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MONITOR


lun 9 novembre 2020

ANT GROUP E CINA ALLA RESA DEI CONTI

Lo scorso 3 novembre la Borsa di Shanghai ha sospeso l’offerta di Ant Group, la più importante società ombrello di finanza tecnologica della Cina, costola di Alibaba e controllata dal fondatore del colosso tech Jack Ma. È una resa dei conti storica, destinata a segnare il futuro prossimo della seconda economia mondiale.

All’ombra dei grandi stravolgimenti internazionali di questo fine 2020, pochi giorni fa, in Cina è andata in scena una resa dei conti storica, destinata a segnare il futuro prossimo della seconda economia mondiale.

Il fatto: martedì 3 novembre lo Shanghai Stock Exchange ha sospeso l’offerta pubblica iniziale (Ipo) di Ant Group, costola di Alibaba controllata dal fondatore del colosso tech cinese Jack Ma. Secondo i piani, Ant Group sarebbe dovuta sbarcare sulla borsa di Shanghai e di Hong Kong il 5 novembre con un collocamento azionario da record, intorno ai 37 miliardi di dollari. Mentre la sua valutazione complessiva avrebbe superato quota 310 miliardi di dollari, più di qualsiasi altro istituto bancario al mondo.
Ant Group è la più importante società ombrello di finanza tecnologica (fintech) della Cina. Offre ai consumatori cinesi prestiti immediati e accessibili senza l’obbligo di presentare garanzie.

Se ti servono soldi, a differenza delle banche tradizionali cinesi, Ant Group – tramite le carte di credito virtuali Huabei e Jiebei – non ti chiede documenti, buste paga, dichiarazioni dei redditi; valuta il tuo «social credit» attraverso l’elaborazione dei metadata che hai generato utilizzando la super-app di Alibaba – Alipay, con cui in Cina si paga tutto, dal banco al mercato al ristorante alle bollette – e se risulti essere un cliente affidabile, ti anticipa la spesa. Poi la restituisci in comode rate, con calma.

Il lusso di poter accedere a un sistema di credito così immediato e snello, a portata di smartphone, ha stregato milioni di cinesi. Secondo Bloomberg, solo tra giugno 2019 e giugno 2020 Ant Group ha erogato microprestiti a più di 500 milioni di clienti, per un valore complessivo di 1,7 trilioni di yuan – intorno a 257 miliardi di dollari. Di capitale proprio per coprire prestiti da 1,7 trilioni di yuan, Ant Group ce ne ha messo solo il 2 per cento: il resto lo ha coperto con fondi arrivati a prestito da società terze o lo ha venduto come rischio nei mercati del debito.

Ant Group può permettersi di farlo all’interno della Repubblica popolare cinese grazie al buco normativo di cui gode il settore fintech, finora esentato dalle regolamentazioni molto più stringenti cui sono soggette invece le banche tradizionali (di stato). La differenza di trattamento ha favorito la crescita irresistibile delle fintech cinesi e consolidato il fenomeno nazionale dello «shadow banking»: banche non tradizionali che fanno concorrenza interna alle «vecchie banche», spostando il flusso di denaro cinese fuori dal tragitto relativamente più tutelato e controllato del settore bancario tradizionale.

Per Pechino, non da oggi, esercitare un controllo più stringente sul settore dello shadow banking è un obiettivo imprescindibile per garantire la stabilità del sistema finanziario nazionale. Per il presidente Xi Jinping, continuare a permettere queste esuberanze di finanza creativa e l’apertura in massa di linee di credito affidandosi alle sole valutazioni algoritmiche – di Alibaba e simili – significherebbe esporre l’intero sistema economico nazionale a rischi enormi. Rischi di crac paragonabili per intensità e natura a quello dei mutui del 2008, da cui la Cina si salvò anche grazie ai freni imposti dalla politica ai mercati.

Dall’altra parte della barricata c’è Jack Ma, l’imprenditore 56enne visionario, l’uomo che più di tutti ha influenzato la crescita del terziario cinese nel nuovo millennio.

Nel mese di ottobre, durante un meeting di alto livello a Shanghai, alla presenza dei vertici della Banca centrale cinese e dell’autorità che vigila sulla Borsa cinese, Ma aveva attaccato frontalmente l’establishment politico: le banche della Cina, secondo il fondatore di Alibaba, operavano con una mentalità da «banco dei pegni» e l’intero sistema, a partire dall’authority, doveva essere riformato. Le fintech, secondo Ma, dovevano continuare a potersi muovere libere dalle briglie delle vecchie regolamentazioni, emanazione diretta del potere politico di Pechino. Insomma: meno politica, più mercato, per incoraggiare la crescita e non perdere il treno per il futuro.

Esporre una tesi simile senza avere cura di indorare la pillola ai rappresentanti diretti del potere politico cinese – cioè del Potere – è stato un errore che Ma ha pagato molto caro. Il suo affronto risale la piramide dell’amministrazione cinese, raggiunge le stanze dei bottoni, fino a innescare la rappresaglia politica.
Nel giro di poche settimane, l’authority cinese mette sotto indagine le operazioni di Ant Group, basandosi su rapporti interni che accusano la creatura di Ma di «incoraggiare l’indebitamento di poveri e giovani».

Parallelamente, l’authority bancaria inizia a muoversi dal lato burocratico. Emerge una bozza di legge che imporrebbe alle fintech l’obbligo di coprire con capitale proprio il 30% di ogni prestito erogato. Al momento, come già detto, Ant Group ci mette il 2%.

E si arriva al 3 novembre, quando lo Shanghai Stock Exchange sospende l’operazione Ant Group citando «cambiamenti significativi» nel contesto normativo. A stretto giro, la China’s Securities Regulator Commission fa sapere che le nuove norme potrebbero avere «un forte impatto» sul modello di business di Ant Group e che quindi sospendere il collocamento delle azioni su Shanghai e Hong Kong è stata una «mossa di responsabilità nei confronti dei mercati e degli investitori». Ant Group, scusandosi con gli investitori cui non aveva detto delle nuove norme in arrivo, dice che si adeguerà alle nuove regole.

Questa storia ci dice alcune cose sulla Cina di oggi e di domani.
Che l’amministrazione Xi Jinping non ha alcuna intenzione di condividere coi mercati il timone del Paese.
Che la politica mantiene il primato indiscusso e l’ultima parola su ogni riforma del settore finanziario e non permetterà di essere ricattata da nessun imprenditore, nemmeno se si chiama Jack Ma.
Che con Xi Jinping al potere, l’apertura del mercato finanziario e l’allentamento della stretta della politica sui mercati azionari cinesi non rientrano negli obiettivi strategici del “a corto o medio termine”.
E che se salvaguardare la stabilità finanziaria della Cina significa sacrificare la crescita e perdere il treno per il futuro, “crescita” e “futuro” possono aspettare.
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