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RECENSIONE


ven 9 febbraio 2018

LA RETE COME INCUBATORE DI EXTREME DROITE

Nei primi anni del nuovo millennio circolava un certo ottimismo sulle prospettive democratiche aperte dalle nuove tecnologie di rete. Non era previsto che, tra questi “messaggi alternativi”, alcuni dei più coinvolgenti ed efficaci potessero avere una matrice nazionalista, xenofoba, razzista e reazionaria. Soprattutto in Francia, dove la rete diviene incubatore d’eccellenza dell’extreme droite. Lo analizzano e raccontano Dominique Albertini e David Doucet nel loro libro “La Fachosphère”.

Nei primi anni del nuovo millennio circolava un certo ottimismo sulle prospettive democratiche aperte dalle nuove tecnologie di rete: in ciò che Manuel Castells ha chiamato “auto-comunicazione orizzontale di massa” si intravedeva una leva potente per la diffusione di messaggi alternativi alla propaganda del potere, ai silenzi e alle distorsioni dei grandi media tradizionali.
Non era previsto che tra questi “messaggi alternativi” alcuni dei più coinvolgenti ed efficaci potessero far registrare una matrice nazionalista, xenofoba, razzista e reazionaria.
Vagheggiavamo l’auto-organizzazione di movimenti democratici dal basso, anti-sistema, impermeabili ai condizionamenti politici; non immaginavamo che, sempre dal basso, potessero resuscitare mostri creduti sepolti. I mostri dell’estrema destra, altrettanto anti-sistema.
Il caso della Francia è illuminante. È ormai entrata nell’uso comune, oltralpe, la parola fachosphère: la variegata galassia online dell’estrema destra, attivissima con blog e social network.
La Fachosphère è anche il titolo di un libro-inchiesta, pubblicato nel 2016 da Flammarion, in cui i giornalisti Dominique Albertini e David Doucet (già autori di una storia del Front National) riportano le conclusioni di un’inchiesta sul campo durata oltre due anni, restituendo – grazie a interviste, documenti e testimonianze – il mosaico della militanza sul Web dell’estrema destra francese.
La fachosphère è una nebulosa di posizioni eterogenee, spesso confuse, che trovano spazio su frequentatissimi blog, pagine facebook, community e siti web, animati per lo più da giovani “nerd” destrorsi.
Non necessariamente propugnano idee fasciste in senso stretto: si va dal nazionalismo identitario al tradizionalismo cattolico, dall’islamofobia all’antisemitismo vecchia maniera, dal securitarismo anti-immigrati al sovranismo no global, dalle mine vaganti – soggetti gelosi della propria autonomia – a chi si colloca sotto l’ombrello del Front National.
Che cos’hanno in comune? L’avversione a un grande nemico ideologico, il “mondialismo”, ma per Albertini e Doucet anche una visione complottista, secondo la quale la realtà sociale e politica non nasce dalla complessa interazione fra attori diversi con interessi e mezzi diversi, ma per effetto delle decisioni di uno sparuto gruppo di individui o di organizzazioni occulte, a cui le istituzioni ufficiali e i media sarebbero asserviti.
Tutti i soggetti della fasciosfera si pongono dunque come oppositori (e vittime) del “sistema”. Non sorprende, allora, che la più frequentata delle piattaforme online studiate da Albertini e Doucet, Fdesouche.com, dichiari di svolgere un’opera di “re-informazione” alternativa ai canali ufficiali (finemente ribattezzati “merdias”).

Fondato dal giovane programmatore Pierre Sautarel, il sito è diventato un punto di riferimento come semplice aggregatore di notizie: un portale che raccoglie video e articoli di cronaca e politica senza aggiungere commenti, ma con l’intento, ben chiaro nella scelta dei contenuti, di offrire un’interpretazione xenofoba e sciovinista dei problemi francesi.

Un esempio raccolto da molti sedicenti “soldatini della re-informazione”, come quelli che afferiscono alla fondazione Polémia del repubblicano negazionista e “neopagano” Jean-Yves Le Gallou, la web-tv reazionaria Tvlibertés o l’Observatoire des journalistes et de l’information médiatique.

Non dissimile, anche se più smaccatamente intollerante, è il caso di SOS Racaille (SOS gentaglia/feccia), nato per fare il verso al sito SOS Racisme e per denunciare il presunto nesso tra immigrazione e criminalità, e trasformatosi nel tempo in un ricettacolo di sfoghi razzisti e incitazioni all’odio.
Tra le molte pieghe della fasciosfera francese, vale inoltre la pena di citare le attività di due eccentrici personaggi, i famigerati Alain Soral e Diedonné, e dei relativi seguaci, pagine celebrative e spin-off di vario genere.
Il primo ha un passato nel Front National, conduce una martellante attività pubblicistica, online e su carta, ed è il teorico di un “nazionalismo lavorista” che avversa la “sinistra libertaria” tanto quanto “la destra finanziaria”. Il secondo, ex comico già definito “un Beppe Grillo politicamente ancor più scorretto”, è un singolare performer di origine camerunense, noto per le sue posizioni cospirazioniste ma soprattutto per la quenelle, una variante del gesto dell’ombrello (c’è chi la interpreta come un saluto nazista al contrario) divenuta virale non solo nei circoli della destra.
Nel 2015 Soral e Dieudonné hanno fondato Réconciliatiòn nationale, un movimento che si segnala soprattutto per le prese di posizione apertamente antisemite. Entrambi hanno subito processi e condanne per incitazione all’odio razziale, Dieudonné persino per apologia di terrorismo (“Je suis Charlie Coulibaly” fu il suo commento nei giorni seguenti agli attentati di Parigi a Charlie Hebdo).
Ed entrambi sono appoggiati da un variopinto mondo di youtuber, seguaci, militanti, troll scatenati sul Web. Albertini e Doucet descrivono persino un gruppo di attivisti che si è lanciato nell’X-nationalisme, ossia il porno come mezzo di propaganda: basta inserire un’allusione, una battuta o una quenelle in qualche scena hardcore amatoriale – rigorosamente non interrazziale.

Infine, il Front National. Dal libro emerge chiaramente come l’ascesa del partito dell’estrema destra francese, che ha una lunga storia, non sia da ascrivere soltanto ai traumi della globalizzazione, alla crisi dei partiti e delle appartenenze politiche tradizionali, alla Grande recessione o alla leadership carismatica dei Le Pen, ma anche a un pionieristico, sapiente utilizzo dei nuovi media.
“L’opinione pubblica si è trasformata in opinione digitale”, sostiene il sociologo Alessandro Dal Lago nel suo saggio Populismo digitale: la destra francese lo ha compreso con largo anticipo.
È la stessa Marine Le Pen a rivendicare di aver saputo fare di necessità virtù, uscendo dall’emarginazione politica grazie a un rapporto diretto, “disintermediato” con i cittadini sui canali del Web. Con padronanza spregiudicata delle tecniche di comunicazione e piena consapevolezza degli algoritmi che regolano motori di ricerca e social network.

In La Fachosphère non stentiamo a riconoscere gli stessi meccanismi che in Italia, nel giro di un lustro, hanno portato Matteo Salvini a un impensabile livello di popolarità tanto nei sondaggi quanto nel conto dei “mi piace”, oltre che alla crescita – e allo sdoganamento – di formazioni ancor più estremiste come Casa Pound. Basta sostituire “mondialismo” con “buonismo” per riconoscere gli stessi slogan, meme, attacchi personali, le medesime retoriche e provocazioni all’insegna di parole d’ordine come “sicurezza”, “tradizione”, “nazione”. L’importante è “far discutere”, e alimentare così la visibilità online.

Sappiamo della love story politica tra la Lega salviniana e il Front National. Più in generale, sui Diavoli abbiamo già sottolineatocome tra i movimenti identitari europei esista una comunità d’intenti e una collaborazione sconosciuta ad altre famiglie politiche: non è certo una contraddizione in termini questa dell’“Internazionale nazionalista”, cementata da una comune visione neo-sovranista.
Sono meno noti, e ancora poco studiati, il linguaggio e i frame comunicativi tipici della grande famiglia nazionalista europea (che d’altra parte la avvicinano al fenomeno Trump oltreoceano). Il libro di Albertini e Doucet prova a colmare questa lacuna tracciando un quadro puntuale del modo in cui le idee identitarie e reazionarie si propagano nel Web, e così nella società.
Più che rivendicare la propria cifra ideologica e la propria tradizionale collocazione sull’asse destra-sinistra, i partiti e movimenti nazionalisti si ergono a portavoce di un senso comune tradito dalle élite: “bisogna dire le cose come stanno”, “vogliamo solo difendere la sicurezza dei cittadini e delle famiglie”. Salvo poi lasciare spazio, soprattutto online, alla rabbia, all’aggressività e alle pulsioni razziste dei militanti.
La fasciosfera offre dunque ai suoi frequentatori, anche a quelli di passaggio, idee “prêt à penser”, una controcultura che ha le proprie norme e i propri riferimenti, e che vive soprattutto di una tenace opera di “reinformazione” – in ultima analisi, una deformazione o strumentalizzazione propagandistica della cronaca in polemica contro il “sistema” e il suo “pregiudizio mondialista/buonista”.
I suoi animatori, in Francia come in Italia, non sono affatto “ignoranti”, “analfabeti funzionali” o “webeti”. Sono persone capaci, preparate, decise, scrivono bene e sanno diffondere messaggi chiari e riconoscibili.
In molti, a sinistra e non solo, hanno commesso il tragico errore di sottovalutarli e snobbarli: quante volte abbiamo letto i commenti o i tweet di chi, compiaciuto del proprio senso di superiorità, si vanta di aver bannato l’“amico” che propaga idee xenofobe? Un atteggiamento che oggi più che mai mostra la sua assurdità.
L’estrema destra ha ingaggiato una battaglia culturale, che proprio sul piano culturale deve essere combattuta. Se non è già troppo tardi, come verrebbe da credere assistendo in questi giorni al surreale dibattito sull’attentato fascio-razzista di Macerata.

Il libro: Dominique Albertini e David Doucet, La Fachosphère. Comment l’extrême droite la bataille du net, Paris, Flammarion Enquête, 2016.

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