Decodificare il presente, raccontare il futuro

RECENSIONE


ven 2 settembre 2016

OLTRE LA BIOPOLITICA

Byung-Chul Han, “Psicopolitica”, Nottetempo «Il cittadino è diventato un consumatore e spettatore passivo e la democrazia si è trasformata in una democrazia di spettatori»

Tra i più acuti interpreti della società capitalistica contemporanea e degli assetti globali, Byung-Chul Han ha elaborato un orientamento di ricerca, tanto originale quanto eclettico, in cui si intrecciano categorie estetiche, riferimenti letterari, fenomenologia e teoria dei media. Scrittore, filosofo, intellettuale poliedrico, autore di opere come La società della trasparenza (nottetempo 2014) e Nello sciame. Visioni del digitale(nottetempo 2015), Byung-Chul Han ha esplorato le nuove forme del dominio oltre la società del controllo, al di là della biopolitica, al tempo dei social network e dei big data, e analizzato le patologie che derivano dall’odierna organizzazione della vita al fine di comporne una tassonomia dei sintomi. Negli spazi bianchi di diversi contenuti apparsi su iDiavoli è possibile rinvenire rimandi alle ricerche di Byung-Chul Han, come se le sue intuizioni costituissero una filigrana concettuale nascosta dietro al procedere dei racconti e delle narrazioni. Ci sembra giusto esplicitare il debito teorico pubblicando una recensione di Psicopolitica, ultimo lavoro dell’intellettuale di origine coreane, uscito di recente nel catalogo della casa editrice nottetempo.
Isaac Asimov nel ciclo di romanzi sulla Fondazione, aveva immaginato in un futuro a venire la nascita della scienza delle scienze che avrebbe permesso agli uomini di predire il futuro: la psicostoria. Sembra quasi, dal libro del filosofo tedesco di origine coreana Byung-Chul Han, che la realtà abbia imitato la finzione romanzesca. È un libro molto denso e molto profondo che segna e segnerà un punto di svolta nella riflessione filosofica sulla società. La psicopolitica neoliberale, così come è analizzata nel libro, appare come un totalitarismo realizzato che non lascia scampo. Il dominio è esercitato non più su soggetti sottomessi, ma su progetti liberi che delineano e reinvestano se stessi in modo sempre nuovo. È la stessa libertà a generare costrizione, più ancora e in maniera più efficace del dovere disciplinare che esprime obblighi e divieti.

Il soggetto neoliberale che si potrebbe descrivere sinteticamente come un consumatore imprenditore di se stesso, se da un lato si crede libero, in realtà proprio perché libero è un servo assoluto che sfrutta se stesso senza avere un padrone. Ciò che dovrebbe definire la libertà, cioè l’essere in relazione ad altri in modo libero da costrizioni (in Indo-germanico Freiheit, libertà, ha la stessa radice di Freund, amico) e il realizzarsi insieme degli individui, nel neoliberalismo si trasforma in sfruttamento della libertà. Sono sfruttate con il massimo rendimento le pratiche e le forme espressive della libertà individuale: l’emozione, il gioco, la comunicazione, che diventano nient’altro che forze produttive di merci immateriali.

Il capitalismo storico ha resistito alla contraddizione fra forze produttive e rapporti di produzione, le prime non hanno rovesciato i secondi e il capitalismo non è stato abolito dal comunismo ma si è trasformato in neoliberalismo e in capitalismo finanziario, dando luogo a un nuovo sistema-mondo talmente onnipervasivo da rendere antiquate tutta la teoria critica della società, così come l’abbiamo conosciuta.

C’è un’ingente pars destruens nel libro di Byung-Chul Han, volta a indicare prima di tutto ciò che il neoliberismo non è. In primo luogo, come abbiamo visto, è il marxismo, anche nella sua versione operaista a essere inadeguato sia dal punto di vista dell’analisi che del progetto politico: la moltitudine cooperante, erede del proletariato industriale, non rovescerà l’impero perché la produzione non è determinata da questa, ma dalla solitudine dell’imprenditore isolato in sé, che lotta con se stesso e si sfrutta volontariamente. In senso stretto, il sistema neoliberale non sarebbe un sistema di classe, e l’isolamento del soggetto rende impossibile un noi politico capace di un agire comune.

L’elettore come consumatore non avrebbe un reale interesse per la politica, non è disposto e non è capace di un comune agire politico e reagisce solo passivamente alla politica, lamentandosi esattamente come un consumatore di fronte a prodotti che non gli piacciono, perché anche la politica è sottomessa alla logica del consumo e i politici sono diventati fornitori. Il cittadino è diventato allora un consumatore e spettatore passivo e la democrazia si è trasformata in una democrazia di spettatori. La psicopolitica ha preso il posto della politica, e la produzione immateriale di merci non materiali, cioè informazione e dati, ha preso il posto del capitalismo industriale che produceva oggetti in serie. La merce immateriale per Byung-Chul Han si produce con il volontario e libero farsi sussumere nei big data anche solo con un semplice “like”, ed è una merce che è già di per sé una forma di controllo: i big data sono uno strumento psicopolitico che permette di avere accesso alla psiche e di influenzarla su un piano preriflessivo.
Il cittadino è diventato allora un consumatore e spettatore passivo e la democrazia si è trasformata in una democrazia di spettatori.
I big data permettono di elaborare previsioni sul comportamento umano: non sul senso di ciò che gli uomini fanno ma su cosa fanno, esattamente come un naturalista può osservare cosa succede in un formicaio senza sapere perché una certa formica si comporta in un certo modo. I big data, secondo i loro più entusiasti apologeti, rendono inutile la teoria. Avere l’accesso a tutti i dati non è la semplice duplicazione del mondo, ma è il mondo stesso diventato totalmente trasparente. Non ci sarebbe più bisogno di modelli interpretativi per comprendere il mondo perché il mondo si mostrerebbe da sé, dando la possibilità di individuare modelli collettivi di comportamento dei quali non saremmo coscienti come singoli e diventerebbe quindi accessibile allo sfruttamento un «inconscio collettivo digitale».

I big data non sono il “sapere assoluto” hegelianamente inteso, per il datismo non è importante che ciò che è reale sia razionale, è il trionfo della semplice datità e a detta di Byung-Chul Han il dataismo è un dadaismo digitale, perché ogni cosa, dato, è uguale a qualsiasi altra e non c’è una scala valoriale con cui equipararli («tutto è uguale…per questo la semplicità di chiama dadà» come recita il manifesto Dada). I big data non mettono in correlazione gli elementi alla luce del concetto, la correlazione di un numero infinito di dati non spiega il perché qualcosa avvenga, il suo senso ma mostra che è “semplicemente così”.
I big data non mettono in correlazione gli elementi alla luce del concetto, la correlazione di un numero infinito di dati non spiega il perché qualcosa avvenga, il suo senso ma mostra che è “semplicemente così”.
Così, in un colpo solo, il neoliberalismo rende inadeguata la filosofia: un’infinita addizione di dati è un assoluto non-sapere che non ha neanche l’ambizione di essere un sapere. La teoria critica, il cui ultimo importante rappresentante, Michel Foucault, con il suo concetto di biopolitica non sarebbe stato in grado di capire che rispetto al neoliberalismo lo studio della policy esercitata dal potere sulla popolazione e la microfisica del potere, cioè i processi di soggettivazione e assoggettamento da cui sarebbe nato il soggetto occidentale, sono strumenti inadeguati.

La psicopolitica è più pervasiva della biopolitica perché il suo dominio è sulla psiche non sul corpo e i big data segnano il passaggio dalla microfisica del potere a una macrofisica del potere. Non sembra esserci nessun principio speranza nel mondo totalmente amministrato e trasparente descritto da Byung-Chul Han, tranne un accenno nei capitoli finali del libro alla necessità di andare oltre il soggetto inteso come essere-sottomesso, diventando “idioti”, cioè idiosincratici, sottraendosi con il silenzio alla comunicazione globale. Si tratterebbe di diventare eretici perché non-connessi e non-informati. Non ci sarebbe quindi una possibilità politica di opposizione ma solo un vago rifiuto.

A questo punto ci sarebbe da chiedersi qual è la funzione degli intellettuali nel mondo descritto da Byung-Chul Han. Ogni teoria critica, e quella di Byung-Chul Han lo è, ha una provenienza e un punto di vista, rappresenta un taglio della realtà, una prospettiva, e sfugge quale sia quella di Byung-Chul Han. Il rischio di queste critiche radicali (viene in mente la “critica critica” con cui Marx sbeffeggiava Bruno Bauer ne “La sacra famiglia”) e di queste macro-sintesi epocali, è di fare una apologia indiretta di quanto viene criticato: anche leggere questo articolo e magari condividerlo e commentarlo, non farebbe altro che aggiungere dati nel mare magnum dei big data e perpetuare il vostro stesso asservimento.

Chiediamoci infine se i movimenti di opposizione che periodicamente si affacciano sulla scena del mondo e che spesso utilizzano la rete, non siano un controesempio all’attuale forma di totalitarismo così ben descritta dal nostro autore. Chiediamoci anche se l’utopia dei big data di mappare il mondo renda possibile il loro utilizzo e se la possibilità di prevedere il futuro non debba fare i conti periodicamente con il famoso cigno nero che invalida la fiducia nelle inferenze della statistica.

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