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ven 4 ottobre 2019

“Airbnb non viene dal basso, e di certo non redistribuisce”. Intervista a Sarah Gainsforth

La gentrification agisce proprio come il pioniere che alla frontiera americana sosteneva di “liberare” le terre selvagge, mentre se ne impadroniva. Airbnb è un tassello fondamentale di questo processo e l’Italia è oggi il suo terzo mercato al mondo. Eppure persistono un’arretratezza di comprensione del fenomeno e un’arretratezza del dibattito. Ne abbiamo discusso con Sarah Gainsforth, autrice di “Airbnb città merce”.

«L’innovazione è un processo collettivo» scrive Sarah Gainsforth, ricordando come quello della creatività individuale ricamato da Airbnb sia un mito, basato sulla sottovalutazione dei lavoratori che hanno fatto progredire l’industria tecnologica.

Non si tratta di un gruppo di ragazzi con il genio imprenditoriale, non si tratta di condivisione orizzontale (la Shared City) e il movimento non viene dal basso. La retorica comunitaria è un belletto, sotto il quale si nascondono finanziamenti strabilianti, pressioni lobbistiche, scomposizione societaria in Stati a fiscalità agevolata (il Delaware, l’Irlanda), emergenza abitativa, estrazione di valore da forme cooperative e dalla proprietà privata degli utenti. Basta incrociare dati e osservare gli ultimi anni, per sgonfiare il materassino ad aria su cui poggia il principio della favola di Airbnb.

Qualcuno, però, a quella favola non ci crede. Per esempio gli uomini e le donne che nel 2016, a San Francisco, hanno subito gli sgomberi dei loro insediamenti informali a causa di una nuova norma finanziata, tra gli altri, dagli investitori di Airbnb. O per esempio gli abitanti delle città svendute al turismo, con i centri storici trasformati in parchi a tema.

La conservazione di una comunità è paragonabile alla protezione di un ecosistema, contro gli interessi che mirano a prendere quel territorio e raccontano di essere l’unica forza in grado di “salvarlo” dal degrado. La gentrification dà l’assalto ad aree urbane un tempo marginali esattamente come il pioniere alla frontiera americana sosteneva di liberare le terre selvagge mentre se ne impadroniva.

“Non sono un’esperta” ci dice Sarah Gainsforth, “solo una persona interessata a rompere il silenzio in Italia, denunciare l’assenza di dibattito pubblico, intorno alla trasformazione della Città”. Il suo Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale, appena uscito per i tipi di DeriveApprodi e di cui abbiamo pubblicato un estratto, è un libro che solleva il rivestimento dei fili economici, politici, culturali, che attraversando l’occidente uniscono le città di questo tempo.

Dal Portogallo al Canada, dall’Italia agli Stati Uniti. Un saggio chiaro e rigoroso che smonta retoriche e mette in luce lo sfruttamento dei territori e l’arrembaggio al concetto di comunità che sono in corso.

“La Città corre un rischio enorme, decidendo di legare il proprio tessuto economico al turismo” dice Gainsforth. “Se è una bolla, e se quindi è destinata a esplodere, la Città sarà economicamente morta”.

Il turismo emerge dal libro come primo strumento di gentrification e marketing della Città. E Airbnb ha un ruolo centrale. “Oggi molte persone vanno a farsi un weekend a Lisbona come se andassero a cena fuori”. In realtà il low-cost ha un prezzo alto e invisibile: “Airbnb, le compagnie aeree ma anche Flixbus, sono parte di un nuovo modello produttivo, insieme al delivery, a Uber, e mettendo insieme tutte queste cose viene fuori una distopia. Lo spazio urbano ne esce completamente stravolto”.

Gainsforth rovescia i termini di domanda e offerta: “Non è che in passato ci fossero flussi turistici che le attività ricettive non riuscivano ad accogliere. Airbnb ha aumentato quei flussi e molte strutture tradizionali, di fascia medio-bassa, hanno dovuto chiudere”.

L’invasione alberghiera aveva già coinvolto la Città, certo. “Ma nella turistificazione, Airbnb ha fatto compiere un salto di scala. Le strutture tradizionali non impattavano in questo modo sul territorio, e soprattutto sulla casa”.

“Airbnb permette l’ingresso di non-professionisti sul mercato. È un’attività economica e ha poco a che fare con la condivisione: il tema della fiducia è una grande mistificazione. Quando si iniziò a parlare di sharing economy, c’era un entusiasmo che di questo non si rendeva conto. Il «New York Times» titolava: Le piattaforme creano fiducia”.
Nella prima fase di Airbnb, i pagamenti venivano gestiti direttamente tra utenti. “La mentalità americana odia gli imprevisti e ha bisogno che tutto sia organizzato, codificato. Il pagamento diretto, prevedendo un’interazione umana, con tutte le variabili che comporta, viene percepito come awkward, scomodo”.

È tanto lineare quanto significativo, perciò, che Airbnb decida di mettere una distanza e si affidi al sistema di pagamento di Amazon, che è poi, come si legge nel libro, «il vero business di Amazon, con 861 milioni di dollari di ricavi l’anno […] e detiene un terzo del mercato globale dell’infrastruttura cloud». Distanza, neutralizzazione delle interazioni tra le persone. Non fiducia né tantomeno amicizia.

“La prima spinta degli host è la capacità di guadagno che possono ottenere affittando su Airbnb” dice Gainsforth. “In Italia, il successo nasce di sicuro da una congiuntura di crisi e impoverimento, ma a questo si aggiungono particolari fattori giuridici e culturali. Da una parte la tradizione della proprietà della casa, vista come un salvagente e pronta a tramutarsi nell’ultima risorsa da mettere a reddito.

Dall’altra, il funzionamento degli sfratti, per cui si dice: se hai un inquilino moroso, serviranno due anni per mandarlo via, e allora molti proprietari preferiscono affittare su Airbnb. Poi ci sono i mancati controlli e l’approvazione statale del fenomeno, quando non l’incentivazione. In tutto ciò, l’attrattiva turistica dell’Italia non è un punto così centrale: Airbnb, più che intercettare una domanda, ha prodotto un’offerta”.

È palese e documentata la relazione diretta tra l’aumento dei canoni d’affitto e l’aumento degli annunci di Airbnb. È meno intuitivo ma altrettanto verificabile che le locazioni temporanee – molto più che dare una mano alla classe media che vuole arrotondare – arricchiscono le grandi proprietà, che usano la casa come asset e praticano il multihosting.

E di certo non è una risorsa per il territorio, come si sbandiera spesso a proposito del turismo. “Non c’è nessuna redistribuzione: ad arricchirsi sono solo i gestori di immobili, i tour operator e i negozi e ristoranti turistici che hanno sostituito le attività commerciali di tutti i giorni per gli abitanti”.

Nel frattempo, San Francisco è diventata la città con gli affitti più alti degli Stati Uniti (un canone medio di 3.690 dollari al mese per un bilocale).
La compagnia ha chiaro da tempo dove rischia di incontrare ostacoli, e si è posta come attore politico per rimuoverli.

Si legge nel libro: «Sin dal 2013 Airbnb aveva iniziato ad applicare una varietà di strategie mirate a combattere e ribaltare le norme restrittive che le città stavano studiando per regolare la sua attività: fare causa alle città e costringerle a lunghe battaglie legali; spendere milioni di dollari in attività di lobbyng a vari livelli istituzionali; infine, la tattica forse più pervasiva, investire in campagne di marketing che facessero apparire Airbnb come un movimento costruito dal basso, attraverso un potente refraining dei temi politici in ballo, puntando sulla retorica della condivisione per manipolare utenti e amministrazioni con l’obiettivo di definire le politiche urbane».

L’Italia è il terzo mercato al mondo per numeri di annunci di Airbnb. Eppure persistono un’arretratezza della comprensione del fenomeno e un’arretratezza del dibattito, che vanno insieme a un’arretratezza dell’impianto legislativo.

“La norma sugli affitti brevi negli appartamenti privati è decisamente orientata alla tutela della proprietà privata, e in breve ti permette di fare un po’ quello che vuoi” dice Gainsforth. “Andrebbe dato un indirizzo a livello nazionale, per esempio con l’introduzione di un criterio che distingua uso occasionale e uso imprenditoriale, in base al numero dei giorni e degli alloggi”.

Nel Nord America c’è comprensione e c’è dibattito, e spesso ci sono le leggi che vietano gli affitti brevi, ma queste sono state spesso disattese. L’impressione è che la deferenza nei confronti dell’innovazione abbia fatto da scudo, cioè che l’innovazione abbia giustificato la deregulation.

Qualcosa sembra essere cambiato grazie a un paio di recenti sentenze, importanti in questo senso, che hanno visto Airbnb sconfitta a Santa Monica e costretta al patteggiamento a San Francisco. “In America” dice Gainsforth, “Airbnb sta subendo colpi pesanti, dopo anni in cui sembrava inarrestabile”.

Parafrasando gli studi di Manuel B. Aalbers (Introduction to the forum: from third to fifth-wave gentrification, 2019) a proposito della quinta fase della gentrification, nel suo libro Gainsforth dà l’allarme: «Ciò a cui stiamo assistendo è la materializzazione urbana del capitalismo finanziarizzato.

La finanza ridisegna le città non più soltanto facilitando l’acquisto delle case attraverso i mutui ipotecari, ma attraverso l’ascesa delle grandi corporazioni immobiliari, sostenuti dai mercati di capitale internazionale, e del capitalismo delle piattaforme come Airbnb».

Sono le città a essere sotto attacco. E sono le città che si stanno difendendo, con determinazione e qualche risultato, da una parte e dall’altra dell’Atlantico.

Oltre ai casi statunitensi, in Canada la coalizione di Fairbnb (che riunisce proprietari di case, inquilini, imprese turistiche e sindacati) è riuscita a far approvare una norma che vieta l’attività di Airbnb a Toronto.

In Europa, ci sono state la sospensione del rilascio delle licenze per gli appartamenti turistici a Berlino e nel centro di Barcellona, la norma promossa dal vicesindaco di Parigi per registrare obbligatoriamente gli alloggi in affitto, la limitazione a 30 giorni d’affitto in un anno e il registro pubblico istituito ad Amsterdam. “Ma l’Europa deve aggiornarsi: siamo ancora indietro, legati a norme pre-internet”.

Se la deriva è evidente, trovare argini efficaci non è semplice. Di sicuro bisogna acquisire consapevolezza e la regolamentazione deve andare al di là del livello comunale. Ma secondo Gainsforth, ancora prima, deve crescere (o addirittura nascere, dove manca) il dibattito intorno ai temi sollevati dal caso Airbnb: “Bisogna tornare a parlare di politiche della casa e del lavoro.

Ed è necessario ragionare sul patrimonio culturale in rapporto agli abitanti, non più solo in funzione commerciale”.
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