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mer 23 febbraio 2022

DENTRO LA TANA DEL BIANCONIGLIO. DIALOGO CON LEONARDO BIANCHI, AUTORE DI “COMPLOTTI!”

Dai Protocolli dei Savi di Sion alla pandemia, passando per QAnon e l’assalto al Congresso degli Stati Uniti. Dentro più dentro la tana del Bianconiglio... Abbiamo dialogato sul tema con Leonardo Bianchi, autore di “Complotti!”.

Dai Protocolli dei Savi di Sion alla pandemia di Covid-19, passando per QAnon e l’assalto al Congresso degli Stati Uniti. Di seguito il nostro dialogo con Leonardo Bianchi, autore di Complotti! (Minimum Fax 2021) e dell’omonima newsletter, nonché uno dei più acuti indagatori italiani sul tema. Leonardo presenterà il suo ultimo libro giovedì 24 febbraio al Brancaleone (Via Levanna 11, Roma).


Ciao Leonardo, quando ero piccolo i servizi segreti stranieri mettevano le bombe nelle piazze e nelle stazioni e infiltravano i cortei per fermare il movimento studentesco e operaio. Oltre a fare colpi di stato in mezzo mondo. Poi sono cresciuto in mezzo a una strana invasione d’eroina, ho visto crollare il Muro di Berlino per una frase detta male in una trasmissione televisiva e poi due grattacieli, abbattuti da un aereo di linea in volo da ore verso la città principale dello stato più potente del mondo. E mi fermo qui. Utilizzo una citazione di Rob Brotherton che metti nel tuo libro: «Se sembra un complotto, significa che era un complotto. Se non sembra un complotto, era sicuramente un complotto. Le prove contro la teoria del complotto diventano prove del complotto». E ti chiedo: ma quindi è tutto un complotto?

Che sia tutto un complotto è ciò che vuol far credere il complottismo. Le teorie cospirative ti convincono infatti che i complotti vadano sempre e comunque in porto (o siano in perenne corso di svolgimento), e che i cospiratori abbiano un potere pressoché illimitato di plasmare il mondo a loro piacimento.

In questo senso, il complottismo è anche un modo di mettere ordine in un mondo confuso e caotico, nonché di eliminare le contraddizioni: se succede qualcosa, allora lo si deve all’azione di un gruppo oscuro di potere che aveva già pensato a tutto. Non a caso, come ha scritto il professor Michael Barkun, le teorie del complotto sono contrassegnate da tre principi di base: nulla è come sembra; nulla accade per caso; tutto è connesso.

Eppure, come sottolinei tu, la storia è costellata di complotti. Quest’ultimi, tuttavia, spesso e volentieri falliscono – perché a un certo punto qualcosa va storto; o qualcuno parla; o c’è un conflitto interno tra i cospiratori; o semplicemente perché producono conseguenze del tutto inaspettate.

Nelle teorie del complotto, invece, non c’è spazio per gli errori. E queste le rende irrealizzabili, perché la realtà non è mai controllabile del tutto.

Per me, poi, è estremamente significativo il fatto che nessun complotto reale sia mai stato scoperto da una teoria del complotto. Prendiamo la questione della sorveglianza di massa da parte di governi o agenzie di intelligence: ogni complottista è convinto di essere seguito da “elicotteri neri”, o di essere segretamente spiato con microchip e ripetitori del 5G.

Nella migliore delle ipotesi, pertanto, i complottisti arrivano a sfiorare la verità. Ma nessuno di loro l’ha mai scoperta: l’ha fatto Edward Snowden, ad esempio, con l’aiuto di alcuni giornalisti. A differenza dei complottisti, inoltre, Snowden e altri whistleblower hanno pagato un enorme prezzo personale per averla rivelata.


Il tuo libro Complotti! non poteva uscire in un momento migliore. Da un paio d’anni a questa parte abbiamo visto social network, chat, mailing list, siti internet, cene in famiglia, bar, strade e piazze piene di gente che dice che la pandemia di Covid-19 è stata creata in laboratorio, è stata inventata da degli oscuri burattinai per motivi politici e/o economici, o addirittura per iniettarci strane sostanze tramite i vaccini. O ancora peggio, a mio avviso, da sinistra se ne critica la gestione come se vaccini e certificati sanitari fossero una scusa per controllarci e limitare le nostre libertà. Come se prima fossimo stati del tutto liberi, o non avessimo già regalato i nostri dati a qualsiasi piattaforma facendola oltretutto guadagnare. L’unica differenza, mi pare, è che oggi per tutelare la collettività ci affidiamo a strumenti dello Stato, e allora è un male, mentre quando ci controllano e sorvegliano piattaforme private, come fanno da trent’anni, allora va tutto bene. Come ti spieghi questa ondata complottista nella pandemia e questa reazione da sinistra?

I momenti di crisi sono sempre stati accompagnati da una grande fioritura di teorie del complotto. Secondo l’analisi dei politologi Joseph Uscinski e Joseph Parent in American Conspiracy Theories, infatti, i maggiori picchi si sono registrati tra la fine dell’Ottocento e all’inizio della Guerra Fredda – epoche di profondi sconvolgimenti sociali e politici.

La pandemia di Covid-19 è indubbiamente un momento di cesura, in cui milioni e milioni di persone sono alla ricerca di una spiegazione – una qualsiasi – e di un capro espiatorio per cercare di razionalizzare l’enormità di quello che è successo.

Oltre a questo, però, le teorie del complotto sulla pandemia servono anche a distogliere l’attenzione. Quella sul virus creato in laboratorio (su cui non c’è ancora una singola prova) si focalizza sugli scienziati cinesi cattivi, senza i quali non saremmo mai in questa situazione, e oscura temi ben più grandi – la deforestazione, gli allevamenti intensivi, lo sconvolgimento degli ecosistemi, eccetera – che creano sempre più occasioni di spillover.

Quella sul cosiddetto “Grande Reset”, invece, parte da un’iniziativa promozionale del World Economic Forum per sostenere che l’intera pandemia sia stata pianificata a tavolino da Bill Gates e dallo stesso Wef per instaurare una sorta di dittatura tecnocratico-sanitaria-finanziaria globale.

Secondo me questa teoria è particolarmente interessante, perché dimostra la trasversalità del complottismo. C’è infatti un “Grande Reset” di destra, che aggiorna ai tempi moderni le paranoie anticomuniste sul “Nuovo Ordine Mondiale”; e un “Grande Reset” di sinistra, che fa leva su un anticapitalismo di facciata e perverte le tesi di Naomi Klein sul “capitalismo dei disastri”.

È proprio Naomi Klein ad aver evidenziato i rischi dell’adozione di posizioni del genere a sinistra: non solo finisce in compagnie decisamente poco raccomandabili, ma si depotenziano le critiche legittime al Wef – e più in generale alle disastrose gestioni occidentali della pandemia – facendole confluire nel calderone dell’anti-vaccinismo e della minimizzazione della pericolosità del Covid-19.


Nel tuo libro precedente La Gente (Minimum Fax 2017), ti sei occupato dell’indignazione e della rabbia di chi improvvisamente si sentiva escluso da posizioni di comfort e privilegio che dava per scontate. In tutto il mondo occidentale una marea di persone ha preferito non assumersi la responsabilità dei tagli al welfare, all’istruzione, di avere fatto parte di un sistema che arricchiva i ricchi e impoveriva gli altri e si è scagliata contro presunte élite non meglio identificate. Come fanno oggi i complottisti. Lo stesso era successo nel dopoguerra, come ha scritto anche Giuliano Santoro in Un Grillo qualunque (Castelvecchi 2012) facendo il verso al Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. E come riporti tu in questo libro, tracciando un arco che va da Pierre Poujade – nella Francia degli anni ’50, uno degli inventori del populismo e del qualunquismo contemporaneo – e arriva a Daillet-Wiedemann, guru complottista contemporaneo. Ci aiuti a ripercorrere affinità e divergenze tra i vari populismi e i complottismi?

Il rapporto tra populismo – specialmente quello di destra radicale – e complottismo è molto stretto.

Direi che sono accomunati da almeno tre convinzioni. La prima è che il mondo si divida in campi perfettamente separati e contrapposti: “il popolo” contro “le élite”; “noi” contro “loro”. La seconda è la demonizzazione (anche letterale) dei propri avversari politici, che diventano così dei nemici da annientare. La terza è la nostalgia per una presunta “età dell’oro”, che le élite o loro ci impediscono di raggiungere nuovamente.

Il caso di QAnon è la rappresentazione più emblematica dell’intersezione tra populismo, complottismo ed estremismo. I seguaci del movimento complottista, infatti, sono convinti che Donald Trump e i “patrioti” stiano segretamente combattendo una “cricca” di pedofili satanisti, che poi sarebbero i democratici.

Solo il loro arresto e la loro deportazione a Guantanamo (cioè in campi di concentramento) porterà al “Grande Risveglio”, cioè a nuova età dell’oro. Che in realtà è il sogno di un colpo di stato – quello che alla fine è stato tentato il 6 gennaio del 2021, anche tramite l’incitamento dello stesso Trump e del suo entourage.

La vicenda che citi tu, quella del “guru complottista” francese Rémy Daillet-Wiedemann, è altrettanto estrema. Oltre ad auspicare un “golpe popolare” in Francia, l’uomo ha finanziato il rapimento di una bambina di otto anni, orchestrato dalla madre e da un gruppo di suoi seguaci.

Daillet-Wiedemann ha addirittura rivendicato quel rapimento, dicendo che si trattava della “restituzione di una bambina a sua mamma, dietro sua richiesta”. Secondo lui, infatti, i veri rapimenti li farebbero i servizi sociali e lo Stato – una convinzione presa di peso da QAnon.

Ma non c’è solo QAnon: Daillet-Wiedemann ha accumulato un discreto seguito perché è riuscito a mescolare il complottismo con il poujadismo, il proto-populismo francese degli anni ‘50 che avversava il “bolscevismo fiscale” e più in generale le regole pubbliche, percepite come insopportabili e asfissianti.

Le teorie del complotto sono contrassegnate da tre principi di base: nulla è come sembra; nulla accade per caso; tutto è connesso.


Un’altra tua grande “passione”, un tema di cui ti sei occupato molto spesso, è l’estrema destra. E di sicuro ci sono molteplici collegamenti tra questa e i complotti, come scrive anche Wu Ming 1 in La Q di Qomplotto (Alegre 2021). Già le teorie cospirazioniste su Templari e Rosacroce avevano un’impronta reazionaria, per non parlare del clamoroso falso dei Protocolli dei Savi di Sion. E oggi questo collegamento è ancora più evidente. Nel libro ti occupi diffusamente di questo filo nero, e lo declini sia nella chiave individuale dell’eroe solitario che trova poi un incredibile seguito popolare – e penso alla meravigliosa storia di Jürgen Conings – sia in chiave collettiva, come vero e proprio programma politico da parte delle varie declinazioni della Alt Right, o delle sue scimmiottature locali qui da noi con Forza Nuova. Ci racconti questo doppio binario su cui corre il collegamento tra estrema destra e complotti?

L’estrema destra ha sempre usato le teorie del complotto, prediligendo in particolare quella antisemita dei “Protocolli dei Savi di Sion”.

A ben vedere, ogni teoria cospirativa di estrema destra è una versione aggiornata dei Protocolli: il mito di Eurabia, il piano Kalergi e lo stesso QAnon rilanciano i soliti miti e le solite leggende d’odio, usando varie parole in codice per non dire ebrei.

Penso che il caso più clamoroso sia quello della “sostituzione etnica” o del “genocidio dei bianchi”. Secondo questa teoria, l’immigrazione non sarebbe il risultato di una serie complessa di fattori – demografici, sociali, politici, economici e climatici – ma un piano preordinato dai “poteri forti” (George Soros o la “finanza apolide”, cioè gli ebrei) per annacquare l’identità “occidentale” e sostituire le popolazioni “autoctone”, ossia quelle bianche e cristiane.

Anche qui, dunque, l’asticella è molto alta: in gioco c’è la sopravvivenza della “razza bianca”. Per questo motivo, nell’ultimo decennio la teoria è stata alla base di stragi e massacri compiuti dai neo-terroristi di estrema destra. L’attentatore di Christchurch ha addirittura intitolato “The Great Replacement” il suo manifesto.

Al tempo stesso, la teoria della “sostituzione etnica” è incredibilmente sdoganata e normalizzata. Da Donald Trump fino a Éric Zemmour, passando per Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sempre più leader di destra l’hanno rilanciata e fatta propria, senza che questo creasse sdegno o il minimo scalpore.

A livello retorico, insomma, non c’è più alcuna differenza tra un Anders Breivik e un candidato alla presidenza della Francia.


A questo punto è d’obbligo entrare in uno dei più grandi cortocircuiti della teoria cospirazionista, partendo di nuovo da un assunto da te citato di Brotherton per cui le teorie del complotto «rendono spiegabile l’inspiegabile» e «la complessità comprensibile », riuscendo a «lastricare una realtà caotica, sconcertante e ambigua con una spiegazione semplice: la colpa è loro». Se negli ultimi decenni i Protocolli dei Savi di Sion hanno trovato terreno fertile in alcune frange più reazionarie dell’Islam, e il pericolo sionista è stato agitato da teocrazie totalitarie per giustificare il malessere della loro stessa popolazione, negli ultimi anni è soprattutto da ambienti vicino a Israele che si sviluppa l’incredibile teoria dell’islamo-gauchisme, per cui sarebbero i seguaci di Maometto a voler controllare il mondo attraverso una cospirazione. Ne usciremo mai?

Contrariamente a quello che si crede, il complottismo non è fenomeno immutabile e scolpito nel tempo: anzi, ha attraversato diversi periodi storici e ha mutato forme più e più volte.

A tal proposito sono molto d’accordo con l’analisi fatta dal professore Michael Butter, che parla di tre grandi fasi. Nella prima, dall’Ottocento fino alla Seconda Guerra Mondiale, era assolutamente normale credere in una teoria del complotto, e queste coincidevano con la “scienza” dell’epoca.

Nella seconda, dopo gli orrori del conflitto e della Shoah, il complottismo è stato completamente rigettato e posto ai margini del dibattito pubblico (almeno nei paesi europei, e parzialmente negli Stati Uniti).

Dagli anni ‘90 in poi siamo invece entrati nella terza fase, in cui le teorie del complotto sono simultaneamente rigettate da una parte della popolazione, e accettate dall’altra. In più, sono anche rientrate dalla porta principale della politica, venendo ampiamente usate dal potere – gli esempi che hai fatto tu sono lì a dimostrarlo.

Credo che continueremo a rimanere in questa situazione a lungo, anche dopo la fine dell’emergenza pandemica.


Nell’ultima parte del libro, invece, spieghi molto bene come sia assai difficile fronteggiare una teoria del tutto come quella cospirazionista e come «un altro effetto collaterale del debunking – un effetto per certi versi paradossale – è quello di rendere ancora più credibile una teoria del complotto». Una cosa secondo me molto divertente è che molti debunker, molte persone che si ritengono illuminate hanno nei confronti del complotto un atteggiamento dispregiativo, e molto spesso anche classista, poi sono le prime a credere a teorie del complotto che fanno loro comodo. Penso a quelle pubblicazioni che si dicono “moderate” e “liberali”, prendono in giro i complottisti e poi parlano in continuazione di “cancel culture”, eleggendo a paradigma una sperduta Università del Connecticut che ha deciso di boicottare Shakespeare o un liceo del Wyoming in cui non proiettano più Via col vento. Notizie che spesso non sono neppure vere, e tradiscono una gigantesca necessità di bias di conferma uguale a quella dei cospirazionisti.

È un atteggiamento legato a doppio filo alla fase di “coabitazione” in cui si trova il complottismo contemporaneo.

Si può essere “anti-complottisti” sui vaccini, ad esempio, ma ricorrere a teorie del complotto sulla fantomatica “cancel culture” – o ancora peggio sulla crisi climatica – se queste sono utili a confermare i propri pregiudizi su certi temi politici e culturali. Dopotutto, ogni teoria fa leva sul bias di conferma, che ci porta a selezionare solo le informazioni che collimano con le nostre convinzioni personali – ignorando quelle che le smentiscono o le mettono in crisi.

Il punto, come dice Rob Brotherton, è che «non esiste un “noi contro loro”, esistiamo solo noi. Loro sono noi. Noi siamo loro. Presentando il complottismo come un bizzarro tic psicologico che affligge le menti di un manipolo di pazzi paranoici, ci assolviamo con aria di sufficienza dai pensieri sconclusionati» che noi stessi facciamo.

Per questo, usare il debunking come unica soluzione al complottismo serve a ben poco, e in alcuni casi è controproducente. Così come è inutile “blastare” il complottista, o ricoprirlo di scherno e disprezzo. È una facile scorciatoia che al massimo ti fa fare qualche like sui social, ma non risolve nulla.

Alla fine, le teorie del complotto sono inseparabili dalla politica; vanno a intercettare bisogni profondi; rivelano le nostre paure e i nostri desideri; e in certi momenti, esprimono le inquietudini della società. Vanno dunque contrastate – specialmente quelle razziste e quelle che prendono di mira le minoranze – ma bisogna intervenire anche e soprattutto sulle cause che le generano in primo luogo.


Grazie mille per le risposte e per il tempo che ci ha dedicato. Ora, però, l’ultima domanda è doverosa: tutta questa intervista è un complotto?

No comment. Per maggiori informazioni rivolgersi a: intervista_diavoli_su_complotti@billgates.com.



Leonardo Bianchi, giornalista e blogger, è news editor di VICE Italia. Ha collaborato, tra gli altri, con Valigia Blu e Internazionale. È autore di Complotti!, che sarà presentato giovedì 24 febbraio al Brancaleone (Via Levanna 11, Roma).

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