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gio 19 dicembre 2019

IL RITORNO DELL’IMPERO. BREXIT VOLUME 4, INTERVISTA A PAUL MASON

Nato in una famiglia della working class del nord dell’Inghilterra, Paul Mason è un profondo conoscitore di quelle zone depresse, di quel “muro rosso” che si è sgretolato davanti all’avanzata della xenofobia nazionalista-conservatrice. Per questo è stato una preziosa guida nel viaggio che i Diavoli hanno percorso durante la settimana elettorale destinata a cambiare i destini dell’Europa. L’ultima tappa non poteva che essere una chiacchierata con lui.

Giornalista e saggista, Paul Mason è una delle figure più ascoltate e rispettate della sinistra britannica. Ha cominciato a lavorare per la Bbc, poi è passato a Channel 4 e ora scrive per «The Guardian». Tra i suoi libri più noti a livello internazionale Why It’s Kicking Off Everywhere: The New Global Revolutions. London (2011, Verso) sulle rivolte che hanno attraversato il pianeta, dal movimento Occupy alle primavere arabe, fino ai riots che incendiarono l’estate britannica. E ovviamente Postcapitalism: a guide to the future (2015, tradotto da Il Saggiatore nel 2017), sul rapporto tra sviluppo tecnologico ed economia capitalista, e Clear Bright Future: A Radical Defence of the Human Being (tradotto e pubblicato quest'anno ancora dai tipi del Saggiatore, con il titolo di Il futuro migliore).

Nato in una famiglia della working class del nord dell’Inghilterra, precisamente a Leigh, nel Lancashire, Paul Mason è un profondo conoscitore di quelle zone depresse, di quel “muro rosso” che si è sgretolato davanti all’avanzata della xenofobia nazionalista-conservatrice. Per questo è stato una preziosa guida quotidiana nel viaggio che i Diavoli hanno percorso durante la settimana elettorale destinata a cambiare i destini dell’Europa. L’ultima tappa non poteva quindi che essere una chiacchierata con lui.


Ciao Paul, come spieghi quello che è successo? Cominciamo con l’analizzare quanto può avere inciso la Brexit sulle elezioni britanniche?

La sinistra britannica si è trovata imprigionata in una trappola da cui non è saputa uscire. La maggioranza delle persone, di sicuro la maggioranza dei votanti progressisti, voleva fermare la Brexit. Il Labour aveva la possibilità di fermarla in parlamento e di ottenere un secondo referendum, e ha combattuto per quello. Ma questo ha fatto in modo che circa 800,000 elettori provenienti dalla working class delle piccole cittadine, spesso anziani, gli abbiano voltato le spalle scegliendo i Tories. E dato il particolare sistema elettorale britannico, in cui 800,000 voti bastano per trasformare un trionfo in un disastro e viceversa, è andata malissimo.

Oltre a questo va detto che, siccome Corbyn ci ha messo sei mesi per arrivare alla decisione di richiedere il secondo referendum sulla Brexit, il Labour ha perso circa 1,6 milioni di voti che sono andati ai LibDem, ai Verdi e ai Nazionalisti Scozzesi, tutti fortemente orientati sul remain.


Al di là della Brexit, dell’ingerenza dei media, del ribaltamento del discorso comune e della falsa rappresentazione dei programmi dei partiti e dei loro leader, possiamo dire che i britannici avevano davanti a loro la scelta tra socialismo e fascismo, e hanno scelto il secondo?

Hanno scelto una forma di identitarismo territoriale, un “nativismo” che è una combinazione tra nazionalismo e xenofobia. La più grande preoccupazione per gli elettori delle small town era che ci fossero troppi stranieri in coda davanti a loro dal medico di base e negli ospedali.
Le proposte del Labour – aumento della spesa per la sanità pubblica, assunzione di più personale, e così via – non sono bastate a convincerli. E nemmeno la dimostrazione che è stata l’austerity a portare le liste d’attesa nei pronti soccorsi oltre le quattro ore, è servita a qualcosa. Per queste persone, intimamente reazionarie, la colpa non è mai di chi è stato al potere. Ma sarà sempre della bambina rom in attesa dal dottore a fianco a loro.


A proposito della definizione precedente sugli elettori «nativisti», secondo te è corretto chiamare “fascismo” questo strano mix di austerity, razzismo e politiche neoliberali che ha conquistato i cuori e le menti da una parte all’altro dell’oceano?

I Tories ci hanno costretto a inghiottire per nove lunghi anni delle tremende politiche di austerity, ma in questa campagna elettorale hanno promesso di finirla con i tagli e di cominciare una stagione di spesa pubblica da distribuire tra sanità, istruzione e sicurezza. Che poi lo facciano o meno, sarà da vedere. Questo tipo di politiche nazionaliste e neoliberali – tutte volte a una deregulation totale, alla faccia di qualsiasi tipo di accordo internazionale – che accomunano i Tories con Trump e Salvini, le definirei come: thatcherismo in una sola nazione.


Cosa succederà adesso? Che futuro vedi per il Regno e per la sua sinistra?

Il Labour Party inevitabilmente finirà con lo spostarsi di nuovo verso il centro. Alla fine, quello che ha danneggiato maggiormente l’immagine di Corbyn non sono state le politiche economiche troppo di sinistra, ma il suo essersi schierato con la Russia nel caso Skripal e il suo fallimento nell’eliminare ogni traccia di antisemitismo nel Labour. Il tutto amplificato da una potentissima campagna stampa contro di lui e, per la prima volta, dalla presenza nelle elezioni britanniche del dark net di estrema destra.

Con il 32% dei voti ottenuti, alla fine il Labour è ancora uno dei partiti socialdemocratici di maggior successo. E se non ci fosse stata la desistenza del Brexit Party nei collegi dei conservatori, con gli stessi voti avrebbe pure potuto vincere le elezioni. Ma tutto ricomincerà dall’inizio. Prevedo appunto un’alleanza con i partiti centristi, poi il prossimo leader del Labour rivolterà il partito per liberarlo da tutta una serie di persone che Corbyn aveva messo nelle posizioni di comando e che si prenderanno ogni tipo di colpa.

Per la Scozia scorgo invece un futuro completamente diverso, una traiettoria di sinistra progressista e molto cosmopolita nel suo nazionalismo, che la porterà entro i prossimi dieci anni a lasciare il Regno. Per il resto ci sarà la Brexit, e sarà la fine di ogni libertà di movimento. Almeno per le persone, non certo per i capitali.


Quale sarà il posto del Regno nel contesto internazionale, dopo la Brexit?

I Tories parlano di una «global Britain» che non è nient’altro che il nome in codice per la costruzione di un seconda fase imperiale. Un “British Empire” finanziarizzato, che si allontana dall’Europa e punta dritto verso il Medioriente e l’Asia. La grande domanda che ci aspetta nel prossimo futuro è questa: i Tories porteranno la Gran Bretagna tra le braccia di Trump con la volontà di smantellare definitivamente la Nato, o si alleeranno invece con la Francia e con il suo programma di trasformare la Nato in un’organizzazione poliziesca di conquista dell’Africa Occidentale?
Qualsiasi sia la soluzione, l’egemonia britannica è destinata a scemare, e questo lo si può vedere anche nelle piccole vicende quotidiane, come gli attacchi e le violenze contro gli stranieri all’indomani dei risultati del referendum sulla Brexit e degli ultimi risultati elettorali.
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