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MONITOR


gio 23 marzo 2017

L’ESERCITO DI AARON SWARTZ

Il caso dei 4,8 milioni di articoli accademici di JSTOR scaricati dalla rete protetta del MIT di Boston, l'arresto di Aaron Swartz e l'esercito di hacktivist come lui nelle parole di Carl Malamud, pronunciate al Memorial per Aaron Swartz all'Internet Archive di San Francisco, il 24 gennaio del 2013: «Aaron non era un lupo solitario, faceva parte di un esercito a cui ho avuto l'onore di partecipare con lui per una decina d'anni. Avrete già sentito parecchie cose della sua vita eccezionale, ma stasera voglio soffermarmi su una soltanto. Aaron faceva parte di un esercito di cittadini convinti che la democrazia possa funzionare solo quando la cittadinanza è informata, quando conosciamo i nostri diritti – e i nostri doveri. Un esercito che crede che la giustizia e la conoscenza debbano essere accessibili a tutti – non solo ai più fortunati o a quanti sono al potere – in modo da poterci auto-governare in modo più saggio».

Di seguito pubblichiamo l’intervento di Carl Malamud al Memorial per Aaron Swartz, tenuto all’Internet Archive di San Francisco il 24 gennaio 2013. Testo originale: Aaron’s Army. Traduzione di Silvia Franchini. Da “AARON SWARTZ (1986 – 2013) una vita per la cultura libera e la giustizia sociale”, progetto e coordinamento a cura di Bernardo Parrella e Andrea Zanni.
L’operazione di Aaron riguardo JSTOR* non va considerata neppure per un attimo l’atto occasionale di un hacker solitario, una sorta di folle, impulsivo e massiccio download.
JSTOR era da tempo oggetto di aspre critiche su Internet. In un suo intervento, Larry Lessig l’aveva definito un oltraggio morale, e suppongo di dover ammettere che mi stesse citando. E non eravamo certo gli unici a soffiare sul fuoco.
Sequestrare la conoscenza dietro un “paywall” – rendere disponibili le pubblicazioni scientifiche solo a pochi ragazzi abbastanza fortunati da frequentare università da sogno e far pagare un articolo 20 dollari al rimanente 99% di noi – era una ferita infetta. Un’offesa ai danni di tante persone.
Molti tra quanti avevano scritto quegli articoli rimanevano imbarazzati nel constatare che il loro lavoro produceva margini di profitto per qualcun altro, un club della conoscenza riservato ai soli soci.
Tanti di noi hanno continuato a soffiare su quel fuoco. Oggi molti di noi si sentono colpevoli per aver soffiato sul fuoco.
Ma JSTOR non era altro che una delle tante battaglie in corso. Si è tentato di dipingere Aaron come una specie di lupo solitario degli hacker, un giovane terrorista che ha fatto strage di protocolli Internet, causando 92 milioni di dollari di danni.
Aaron non era un lupo solitario, faceva parte di un esercito a cui ho avuto l’onore di partecipare con lui per una decina d’anni. Avrete già sentito parecchie cose della sua vita eccezionale, ma stasera voglio soffermarmi su una soltanto.
Aaron faceva parte di un esercito di cittadini convinti che la democrazia possa funzionare solo quando la cittadinanza è informata, quando conosciamo i nostri diritti – e i nostri doveri. Un esercito che crede che la giustizia e la conoscenza debbano essere accessibili a tutti – non solo ai più fortunati o a quanti sono al potere – in modo da poterci auto-governare in modo più saggio.
Aaron faceva parte di un esercito che rifiuta re e generali, per affidarsi piuttosto al consenso diffuso e al codice informatico.
Abbiamo lavorato insieme su una dozzina di database governativi, e le nostre decisioni non erano mai affrettate. Spesso il nostro lavoro richiedeva mesi, a volte anni, a volte perfino un decennio, e Aaron Swartz non ha avuto la giusta fetta di decenni.
Abbiamo dedicato parecchio tempo a studiare il database del copyright in Usa, un sistema talmente obsoleto che girava ancora sul Wais. Che ci si creda o meno, il governo imponeva il diritto d’autore sul database del copyright. Non riesco a capire come sia possibile mettere sotto copyright un database specificamente menzionato nella Costituzione – sapevamo però che stavamo giocando col fuoco violandone i termini d’utilizzo, perciò usavamo prudenza.
Prendemmo quei dati per inserirli nella Open Library, qui presso l’Internet Archive, e anche su Google Books. Poi ci arrivò una lettera in cui l’Ufficio del Copyright dichiarava di rinunciare al diritto d’autore su quel database. Prima però avevamo dovuto parlare con diversi avvocati, temendo che il governo potesse incriminarci per aver scaricato milioni di documenti in modo premeditato e doloso.
Non ci furono atti casuali di aggressione. Lavoravamo sui database per renderli migliori. Per far funzionare meglio la nostra democrazia, per dare una mano al governo. Non eravamo dei criminali.
Quando esportammo 20 milioni di pagine dei documenti della Corte Distrettuale dal “paywall” di otto centesimi per pagina del PACER (Public Access to Court Electronic Records), trovammo dei file pubblici zeppi di violazioni della privacy: nomi di figli minorenni, informatori, cartelle cliniche, registri di salute mentale, documenti finanziari, decine di migliaia di numeri della previdenza sociale.
Eravamo dei whistle-blower e così facemmo avere quei risultati ai giudici di 31 Corti distrettuali, i quali sono rimasti sconcertati e sgomenti, hanno corretto i documenti e inveito contro gli avvocati che li avevano redatti, spingendo la Commissione Giustizia a modificare le norme sulla privacy.
Sapete invece cosa fecero i burocrati che gestiscono l’Ufficio Amministrativo dei tribunali? Secondo loro non eravamo cittadini che avevano migliorato i dati pubblici, bensì dei ladri appropriatisi di beni di loro proprietà per il valore di 1,6 milioni di dollari.
Perciò chiamarono l’FBI, spiegando di essere stati attaccati da criminali, da una banda organizzata che ne minacciava il flusso d’entrate pari a 120 milioni di dollari l’anno vendendo documenti governativi pubblici.
Così l’FBI si appostò davanti alla casa di Aaron. Lo beccarono e cercarono di indurlo a parlare con loro senza l’avvocato. Quando toccò a me essere interrogato per andare al fondo di questo presunto complotto, nella stanza c’erano due agenti armati.
Eppure non eravamo dei criminali, ma semplici cittadini.
Non avevamo fatto nulla di male. Non trovarono prove di nessun reato. Avevamo fatto il nostro dovere di cittadini e l’indagine del governo non approdò a nulla, se non la perdita di un sacco di tempo e denaro.
Se volete un effetto raggelante, fate sedere qualcuno con due pressanti agenti federali per un po’ e vedrete la rapidità con cui gli si raffredda il sangue.
Ci sono persone che affrontano il pericolo ogni giorno per proteggerci – poliziotti, vigili del fuoco, operatori del pronto soccorso – e sono grato e sbalordito per quanto riescono a fare. Ma quello che fanno persone come me e Aaron, infilare dei DVD ed eseguire qualche script su materiali pubblici, non dovrebbe essere una professione pericolosa.
Non eravamo dei criminali, ma erano stati commessi dei reati, dei crimini contro l’idea stessa di giustizia.
Quando il procuratore disse ad Aaron che doveva dichiararsi colpevole di 13 reati gravi, per aver tentato di diffondere la conoscenza, prima ancora di prendere in considerazione un accordo, si trattò di un abuso di potere, di un abuso del sistema di giustizia penale, di un crimine contro la giustizia.
E il procuratore non agisce certo da solo. Fa parte di una banda mirata a proteggere la proprietà, non le persone. In tutti gli Stati Uniti, coloro che non hanno accesso agli strumenti appropriati, non hanno accesso alla giustizia e ogni giorno subiscono abusi di potere.
Quando un ente non profit come JSTOR, incaricato di far avanzare la conoscenza, trasforma un download che non aveva causato né feriti né danni in un caso federale da 92 milioni di dollari – è stato questo il vero crimine.
E il monopolio corporativo di JSTOR sulla conoscenza non è affatto l’unico. In tutti gli Stati Uniti, le corporation hanno preso possesso dei vari settori dell’istruzione: college a scopo di lucro che rubano ai nostri veterani, enti senza scopo di lucro per le standardizzazioni che razionano i codici di sicurezza mentre sganciano milioni di dollari in salari, e conglomerati multinazionali che misurano il valore di relazioni scientifiche e materiali legali in base al profitto lordo.
Nel caso di JSTOR, fu l’atteggiamento eccessivamente aggressivo dei procuratori del Dipartimento di Giustizia e la vendetta dei funzionari di polizia umiliati – quantomeno secondo il loro punto di vista – dal fatto che in qualche modo nel caso PACER l’avevamo fatta franca? L’accusa ingiusta di JSTOR era forse la vendetta di burocrati umiliati per aver fatto la figura negli stupidi sul New York Times, o perché erano stati convocati dal Senato?
Probabilmente non sapremo mai la risposta a questa domanda, ma è evidente che hanno distrutto la vita di un ragazzo con un meschino abuso di potere. Non si trattava di un problema di giustizia penale, Aaron non era un criminale.
Se tu pensi di possedere una cosa e io ritengo invece che quella cosa sia pubblica, sono più che felice di venire in aula e – se hai ragione – accetto la sentenza senza protestare se ti ho diffamato.
Quando però mettiamo degli agenti armati alle costole di cittadini che cercano di ampliare l’accesso alla conoscenza, allora sì che s’infrange la legge, abbiamo profanato il tempio della giustizia.
Aaron Swartz non era un criminale, ma un cittadino e un soldato coraggioso in una guerra che continua ancor’oggi, una guerra in cui speculatori venali e corrotti cercano di rubare, accumulare e affamare il pubblico dominio a vantaggio del oro guadagno personale.
Quando qualcuno cerca di limitare l’accesso alla legge, o di riscuotere pedaggi lungo la strada della conoscenza, o di negare l’istruzione ai meno abbienti, sono costoro che dovrebbero affrontare lo sguardo severo di un pubblico ministero indignato.
La situazione senza via d’uscita che il Dipartimento di Giustizia ha imposto Aaron per aver cercato di rendere migliore il mondo, potrebbe capitare a ciascuno di noi.
Il nostro esercito non è un lupo solitario, si tratta di migliaia di cittadini – molti presenti in questa sala – impegnati nella lotta per la giustizia e la conoscenza.
Credo che oggi noi siamo un esercito, e uso questo termine con cognizione di causa perché dobbiamo affrontare individui che vogliono arrestarci per aver scaricato un database allo scopo di studiarlo meglio, dobbiamo combattere contro persone che credono di poterci imporre cosa possiamo leggere o dire.
Ma quando vedo il nostro esercito, vedo un esercito che crea anziché distruggere. Vedo l’esercito del Mahatma Gandhi che cammina pacificamente verso il mare per estrarne il sale per il popolo. Vedo l’esercito di Martin Luther King che marcia pacificamente ma determinato verso Washington per rivendicare i propri diritti perché il cambiamento non è qualcosa di inevitabile, si concretizza soltanto tramite l’impegno continuo.
Quando osservo il nostro esercito, vedo un esercito che crea nuove opportunità per i poveri, un esercito che rende la nostra società più giusta e corretta, un esercito che rende universale la conoscenza.
Quando guardo il nostro esercito vedo le persone che hanno creato Wikipedia e l’Internet Archive, quanti hanno scritto il codice per GNU, Apache, BIND e Linux. Quando vedo il nostro esercito, vedo coloro che hanno fondato la EFF e Creative Commons. Vedo quanti hanno creato la nostra Internet come un dono per il mondo intero.
Quando vedo il nostro esercito, vedo Aaron Swartz e mi piange il cuore. Abbiamo veramente perso uno dei nostri angeli migliori.
Vorrei che fosse possibile cambiare il passato, ma non si può. Possiamo però costruire il futuro e dobbiamo impegnarci a farlo.
Dobbiamo farlo per Aaron, dobbiamo farlo per noi e per rendere migliore il mondo, perché diventi un posto più umano, un posto dove la giustizia funziona e l’accesso alla conoscenza è un diritto umano.
*Nel 2011 Swartz viene arrestato per aver scaricato dall’archivio di JSTORcirca 4,8 milioni di articoli accademici dalla rete protetta del MIT di Boston. Le autorità lo ritengono un ladro. Aaron rischia fino a trentacinque anni di carcere. L’11 gennaio 2013, in attesa di processo, si toglie la vita nell’appartamento di Crown Heights, Brooklyn, New York.
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