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RECENSIONE


ven 1 giugno 2018

UNA GALASSIA NON PIÙ LONTANA LONTANA

Solo: a Star Wars Story, il secondo spin-off della celeberrima saga, è atterrato da poco nelle sale italiane. Corruzione pervasiva e sistemica, repressione e paranoia securitaria, estrazione massiva delle risorse, senso di solitudine e sbandamento di ogni ragione collettiva, centralità rappresentativa della donna… Per tutti questi elementi, e altri ancora, si potrebbe evincere che l’immaginario di S.W. si sta rifondando non tanto con l’afflato epico ed evasivo dei precedenti gloriosi capitoli ma, piuttosto, come un racconto sempre più speculare al contemporaneo. E allora, forse, la galassia, non è più così “lontana lontana” come vogliono le celebri righe di testa che introducono ogni nuovo episodio. Ai novelli fan l’ardua sentenza, perché per ora è “Solo” l’inizio.

La galassia è dominata dall’Impero, un regime al collasso che per mantenere il proprio potere reprime con brutalità e scende a patti con i “sindacati criminali”, che a loro volta sfruttano i più miserabili come bassa manovalanza delinquenziale, per contrabbandare medicinali e refurtive d’ogni sorta, ma soprattutto il “coassio”: materiale grezzo, ormai sempre più raro, da cui si raffina il carburante intergalattico…
Nei meandri suburbani di Corellia, cittadina vessata da truppe imperiali, crimine e miseria, due giovani amanti e banditi sottoproletari, un lui e una lei, al soldo della terribile Lady Proxima, sognano una via di fuga che li sottrarrà al giogo della potente boss e all’inferno di quel posto.
A un passo dal salvifico imbarco, tuttavia, il destino lancia i suoi “dadi”. Lo spazio tra libertà e schiavitù non è solcato da entrambi: una frontiera separa sogni e promesse dei due giovani. Lui, privato della possibilità di tornare indietro, diviene un fuggiasco disperato, e per trovare scampo si presenta alla sezione di reclutamento delle milizie imperiali.
«Le tue generalità, ragazzo, e il corpo in cui vorresti militare» gli chiede il soldato addetto all’arruolamento. «Mi chiamo Han, e voglio diventare un pilota» risponde il giovane, trafelato e guardingo. “Han… e poi? Il tuo cognome, ragazzo” lo incalza il soldato. “Han e basta… Sono solo, non ho famiglia”. “Allora, vediamo… Ok, ti registrerò come Han… Han Solo,” conclude il soldato.
Cominciano così le rocambolesche peripezie di Solo, a lottare per la sopravvivenza in trincea, poi disertore insieme a una banda di contrabbandieri, sempre in perenne fuga dalle avversità e nella strenua speranza di trovare una nave spaziale per ricongiungersi all’amata Qi’ra.
È atterrato da poco nelle sale italiane Solo: a Star Wars Story, il secondo spin-off della celeberrima saga, diretto da Ron Howard (Apollo 13, A Beautiful Mind, Cinderella Man) e sceneggiato dal veterano Lawrence Kasdan (Star Wars, Indiana Jones, Il grande freddo) insieme a suo figlio Jon.
Stavolta lo “scorporo” narrativo vede protagonista il giovane Han Solo, e il nastro si riavvolge dunque sulla genesi di uno dei più leggendari contrabbandieri intergalattici e personaggio cardine dell’universo creato da George Lucas, ma soprattutto sulla nascita delle prime formazioni di ribelli stellari.
Figli di nessuno

Come Rey negli episodi VII-VIII (emblematiche le sue parole in Gli ultimi jedi: «mi serve qualcuno che mi mostri il mio posto in tutto questo») e Jyn Erso in Rogue One, anche Solo è una sorta di “figlio di nessuno”: ennesima figura che, nel nuovo ciclo di Star Wars, da una parte deve trovare collocazionee dall’altra avere a che fare con la gravosissima eredità del mito precedente.

Ed è questa anche e soprattutto una parabola politica nutrita dal contemporaneo: fuori dal ‘900, con assetti e paradigmi che saltano, ci si muove nelle lande della depressione economica-sociale e dell’affarismo più selvaggio, da banditi solitari (e infatti il film ha anche tinte western)o in batterie di fuorilegge, al fianco dei pochi che ispirano fiducia e con il tradimento, sempre, dietro l’angolo.
Oppure, ma certo in maniere del tutto fortuite e spontanee, si può entrare in contatto col germe di una rivolta perché, in fondo, tra chi si arrabatta o lotta per sopravvivere, prima o poi ci si incontra.
Non più “principesse”

Se tuttavia Solo è il protagonista di un prequel che rispetta le regole d’ingaggio con la vecchia saga e lo smalto dell’originario contrabbandiere interpretato da Harrison Ford – con tanto di primo incontro tra Han e Chewbecca, il Wookie, fedele compagno d’avventure –, la modernità della pellicola risiede nel personaggio di Qi’ra che, lontana anni luce dal topos fiabesco delle principessine, non attende il suo salvatore ma sceglie di combattere per la sopravvivenza da sola, in un continuo rilancio di sé stessa.
Mentre Han crede ancora alle favole e sogna la nave spaziale che lo porterà a ricongiungersi con la sua bella, Qi’ra (peraltro interpretata dalla stessa Emilia Clarke che veste i panni della combattiva Khaleesi in Game of Thrones)diviene un animale politico, ancora capace di amare ma, alla bisogna, di mentire.
La sua ambiguità è vera e propria strategia machiavellica, che fa del sotterfugio una scelta ponderata, le cui dinamiche solo lei comprende appieno, ma saranno decisive per il mondo che verrà e, di riflesso, per rendere “il bravo ragazzo” Han il più affascinante e coraggioso ladro gentiluomo dell’intera galassia.
Dietro la lucente facciata dell’eroe guascone, quindi, le trame più oscure e determinanti sono affrontate da una donna dotata di polso politico e vero spirito di sacrificio. Anzi, da più donne.
Il femminile è dunque, e ancora, la cifra principale della pellicola: dall’orribile Proxima, mostro dickensiano che alleva orfani per farne ladri, all’intrepida bandita Val, e ancora, alla predona ribelle Enfys Nest. Se Leila, nei vecchi capitoli della saga, si smarcava col suo carisma dagli abiti-cliché della principessa, queste nuove figure femminili ne sono già scevre, in quanto da subito immerse nei destini più periferici e marginali possibili. Destini da cui, da sole, dovranno sottrarsi, non senza pagare un salatissimo prezzo.
All’essere donna è attribuito, di per sé, il concetto di essere contro, di doversi ribellare con le proprie forze.
E ancora in linea con una tale ri-declinazione eroica a partire dalle presunte figure marginali, la pellicola investe sul personaggio di L3 – l’androide femminista e riottoso – per conferire unicità al suo nuovo immaginario. A differenza di Rd2d, C3PO e del “troppo rotondo” bb8 – droidi dotati di straordinaria indole, certo, ma pur sempre votati all’incondizionato servizio di qualcuno –, con L3, il robot dall’indomita e indipendente soggettività, si assiste a un indubbio scavalcamento a sinistra dei suddetti comprimari.
Oppressi di tutti i sistemi solari, unitevi

Ma il personaggio del droide è anche il veicolo per una riflessione – già svolta, in passato – su come l’accelerazione tecnologica stia riconfigurando i rapporti tra uomo e macchina.
La relazione ultra-paritaria tra L3 e il suo comandante Lando, insieme all’empatia politica che il droide nutre per i suoi simili “schiavizzati”, ribaltano una volta per tutte i rapporti di forza e subordinazione (e di produzione, ĉa va sans dire) delle macchine nei confronti dell’uomo.
Ed è questa una macro-allegoria secondo cui nella lotta alla sopravvivenza e contro il braccio armato del Capitale (rappresentato nella pellicola dal “lato oscuro” e dai “sindacati criminali”) tutti gli oppressi (che siano banditi, mutanti o androidi; i sistemi solari di questi nuovi Star Wars sembrano rappresentare davvero il contemporaneo globalizzato)devono unirsi e far fronte comune.

Una galassia non più lontana lontana

Corruzione pervasiva e sistemica, repressione e paranoia securitaria, estrazione massiva delle risorse, senso di solitudine e sbandamento di ogni ragione collettiva, centralità rappresentativa della donna…
Per tutti questi elementi, e altri ancora, si potrebbe evincere che l’immaginario di S.W. si sta rifondando non tanto con l’afflato epico ed evasivo della prima gloriosa saga (dettato, in tutta probabilità, dall’esigenza di andare in controtendenza rispetto alle inquietudini della Guerra Fredda; basti pensare che il capitolo d’esordio titolata proprio Una nuova speranza) ma, piuttosto, come un racconto sempre più speculare al contemporaneo.
E allora, forse, la galassia, non è più così “lontana lontana” come vogliono le celebri righe di testa che introducono ogni nuovo episodio. Ai novelli fan l’ardua sentenza, perché per ora è “Solo” l’inizio.

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