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RECENSIONE


mar 3 ottobre 2017

BERNIE MADOFF, UN EROE BORGHESE

"The Wizard of Lies" è una cupa opera drammatica per la televisione, che racconta i mesi precedenti e successivi all’arresto del broker Bernard Lawrence Madoff, l'uomo che ha portato all’estremo le parole d’ordine che regolano la nostra società: agonismo, avidità, competizione, diritto alla felicità e quindi alla ricchezza. Con ogni mezzo necessario.

“Molti pensano che abbia derubato orfani e vedove, in realtà ho reso i ricchi ancor più ricchi”. Bernie Madoff
Prodotto esclusivamente per il mercato televisivo da HBO, il film The Wizard of Lies (2017) è una cupa e claustrofobica opera drammatica girata in interni, che come una pièce teatrale racconta i mesi precedenti e successivi l’arresto del broker Bernard Lawrence Madoff.

Ottimo esempio di non-fiction, basato sull’omonimo libro della giornalista del New York Times Diana B. Henriques – che appare brevemente nel ruolo di se stessa quando in carcere incontra il detenuto numero 61727054 –, alterna i tratti tipici del biopic, riportando date e dati della vicenda storica, e la tragedia shakespeariana, lì dove il potere muove gli affetti e seleziona i comportamenti umani.
Dagli angusti corridoi della prigione di Butner, North Carolina, agli uffici della finanza di Manhattan – dove i vetri appannati rendono impossibile vedere quello skyline che fa da sfondo ai tipici film su Wall Street – dalle stanze buie delle case e degli alberghi in cui si muovono i personaggi del film, agli antri oscuri della mente di Bernie Madoff. In nessun luogo del film ci sono vie di fuga. I colori virati al grigio e al blu contribuiscono a rendere ancora più claustrofobica la dimensione della narrazione.
A un certo punto, pochi giorni dopo l’arresto del padre, il primogenito Mark Madoff si accorge che nel suo lussuoso loft mancano le tende. E si preoccupa. I paparazzi, assiepati sul marciapiede, fotografano attraverso le grandi vetrate quello che accade all’interno. Nella scena successiva pesanti tendaggi rendono l’appartamento inespugnabile, per chi lo abita, impossibilitato a uscire. Ora che anche una delle poche luci esterne è oscurata, la prigione della mente si chiude definitivamente intorno ai protagonisti.

Una rappresentazione claustrofobica

Negli anni Dieci anche Hollywood, coscienza non necessariamente critica di Occidente, comincia a fare i conti con la crisi economica del 2007. Alcune delle pellicole più interessanti sono l’allegorico The Wolf of Wall Street (2013), il secco Margin Call (2011) e il surreale The Big Short (2015).

Contestualmente, si moltiplicano anche i ritratti di uno dei protagonisti più celebri del peggior crack del capitalismo finanziario: Bernie Madoff.

Se Woody Allen in Blue Jasmine (2013) aveva tenuto la vicenda economica sullo sfondo, per focalizzarsi sulla conseguenze dell’amore al tempo delle frodi, dal 2010 cominciano a uscire diversi documentari incentrati sulla figura di questo misterioso ebreo newyorchese. Poi, nel 2016, una miniserie interpretata da Richard Dreyfuss.

Infine, nel 2017, il film tv The Wizard of Lies, diretto da Barry Levinson – regista di Good Morning, Vietnam (1987), Rain Man, L’uomo della pioggia (1988), Sleepers (1996), Sesso & Potere (1997), Disastro a Hollywood (2008).
La mise-en-scene claustrofobica è un aspetto fondamentale di una narrazione che utilizza le prigioni della mente della famiglia Madoff come metonimia dell’immenso penitenziario psicotico che è il capitalismo finanziario.
Questo è possibile anche grazie alla sublime interpretazione dei suoi attori principali – Robert De Niro (Bernard Madoff) e Michelle Pfeiffer (Ruth Madoff), ma anche Hank Azaria (Frank Dipascali, il tuttofare) – magistralmente diretti da Barry Levinson nel rendere io loro personaggi allegorie di un intero sistema.

Chi è davvero Bernie Madoff?

Al netto delle immani tragedie provocate da Madoff, migliaia di piccoli risparmiatori truffati e ridotti sul lastrico, il figlio che si suicida nel secondo anniversario dell’arresto del padre, su cui il regista non fa sconti. Il dubbio permea tutti il film.
Bernie Madoff è un criminale di livello infimo quanto a un serial killer – vedi la citazione dell’articolo del New York Times dove il broker è paragonato a Ted Bundy? O è semplicemente uno dei mille lupi famelici di Wall Street, usato come capro espiatorio per coprire la crisi strutturale del capitalismo finanziario? Bernie Madoff è un padre che fino all’ultimo ha vissuto una doppia vita per proteggere la famiglia e continuare a farla vivere nel lusso sfrenato che aveva loro regalato – come il Jean-Claude Romand raccontato da Emmanuel Carrère ne L’Avversario – salvo poi distruggerla? O un feroce psicopatico che ha usato e abusato dei figli nel suo immane delirio di onnipotenza?
Ruth Madoff è incarnazione di un popolo americano ignaro e inconsapevole, che dà per scontati e dovuti per diritto divino gli agi e le ricchezze di cui dispone e che aumentano esponenzialmente, e si limitano a spostare i dollari da un conto all’altro perché così fan tutti e così si deve fare? O è consapevole complice di una sistema marcio e corrotto, di cui sceglie di non approfondirne la struttura per non esserne complice e poterne uscire pulita e profumata il giorno dell’inevitabile crollo?

E questo il grande merito del film. Giocare costantemente con l’esitazione. L’incertezza. Sia a livello storico e politico, sia a livello della tragedia umana e personale. Il regista si limita a girare le carte in tavola e sceglie di non scegliere, e non obbliga pertanto lo spettatore a seguirlo.

La storia

Bernard Madoff – nome proprio diventato in breve tempo eponimo di truffatore finanziario – viene arrestato nel dicembre del 2008. In piena crisi di Wall Street. Mentre le telecamere delle televisioni indugiano da settimane su impiegati che con le scatole di cartone abbandonano grattacieli dove si maneggiavano miliardi e ora valgono meno di zero.
Madoff si dichiara subito colpevole. Colpevole di aver messo in piedi una truffa semplicissima, basata sullo Schema Ponzi, una catena di San Antonio in cui si pagano i presunti dividendi dei primi investitori con i soldi della seconda tornata di investitori, questi con la terza e così via, per quindici lunghi anni, senza che in realtà i soldi siano mai stati investiti. Colpevole di aver messo in piedi una truffa enorme. Oltre 60 miliardi di dollari. In cui sono coinvolte alcune tra le più importanti banche d’investimento americane e svizzere. E non tutte nel ruolo di vittime. Anzi, molte di loro al processo preferiranno patteggiare salati risarcimenti per non essere coinvolte.
In un flashback si vede Madoff a colloquio con il tuttofare Dipascali all’indomani del black monday di Wall Street del 1987. Avendo, come tutti, perso la maggior parte dei propri soldi, il finanziere ha l’idea che sarà alla base della sua gigantesca truffa, modificare a ritroso i libri contabili e le consulenze. Ovvero, “pescare i cavalli vincenti della corsa di ieri”.

Lo Schema Ponzi è messo in moto. Nasce il 17mo piano, una serie di stanze mal tinteggiate e  senza finestre, situate sotto i lussuosi gli uffici della Bernard Madoff Investment Securities, che sono il cuore pulsante della più grande truffa del secolo. Qui, una serie di dilettanti allo sbaraglio, senza alcun titolo di studio o specializzazione, ma con un enorme pelo sullo stomaco e una grado di furbizia e genialità sconosciuto alla maggior parte degli investitori ufficiali, si dedica alla pratica tantrica della finanza creativa, architettando piani, falsificando bilanci, inventando transazioni.
Con la promessa di rendimenti più bassi rispetto alla concorrenza ma costanti, Madoff attira come miele le mosche dell’avidità occidentale. Banche, intermediari, personaggi famosi e cittadini semplici, truffatori senza scrupoli e onesti aspiranti alla ricchezza, iniziano a affidargli i loro risparmi.
Gli elenchi dei titoli e delle onorificenze di Madoff sono impressionanti, considerato il padre del Nasdaq, ne assume anche la presidenza. Oltre a ricoprire cariche direttive nei più prestigiosi board di Wall Street. Ma l’ascesa di questo sconosciuto ex bagnino del Queens non è indifferente a maldicenze e veri e propri sospetti.

La società deputata di controllo Sec (Securities and Exchange Commission) già agli inizi degli anni Novanta comincia a fare verifiche, ma incredibilmente non trova nulla. L’analista Harry Markopolos per ben due volte denuncia pubblicamente i risultati di Bernie Madoff, spiegando che gli sono voluti cinque minuti per capire che si tratta di una truffa. Basta guardare i diagrammi, quelli di Madoff sono in leggera ma costante ascesa, senza le imprescindibili oscillazioni proprie del mercato.

C’è qualcosa che non va. E’ evidente.

Ma la Sec non interviene. E così l’Fbi. E tutte le altre agenzie deputate al controllo di questa incredibile anomalia finanziaria.
Too big to fail? Non solo.

Il “cattivo da mandare alla gogna”

I confini tra vittime e carnefici sono esili, incerti, nella gigantesca ragnatela finanziaria di cui Madoff è solo uno dei molteplici centri.

Se dichiarandosi colpevole di tutte le imputazioni il finanziere permette a diverse banche d’investimento di primo piano di rimanere fuori dal processo, lo stesso alcuni istituti e diversi investitori raggiungono intese extragiudiziarie per restituire i fondi della truffa.

E se la regia di Levinson e il mestiere di De Niro e Pfeiffer sono magistrali nel rendere costante questa atmosfera di dubbio, sul piano del pubblico e del privato, la pellicola affonda su un punto dirimente.
“Sai, ci pensavo prima, tutto questo nemmeno riguarda me – dice a un certo punto Madoff alla moglie –. Il paese aveva bisogno di un cattivo, di qualcuno da mandare alla gogna, così che tutti potevano sentirsi meglio continuando a vivere in un sistema marcio”
È solo dopo la crisi del 2007 che molti investitori importanti cominciano – casualmente e tutti insieme – a ritirare i loro risparmi dal fondo, che infatti dopo poche settimane salta.

È solo all’apice della crisi che Bernard Lawrence Madoff diventa non più necessario, e può essere sacrificato sull’altare dell’auto-redenzione del capitalismo finanziario.

È solo all’apice della crisi che Bernard Lawrence Madoff diventa necessario, e può fungere da capro espiatorio di un intero sistema che si basa sulla menzogna e sull’avidità.
“Cosa possiamo dire di buono, oggi, di Bernie Madoff?” chiede un testimone durante il processo.
Probabilmente nulla. Oltre ad avere ucciso, in alcuni casi metaforicamente e in altri materialmente, i membri della sua famiglia e migliaia di piccoli risparmiatori truffati e ridotti sul lastrico, non gli manca neppure la reductio ad hitlerum, avendo derubato anche Elie Wiesel, sopravvissuto all’olocausto.

Ma come fa notare Chadwick Matlin su The Guardian,  il suo caso ha aiutato a smascherare l’incompetenza e complicità delle commissioni di controllo, delle grandi banche, di un intero sistema che è stato fino all’ultimo compartecipe della più grande truffa del secolo.

Come sostiene un utente del forum di Occupy Wall Street, si può andare oltre e considerarlo solo una persona comune che ha portato all’estremo, e alle estreme conseguenze, le parole d’ordine che regolano la nostra società: agonismo, avidità, competizione, diritto alla felicità e quindi alla ricchezza. Con ogni mezzo necessario.

Possiamo quindi dire, e in questo il film The Wizard of Lies è chiarissimo, che Bernie Madoff è un eroe borghese. E a questo punto la domanda che dobbiamo porci è: “Cosa possiamo dire di buono, oggi, della borghesia?”.

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