Decodificare il presente, raccontare il futuro

RECENSIONE


sab 5 agosto 2017

LIVING IN AMERICA

La chiave per decodificare il personaggio di Marty Byrde, protagonista della serie Ozark – uscita in 10 puntate, a fine luglio, su Netflix – si condensa sostanzialmente in un’unica parola: la scelta. La narrazione, magistralmente ideata da Bill Dubuque e Mark Williams, non è costruita intorno al topos dell’eroe tragico. Il candido Marty Byrde, interpretato dal bravissimo Jason Bateman, è un comune colletto bianco, con una bella moglie impegnata a fare campagna per Obama e due figli adolescenti a cui il buon Marty continua a dare il bacio della buona notte. Completano il quadro una monovolume, un mutuo e un “doppio lavoro” gratificante: consulente di borsa e riciclatore per un cartello di droga.

Io credo che molte persone abbiano una concezione distorta del denaro, il denaro è uno strumento di misurazione… Pazienza, parsimonia, sacrificio, in fondo cosa hanno in comune queste tre cose? Sono scelte. Il denaro non dà pace interiore, il denaro non dà felicità: il denaro è, nella sua essenza, la misura delle scelte di ogni uomo. [Marty Byrde]
La chiave per decodificare il personaggio di Marty Byrde, protagonista della serie Ozark – uscita in 10 puntate, a fine luglio, su Netflix – si condensa sostanzialmente in un’unica parola: la scelta.

La narrazione, magistralmente ideata da Bill Dubuque e Mark Williams, non è costruita intorno al topos dell’eroe tragico. Il candido Marty Byrde, interpretato dal bravissimo Jason Bateman, è un comune colletto bianco, con una bella moglie impegnata a fare campagna per Obama e due figli adolescenti a cui il buon Marty continua dare il bacio della buona notte. Completano il quadro una monovolume, un mutuo e un lavoro gratificante.
Il personaggio è senza ombra di dubbio il simbolo dell’americano perfetto: responsabilità e rettitudine come salde basi della famiglia.
Democratico, appagato dal lavoro, attento agli altri e alla sua forma fisica, che è specchio di sé, l’uomo possiede poi uno straordinario talento come consulente finanziario. Marty va d’accordo con i numeri, conosce le banche e il mercato a perfezione e, del tutto in linea con la sua attitudine, sceglie con coscienza e raziocinio di mettersi al servizio di un cartello della droga messicano. In pratica: Marty ricicla denaro per il narcotrafficante Del (Esai Morales) nella piccola cittadina di Ozark, dove si è trasferito. E tutto questo avviene senza assilli e senza remore, operando una scelta nitida che non viene mai messa in discussione.
Un assioma semplice e disarmante: il bravo e onesto padre di famiglia ritiene che non ci sia alcuna differenza tra lavorare con i narcodollari o curare gli interessi di bravi e onesti lavoratori americani.
Byrde non è mai ambiguo e, a differenza di quello che significa il suo cognome, non è costretto a portare da solo alcun “fardello” rispetto alle sue scelte. È assolutamente d’accordo con il suo socio, che finirà per approfittarsi della sua buona fede, ma sopratutto è appoggiato da Wendy (Laura Linney). Lei, la moglie perfetta che, quasi dovesse iscrivere uno dei figli alla squadra di nuoto, in maniera serafica tra un bicchiere di bourbon e una carezza, annuisce alla proposta senza battere ciglio, determinata a migliorare il suo stile di vita a ogni costo, anche grazie ai narcodollari.

Ma il quadretto idilliaco mostra subito delle crepe. C’è un doppio tradimento dietro l’angolo: quello dell’amico e quello dell’amata.
L’unico che non tradisce è il denaro, che infatti regala a Marty un’altra clamorosa possibilità: riciclare 9 milioni di dollari, nel giro di tre mesi, sul lago Ozark in Missouri. E quindi: risarcire il cartello e ricominciare da capo.
Se la metropoli di Chicago ha riservato amare sorprese alla famiglia Byrde, la provincia si dimostra ancora più agghiacciante. Quella che sembra essere soltanto una cittadina piena di bifolchi e ignoranti, uno spazio “lontano dai riflettori”, senza federali alle calcagna e dove poter gestire gli affari in solitaria tranquillità, è solo un altro tassello arroventato tra le scelte infernali da compiere, in un continuo rilancio per rimanere a galla.

Da bravi democratici, infatti, Marty e Wendy informano della situazione la quindicenne Charlotte (Sofia Hublitz) e l’undicenne Jonah (Skylar Gaertner) che, a loro volta, si trasformano in freddi e scrupolosi riciclatori, pronti a sfidare la cittadina di Ozark e i suoi intrighi. Scortato da un raggelante realismo, che è la cifra distintiva della narrazione, lo scenario dopo l’approdo a Ozark cambia e si sposta su un’America più profonda, e ferocemente repubblicana. Niente più metropolitane e negozi, ma terra brulla e acque senza fondo.
Questo scarto di scenario, dalla city alla cittadina periferica, dimostra come la serie non risparmi nessuno: se i torbidi segreti dei Byrde smascherano l’ipocrisia della classe media, l’ottusità della famiglia di Ruth – argutissima ma sfortunata ragazza del luogo – chiama in causa il lato peggiore della white trash.
Ambientazioni e contesti sociali rievocano pellicole come Un gelido inverno (Debra Granik, 2010), Mud (Jeff Nichols, 2012), Joe (David Gordon Green, 2013) e altre incursioni negli States più profondi e desolanti, dove un’umanità allo sbando vive ai margini del progresso.

Eppure non ci sono solo gli sconfitti con cui fare i conti. Certo che no. A Ozark, come in una ben riuscita favola gotica, lo spettatore è portato a scoprire cosa si cela dietro la facciata di una tranquilla cittadina sulle rive del lago. Dovrebbero abitarci persone semplici, pescatori squattrinati, gente che in generale ha poca dimestichezza col denaro, ma ci si trova, invece, di fronte a un universo di marciume e corruzione che inghiotte tutto quello che incontra: un enorme buco nero che si estende a perdita d’occhio e che lambisce tutto il paesaggio.

Qualsiasi briciolo di onestà è destinato a essere fagocitato dall’inganno, in una spirale senza fine nella quale tutti prima o poi finiscono per precipitare.
Tra redneck, poliziotti corrotti, trafficanti di droga e sfruttatori di minorenni, come nel purissimo crime di Don Winslow nessuno si salva: l’acqua del lago lentamente corrode e mortifica, e chi non è in grado di sopportare il peso è costretto a soccombere.
I Byrde, però, non soccombono: si integrano sempre più a fondo in quell’ostica comunità tanto da diventarne parte integrante e ridefinirsi in un rinnovato e ancor più complice nucleo familiare. Nel momento in cui il sogno americano non luccica più, e il self-made man – l’unica risposta messa a disposizione dei cittadini USA – viene rideclinato in una mobilità totale e senza regole, sarà proprio il più innocuo dei Byrde, il piccolo e introverso Jonah, a sferrare il colpo definitivo contro il capitale, dimostrando di avere capito a perfezione gli ingranaggi della società contemporanea. Mentre il pluridecorato poliziotto dell’Fbi, che è un tormentato omosessuale, fallisce nella sua missione di incastrare il cartello e riprende a farsi di eroina, e il pastore “tutto bibbia e parabole” scopre a sue spese che chi assiste ai suoi sermoni lo fa solo per ricevere breviari pieni zeppi di oppio, il piccolo Jonah si avvia timido e impacciato al suo primo giorno di scuola, dove, ribaltando i termini, sarà lui a fare lezione. Quasi fosse fuoriuscito direttamente – il riferimento è ancora d’obbligo – da uno degli ultimi due “affreschi” di Don Winslow, in cui con rara maestria si narra di narcotraffico e corruzione. Jonah è attento, perché la professoressa ha appena definito le droghe “la peggiore piaga che affligge l’America” e chiede agli studenti di firmare un appello contro ogni tipo di droga. Tutti firmano ma Jonah no, e dice all’insegnante che quello che ha appena affermato è molto più complesso, economicamente. E argomenta:

Non è così facile dire no a droga e alcool perché, in definitiva, sostengono l’economia degli Stati uniti. Sa che cos’è il prodotto interno lordo? Il totale di tutto il denaro che spendiamo. Sarebbe grandioso se la gente non avesse dipendenza da droghe, ma la gente sarà sempre dipendente da droghe, e quindi deve comprarle. C’è una teoria che sostiene che i soldi della droga hanno evitato il collasso globale nel 2008. Quando crollò il mercato immobiliare. Quei soldi furono l’unico denaro liquido a salvare le grandi banche e 350 milioni di narcodollari hanno pagato ponti, strade e assistenza sanitaria e anche parte di questa scuola. È per questo che non posso firmare.

Come ribattere alla disarmante verità di Jonah?
Nutrite da una bella scrittura le 10 puntate di Ozark spiccano nel panorama della serialità, portando di fronte allo spettatore, con lucida ferocia, la banalità del male e della new economy.
Tutto è desertico e rarefatto. Le relazioni, le amicizie e gli amori stagnano in attesa di corrompersi. Restano solo gli avvoltoi. Rapaci che si avventano su una carcassa nel tentativo di strapparne almeno un piccolo lembo, così i personaggi – assolutamente ordinari – di Ozark si spartiscono litigiosamente i resti di un’America devastata dalla crisi economica, corrotta e malata, conducendo fino alle estreme conseguenze la consapevolezza di quanto sia labile il confine tra legale e illegale, e quanto la scelta rimanga forse l’unica possibilità individuale da compiere nella dissoluzione di ogni orizzonte collettivo.

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