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gio 16 settembre 2021

IL SOGNO D’OCCIDENTE È IL BUNKER

Mentre nel pieno di una pandemia l’uomo attraversa città deserte e alienate, la North Star Missile Silo annuncia che nuove soluzioni abitative sono finalmente disponibili: a soli 750mila dollari di base d’asta è infatti possibile acquistare come casa un silo costruito interamente sottoterra, reso impenetrabile da tonnellate d’acciaio e dotato di serre idroponiche per la coltivazione, a decine di metri di profondità. Benvenuti nel sogno d’Occidente, benvenuti nella dimora dell’antropocene. Benvenuti nel bunker.

«Totò, ho l’impressione che non siamo più nel Kansas.»
Il Mago di Oz


Costruito interamente sottoterra, il silo è una delle strutture più impenetrabili mai realizzate dall’uomo, con le sue oltre seicento tonnellate di acciaio utilizzate per armare il cemento di pareti spesse quasi due metri. Il dépliant informativo avverte poi come i due piani del centro di controllo – accessibili da due rampe di scale in ferro battuto che scendono per sei metri verso il centro della terra –, possano diventare due comodi appartamenti. O, in alternativa, una sede di rappresentanza e una serra idroponica.

Attraversata una doppia porta d’acciaio, ciascuna dal peso di oltre tremila kilogrammi, si accede a un lungo tunnel orizzontale, costruito in puro stile 2001: Odissea nello spazio, che porta al silo vero e proprio: un cilindro di 15 metri di diametro in larghezza che scende per altri 55 metri in profondità nelle viscere della terra. Già suddiviso in otto comparti in fase di costruzione, la brochure pubblicitaria ammonisce che il silo una volta rinnovato potrà ospitare altri otto tra monolocali, depositi, cantine.

Benvenuti nel sogno d’Occidente, benvenuti nella casa dell’antropocene.
Benvenuti nel bunker.


Se la rigida organizzazione dello spazio, del tempo e dei corpi nei campi di concentramento nazisti sono stati l’apogeo del modo di produzione capitalista, la fine di quell’incubo arrivata con la morte di Adolf Hitler nel Führerbunker – il complesso di trenta stanze protette da muri di calcestruzzo spessi quattro metri e situate otto metri sotto il livello del terreno su cui sorgeva la Reichskanzlei (Cancelleria del Reich) – rappresenta invece il culmine dello stile di vita imposto da quello stesso modo di produzione: alienazione e distanza. Ben prima che la pandemia rendesse plastiche la prigionia e le paure delle nostre vite.

Finita la Seconda guerra mondiale, non termina l’incubo. La ricostruzione del mondo occidentale avviene sotto gli stessi influssi: terrore, protezione, difesa. Follia. La Guerra fredda penetra nelle viscere dell’essere umano, gela il sangue, inaridisce il cuore. Paura dei missili, paura della bomba, paura del diverso, se i modi di produzione sul lavoro cambiano di poco o nulla rispetto all’orrore supremo, l’urbanistica si concentra nella sua funzione uguale e contraria: l’isolamento.

La Città del Sole delle antiche utopie mistiche e libertarie diventa nei progetti di architetti e urbanisti altrettanto mistici e libertari un luogo completamente autosufficiente, isolato e indipendente, regolato al suo interno dai ritmi dal lavoro e della produzione. È la fusione a freddo del campo e del bunker. Chi può dentro, tutti gli altri fuori. Chi è dentro è degno, è cittadino; chi è fuori è sacer, spendibile, privo di diritti e tutele.

Su tutto domina il concetto di sparizione. Se ne occupa nella sua tesi di laurea un giovane urbanista, destinato a diventare uno dei più importanti filosofi della contemporaneità indagando i concetti di velocità e catastrofe. Bunker Archéologie (pubblicato poi nel 1975) di Paul Virilio indaga il senso di alienazione, isolamento e sparizione che dai bunker costruiti dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale arriva fino ai giorni nostri. Queste cripte che prefigurano la resurrezione non sono altro che sentenze di morte: autodafé di una vita che teme di essere vissuta. Che chiede solo di scomparire.

Mentre altrove orde di disperati in fuga da fame, guerre, carestie e cambiamenti climatici affollano le città, facendo sì che il 2009 sia il primo anno nella storia dell’umanità in cui la popolazione urbana supera quella rurale, in Occidente si assiste al processo inverso: si abbandonano i centri per inseguire utopiche comunità periferiche la cui caratteristica è la stessa del bunker. Alienazione, distanza, isolamento. Sparizione. La pandemia non fa altro che portare alla luce tutti i processi che l’hanno preceduta: devastazione dello stato sociale, delle tutele e della sanità pubblica da una parte, dissoluzione dei luoghi d’incontro e comunità dall’altro.

Si può solo transitare da una gated community all’altra. I famosi non luoghi come aeroporti e centri commerciali raccontati da Marc Augé, dov’è possibile unicamente il rapido passaggio isolato e impossibile ogni lento ozio collettivo, si accompagnano alla motorizzazione delle strade, alla chiusura degli spazi pubblici. Addirittura alla costruzione delle barriere architettoniche nei centri urbani per impedire la sosta: all’homo sacer come al cittadino dotato di ogni diritto. Nessuno – o quasi – è escluso dalle ordinanze sul decoro, dall’igienizzazione dello spazio pubblico.

La tecnologia rende ogni appartamento autosufficiente, la grande distribuzione ripulisce le strade dal vagare ozioso del flaneur, la logistica permette di non uscire mai di casa.

Tutto questo avviene prima della pandemia. Tutto questo era stato scritto già nel 1975, quando esce la raccolta di saggi di Virilio sotto il nome di Bunker Archéologie e quando esce High Rise, l’inquietante e perturbante romanzo di James G. Ballard che squarcia il velo sulla società atomizzata delle realtà urbane occidentali: isole di cemento in cui all’uomo è permesso solo impazzire in esplosioni di violenza mai viste prima. Il bunker protegge dall’esterno tanto quanto libera la follia che lo abita all’interno. Nell’alba dei morti viventi chiusi in un supermercato (o in un aeroporto, un condominio o una gated community) è impossibile vedere sorgere il sole.

Lo scrive anche Mark O’ Connell, già autore di Essere una macchina (Adelphi, 2018) nel suo ultimo libro Appunti da un’Apocalisse (Il Saggiatore, 2021) quando racconta del suo viaggio in Sud Dakota nel complesso di bunker di superlusso per miliardari impauriti: «575 magazzini di armi smantellate, enormi strutture di acciaio e cemento progettate per resistere a esplosioni fino a mezzo megatone di potenza. [Destinati agli…] americani desiderosi di proteggere se stessi e la propria famiglia da una varietà di possibili eventi definitivi – la guerra nucleare, ovviamente, ma anche l’attacco di forze elettromagnetiche e gigantesche eruzioni solari e l’impatto di asteroidi e pandemie di virus devastanti». Era l’epoca delle sanzioni e della temuta guerra con la Corea del Nord.


Nonostante la guerra sia finita, o non ci sia mai stata, il sogno del bunker è rimasto. Il mondo fa paura: meglio nascondersi, meglio sparire. E così il 18 agosto 2021, mentre nel pieno di una pandemia globale l’uomo attraversa città deserte e alienate, tormentato dalle notizie che arrivano dall’Afghanistan, la North Star Missile Silo annuncia su Facebook che l’incubo del campo e del bunker è finalmente a portata di tutti: a soli 750mila dollari di base d’asta – il prezzo di un monolocale a New York, o di una tipica villetta nei sobborghi di Austin, Texas - è possibile acquistare come abitazione privata un bunker inespugnabile costruito in un silo. Il cratere di una ex base missilistica nucleare dell’esercito americano nel cuore del Kansas.

«Totò, ho l’impressione che non siamo più nel Kansas», dice Dorothy Gale al suo cagnolino ne Il Mago di Oz. E infatti non siamo più nel Kansas, Dorothy, siamo finiti dentro un fottuto bunker.


Il bunker pubblicizzato dall’azienda fa parte di un complesso di una ventina di silos per il lancio di missili intercontinentali costruiti dall’esercito americano alla fine degli anni Cinquanta. In piena Guerra fredda. Quando il Führerbunker invece che un lontano incubo del passato era entrato nelle nostre vite come il sogno cui tendere, l’utopia da realizzare. La scelta del Kansas non è casuale. Il centro geografico dell’America, il cuore pulsante dell’America, il bunker dell’America ne è il posto più isolato, difeso, protetto. Irraggiungibile dagli eventuali missili a lunga gittata sparati dalle navi sovietiche da entrambi gli oceani. Equamente lontano dalla perdizione di New York e Los Angeles. Puro, igienico. Inattaccabile.

I siti militari sono smantellati con il processo di denuclearizzazione, alcuni sono distrutti, altri diventano centri di ricerca, sono donati alle università o venduti ai privati. Uno di questi è invece acquistato, ripulito, preparato a essere trasformato in un condominio. Come scrive Ballard in High Rise: «L’edificio era un’immensa macchina progettata per servire non la collettività degli inquilini, ma il residente individuale e isolato», e infine messo in vendita dalla North Star Missile Silo in un torrido e deserto agosto afghano.


Il dépliant informativo e pubblicitario, oltre a occuparsi di come arredare il Führerbunker delle nostre vite, pensa anche al brullo e respingente terreno di pertinenza in superficie. Un appezzamento arso dal sole e roso dai venti in cui svetta e – assurda, come in un dipinto di Magritte – una sola e unica porta: arcaico monolite che racconta la fine dell’antropocene prima del suo cominciamento. Su questi 18 acri di terreno, avverte il dépliant, si possono impiantare pannelli solari o ulteriori sistemi di difesa. Si potrebbero forse destinare ad altro, come l’agricoltura, ma i tempi difficili che stiamo vivendo non lo consigliano. Meglio una serra idroponica al secondo piano del centro di controllo. Meglio nascondersi, meglio sparire.

L’esergo che campeggia sulla pagina del sito della North Star Missile Silo recita infatti: «We need to be fit and ready for anything that might come our way». Cioè «dobbiamo farci trovare pronti, qualsiasi cosa possa accadere». Questa frase, abbastanza indicativa del livello di paranoia che accompagna la società contemporanea, non è però presa dalla Bibbia, e nemmeno da film di culto come Night of the Living Dead (George A. Romero, 1968), ma è estratta da Doomsday: oscura trilogia letteraria scritta da Aaron Powell, ex marine che di ritorno dall’Iraq nello scorso decennio ha cominciato a scrivere dozzinali libri di genere catastrofistico.

Robaccia. Come il video di presentazione che dovrebbe invitare all’acquisto. Dopo una serie di disastri naturali e catastrofi militari, un anziano Virgilio, un maschio bianco dimesso e malvestito a bordo di un’utilitaria, un uomo qualunque a una dimensione, simbolo della crudeltà e della ferocia dell’antropocene che sta distruggendo il pianeta che abitiamo, entra dalla porta magrittiana e ci spalanca gli abissi dell’inferno: pareti spoglie adornate di orrende fotografie, ferraglie arrugginite, macerie da spostare, fastidiose perdite d’acqua, lampadine nude che penzolano impiccate al soffitto. Una sensazione costante di claustrofobia, malessere e alienazione che sublimano il sogno dell’uomo occidentale contemporaneo: la sua scomparsa.


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