui ridotti ai minimi termini da crisi economiche ed emotive, distrutti dalla solitudine di rapporti interpersonali assenti, dall’alienazione di lavori scomparsi, ora possiamo riscoprire il valore della patria e della bandiera, del muoverci in sincrono come un sol uomo. Finalmente uniti. Noi, i sani.

Che a unirci siano gli istinti più subumani e beceri della nostra specie – la paura, il sospetto, la paranoia, l’ignoranza – non ci interessa. Siamo le bande armate di Cecità, e ne siamo orgogliosi.

Davanti alla minaccia mortale, reclamiamo il diritto e adempiamo al dovere di difenderci. Di difendere le nostre famiglie, i nostri quartieri, dal contagio dello straniero. Il complotto biochimico dell’invasore non ci avrà. Eravamo soli e avevamo paura di morire. Ma il virus ci ha mostrato la via.

Non siamo più soli. E contro i malati, non ci siamo mai sentiti così vivi.
#invasione ultracorpi#coronavirus#isteria collettiva#paranoia

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