Decodificare il presente, raccontare il futuro

RECENSIONE


lun 28 marzo 2016

IL CARTELLO DI DON WINSLOW

Un romanzo sul narco-Messico, terra di mezzo al confine con gli USA

18 GENNAIO 2016 – La sindaca di Temixco – Gisela Mota, 33 anni – trucidata in casa a colpi d’arma da fuoco poche ore dopo il suo insediamento e l’arresto di Joaquin Guzman Loera, detto «el Chapo», capo del cartello del narcotraffico di Sinaloa, evaso lo scorso luglio dal carcere di massima sicurezza di Almoloya. Nelle ultime settimane il Messico è tornato a far parlare di sé e i lettori del romanzo Il cartello si sono trovati immersi in una sorta déjà vu perché quelle storie le avevano appena lette. Ma Don Winslow non aveva previsto nulla, aveva solo raccontato il passato. Il punto è che in Messico passato, presente e futuro si intrecciano con una continuità impressionante di violenza, crimini e corruzione da ormai quasi mezzo secolo.

Il cartello è un grande romanzo corale che mischia fiction e documentazione, James Ellroynon a caso lo ha definito «Il Guerra e Pace della lotta per la droga». Come Ellroy, Winslow inserisce dei personaggi epici in una cornice storica ben precisa dove le fonti di ispirazione sono freddi  reperti di cronaca. Cronaca nera messicana che non sorprende quasi più perché fitta di eventi che si ripetono ormai da anni: l’incontro segreto tra El Chapo Guzman e Sean Penn sembra un rimando ai maestri del romanzo storico italiano, i Wu Ming, che in «54» fanno incontrare in segreto Tito e Cary Grant (spia britannica) con la scusa di un film sul dittatore jugoslavo. Del resto la grande attrazione che provano i grandi criminali per il mondo del cinema e dello spettacolo è ben nota. ​ Ma per diversi aspetti Il cartello rimanda anche a «2666» dello scrittore cileno Roberto Bolaño che ne «La parte dei delitti» racconta in modo dettagliato e quasi pornografico il femminicidio messicano, descrivendo il corpo delle donne violentato e martoriato da un’infinita serie di omicidi perpetuati nella zona di Ciudad Juarez (“Santa Teresa” nel romanzo).

Winslow ci racconta nello stesso modo distaccato la carneficina degli anni Zero della guerra fra bande di narcos e lo fa descrivendo i corpi mutilati, decapitati e devastati dei morti ammazzati. Il tratto comune tra Bolaño e Winslow è nella mano assassina: non c’è un singolo responsabile ma in tutti e due i casi è una sorta di colpevole collettivo a compiere gli omicidi.
Nel caso di Bolaño, grazie alla delocalizzazione statutinense, Ciudad Juarez diventa un polo tessile a basso costo, vengono assunte migliaia di donne, che vengono deportate da tutto il Messico. La città diventa un crocevia tra l’iperconsumismo americano e la povertà del sud del mondo, cambia fisionomia, viene stravolta. La risposta del territorio all’urbanizzazione selvaggia è il femminicidio. Vent’anni dopo Juarez viene deindustrializzata perché la manodopera a basso costo si sposta in Asia e rimangono solo le macerie di un passato vicinissimo. Il capitalismo messicano muta come nel resto del mondo e la terra di mezzo, al confine con gli Usa, diventa sempre più strategica, snodo cruciale dei traffici di cocaina in transito verso il mercato principe a stelle e strisce.

Anche in Don Winslow l’esecutore materiale della strage è un mostro collettivo: la macelleria messicana è determinata dall’inferno messicano. Femminicidio e guerra tra narcos sono la stessa cosa, sono il frutto amaro di una terra violentata dalle contraddizioni di due mondi tanto diseguali quanto vicini geograficamente. Non è più il traffico di droga a determinare le dinamiche del nord del Messico ma è il controllo della porta di passaggio tra i due mondi. E quando si tratta di controllo del territorio, politica e cartelli criminali si fondono senza distinzione.

Tijuana e Ciudad Juarez sono una sorta di Medio Oriente, zone di guerra totale in cui in gioco c’è soprattutto la vita di civili inermi.​ Tanto in Bolaño quanto in Don Winslow gli omicidi sono caratterizzati da una certa ineluttabilità e indifferenza, come se fossero un sottoprodotto del territorio.​ Il mondo di Bolaño è abitato da poeti, nell’universo narrativo di Don Winslow, invece, gli unici eroi positivi sono gli attivisti politici e i giornalisti non corrotti. Ed è proprio il Bambino Selvaggio – alter ego dell’informazione libera che tramite la rete, in forma anonima, denuncia e dileggia il mondo dei cartelli con tutte le sue commistioni – che prima dell’inevitabile finale pirotecnico scrive l’epilogo del romanzo con una struggente lettera d’addio nella quale a nome di tutti i morti invisibili, senza lapide e senza esequie, si arrende e consegna la sua terra ai propri carnefici e ai suoi epigoni in giacca e cravatta.

Il Cartello diventerà un film diretto da Ridley Scott. Il Messico sta diventando un soggetto editoriale molto caro all’industria culturale di massa, speriamo che tutta questa attenzione mediatica possa spezzare il nodo gordiano che lega da sempre politica e criminalità e che il gendarme globale cambi finalmente strategia nella sua infinta, e finta, guerra alla droga.

NEWSLETTER


Autorizzo trattamento dati (D.Lgs.196/2003). Dichiaro di aver letto l’Informativa sulla privacy.



LEGGI ANCHE: