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MONITOR


mar 30 marzo 2021

LA RUSPA DEL CAPITALE NEL CANALE DI SUEZ

Oltre trecento navi bloccate per giorni nel canale in cui ogni anno scorre più del dieci per cento del commercio mondiale. Eppure, a Suez non abbiamo visto una nave incagliarsi e sabotare gli ingranaggi del sistema, ma la piccola ostinata ruspa del capitale nell’atto di liberare lo stesso sistema dalla sabbia residua del tempo. All’infinito.

Eric Parker, titolare di uno dei più grossi hedge fund globali, attraversa Manhattan nella sua limousine bianca. Deve andare a tagliarsi a capelli.
Dentro la limousine. Eric Parker muovendo le dita sui cristalli liquidi degli schermi, come se stesse riproponendo un antico rito sciamanico, cambia il segno a variabili e algoritmi, decide le sorti del pianeta.
Fuori dalla limousine. Lo stesso pianeta impazzisce in un violentissimo carnevale di sangue, carne, sesso e morte.
Dentro la limousine. La concreta rappresentazione del massimo grado di sviluppo tecnologico del capitalismo finanziario.
Fuori dalla limousine. I grattacieli di Manhattan altissimi, lontanissimi, quasi eterei, si smaterializzano facendosi incorporei come i flussi del capitalismo finanziario.
«Metti in bocca una gomma e prova a non masticarla. Per uno della tua età, con le tue doti, c’è una sola cosa al mondo degna di interesse professionale e intellettuale. Che cos’è, Michael? L’interazione tra tecnologia e capitale, la loro inseparabilità.»
Questo dice a un certo punto Eric Parker, protagonista di Cosmopolis, romanzo di Don DeLillo dei primi anni zero.


Dentro e fuori, razionale e religioso, antico e contemporaneo, concreto ed effimero. È in questa summa di contraddizioni che si si dispiega il dispositivo del tardo capitalismo: il regno a venire del progresso tecnologico. Il nostro futuro già collassato nel presente, sentenzia Don De Lillo.

Immaginiamo di girare all’improvviso questa limousine bianca, di metterla di traverso lungo la carreggiata. Ecco, abbiamo bloccato il traffico di Manhattan, le strade di Manhattan, la vita di Manhattan. Abbiamo fermato tutto, dentro e fuori la limousine bianca. Abbiamo fermato il tempo. I riti sciamanici di Eric Parker perdono di efficacia, la loro capacità divinatoria scompare. Le variabili e gli algoritmi si inceppano. Il carnevale si affloscia, la musica si spegne, la festa è finita. Restano solo bottiglie vuote e bicchieri rovesciati. I grattacieli si dissolvono, la loro funzione storica basata sulla velocità e sull’accelerazione si estingue. Il mondo collassa su stesso.

È quello che è successo. È quello che è accaduto davvero nel canale di Suez, dove l’interazione tra tecnologia e capitale ha mostrato la fallibilità di entrambi. Ancora una volta.

La Ever Given, una delle più grandi navi portacontainer del mondo, di proprietà della Shoei Kisen Kaisha, sussidiaria di Imabari Shipbuilding, gestita da Evergreen Marine, battente bandiera panamense, quattrocento metri di lunghezza, sessanta di larghezza, duecentoventimila tonnellate di stazza lorda, ventimila teu (twenty-foot equivalent unit) di capacità di carico, ha fermato il tempo.

La nave, partita da Shangai e diretta in Olanda, si è improvvisamente messa di traverso nel canale, interrompendo la circolazione delle merci su scala globale. D’un tratto ha arrestato il ritmo della logistica, interrotto il respiro del capitalismo finanziario. Errore tecnico o umano non fa differenza, la limousine bianca di Erik Parker si è messa di traverso.

Proprio riprendendo il famoso frammento sulle macchine dei Grundrisse di Karl Marx, il pensiero operaista invitava al sabotaggio come forma suprema di ribellione. L’arma definitiva per la distruzione del capitale. Gettare sabbia negli ingranaggi del sistema, era lo slogan nelle strade. Concreto e allegorico, antico e contemporaneo, costruttivo e distruttivo. Dentro e fuori. Opposti che non si possono più scindere, come nella storia della limousine bianca che attraversa Manhattan raccontata da DeLillo.

La Ever Given è stata letteralmente quella sabbia negli ingranaggi del sistema. O forse no.
Oltre trecento navi bloccate per giorni nel canale artificiale in cui ogni anno scorre più del dieci per cento del commercio mondiale. Dentro e fuori, materiale-immateriale.

Dentro. Saltano i dispositivi della logistica per la distribuzione e quelli della componentistica per la produzione, si dilata all’infinito l’alienazione data dall’impossibilità di costruire un prodotto finito, di vedere un risultato compiuto dal lavoro vivo.
Fuori. Si scardinano i punti cardinali del mercato assicurativo globale, la tempesta perfetta. Gli oltre tre miliardi di copertura assicurativa della Ever Given sono moltiplicati esponenzialmente all’infinito per il numero di navi bloccate dietro di lei.

Si dissolve la mistica meccanica dell’automazione totale. L’algoritmo che regola il tardo capitalismo non agisce sul cervello delle macchine ma regola i corpi degli uomini.
«Ieri e domani, in una sospensione dell’oggi tra ciò che non è più e ciò che ancora deve essere. Nulla è mai finito davvero e il capitalismo è un buco nero in cui temporalità diverse collassano oltre l’orizzonte degli eventi.»

Ieri e domani è sempre il lavoro vivo degli umani. La fatica, il lavoro, il sangue, il sudore, la schiavitù, la morte. La macchina è carnivora. L’algoritmo si impone sui corpi e sulle menti della rude razza pagana dell’operaio massa.

L’uomo muore, la macchina sopravvive. La Ever Given è cerimonia, non è sabotaggio. Nella grotta sulla sommità del Monte Sinai, a pochi passi dal Canale di Suez, non è apparsa la mano invisibile del mercato, è avvenuta l’epifania dell’algoritmo.

Scrive David Harvey – nel secondo volume del suo compendio al Capitale di Marx – che il filosofo tedesco aveva già previsto, duecento anni orsono, un possibile blocco della circolazione globale delle merci risolto da un bilanciamento del costo del denaro.

Dentro e fuori. La limousine di Erik Parker di traverso nelle strade di Manhattan è una delle infinite possibilità previste dall’algoritmo. È già accaduta prima ancora di accadere. Non a caso, per fare l’esempio dell’interruzione della circolazione, David Harvey usa il canale di Suez.

Tutti i meme e le vignette che sono circolate in rete sono state ribaltate. Le immagini a confronto della gigantesca prua incagliata della Ever Given e della minuscola ruspa con cui un operaio egiziano cercava di disincagliarla erano un negativo fotografico del reale. Dentro e fuori. Immagini rovesciate, osservate nella camera oscura attraverso cui agisce il realismo capitalista, come Engels e Marx scrivevano nell’Ideologia tedesca.

Nell’immagine rovesciata, sviluppata e illuminata dalla luce, è la piccola ruspa del capitale a farsi gigantesca e la prua della nave a rimpicciolirsi fino a scomparire.

La limousine di Eric Parker si fa effimera, dissolvendosi nel regno dell’irreale mentre i grattacieli sullo sfondo di Manhattan acquistano concretezza, in un processo alchemico di solidificazione. La Ever Given è minuscola, la ruspa è immane. La Ever Given non esiste, la ruspa sì. I flussi incorporei del tardo capitalismo finanziario sono l’unica realtà tangibile che ci è data.

L’interazione tra tecnologia e capitale, la loro inseparabilità, è data proprio nella sua interazione dentro l’algoritmo e fuori dall’umano.

Dentro e fuori. Contro l’umano, l’algoritmo si resetta da sé. A Suez non abbiamo visto una nave incagliarsi per gettare sabbia negli ingranaggi del sistema ma una ruspa rompere la clessidra per liberare il sistema dalla sabbia residua del tempo. Il sabotaggio si ha solo quando è messo in atto per liberare gli esseri umani e non la macchina, per liberare gli umani dalla macchina.
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