Decodificare il presente, raccontare il futuro

RECENSIONE


mar 30 maggio 2017

IL CORPO POLITICO TRA TECNOLOGIA E CAPITALISMO

Come pensiamo e conosciamo i nostri corpi al tempo delle biotecnologie e del capitalismo avanzato? Che rapporto avere con le tecnologie in un'epoca in cui le determinazioni economiche hanno prodotto senza soluzione di continuità paranoie securitarie, intossicazione dell’info-sfera, moltiplicazione delle fonti di ansia? L’ultimo libro della filosofa e accademica Rosi Braidotti, "Per una politica affermativa" (Mimesis Edizioni, 2017), prova a dare delle risposte a partire dalla costruzione di una nuova soggettività.

La mente si sforza di immaginare solo quelle cose che pongono la sua potenza di agire. [B. Spinoza]
Nei fotogrammi finali di The Matrix, mentre le stringhe di codici che scorrono sono interrotte dall’avviso emblematico system failure, la voce di Neo scandisce serafica queste parole:
So che mi state ascoltando, avverto la vostra presenza, so che avete paura di noi, paura di cambiare. Io non conosco il futuro, non sono venuto qui a dirvi come andrà a finire, sono venuto a dirvi come comincerà. Adesso appenderò il telefono e farò vedere a tutta questa gente quello che non volete che vedano: mostrerò loro un mondo senza di voi, un mondo senza regole e controlli, senza frontiere e confini, un mondo in cui tutto è possibile. Quello che accadrà dopo dipenderà da voi e da loro.
La pellicola dei fratelli, oggi sorelle Wachowski, esce nel 1999, momento culminante della cyber-cultura e di tutte le riflessioni ad essa connesse. Le parole che il personaggio di Neo scandisce nell’epilogo del film rimbombano come un’eco potente nel contesto odierno in cui tutto quel “possibile” annunciato sembra essere minato – col falso pretesto e la pia illusione di replicare alla sequela di attentati e alle rinnovate tensioni geopolitiche – dalla proliferazione di dispositivi di controllo e sorveglianza, sul fronte virtuale e materico, ovvero: l’immaginario bersagliato dalla veicolazione morbosa della “morte” attraverso i social e i media-mainstream; lo spazio fisico delle città letteralmente militarizzato attraverso un immane dispiegamento di forze.
Viviamo in un mondo fitto di regole e controlli, si potrebbe replicare a Neo, barricato entro frontiere e confini di ogni tipo, un mondo in cui ci illudono che tutto è possibile ma niente – in primis la libertà di espressione e movimento dei nostri corpi – lo è davvero.
Siamo in un frangente storico in cui le determinazioni economiche e tecnologiche  hanno prodotto senza soluzione di continuità paranoie securitarie, intossicazione dell’info-sfera, moltiplicazione delle fonti di ansia – nella caleidoscopica sovrapposizione di crisi: economica, finanziaria, sociale, politica, diplomatica – e riaffacciarsi dei conflitti mondiali – nel duplice e schizoide formato di avanzamento (droni e inedite tecnologie d’assalto) e regressione (crisi atomiche da Guerra Fredda).
In questo contesto, l’ultimo libro della filosofa e accademica Rosi Braidotti, Per una politica affermativa (Mimesis Edizioni, 2017), è un’avveduta riflessione sul potenziale di pratiche e movimenti contemporanei e insieme un prontuario critico per provare a determinare, attivamente e collettivamente, un futuro più umano e sostenibile, a partire da una ri-emancipazione del corpo e dalla costruzione di una nuova soggettività.

Le cyber-tecnologie e il modello imposto dal capitalismo avanzato

Per una politica affermativa è una raccolta di saggi firmati da Rosi Braidotti e tradotti da Angela Balzano che analizza i movimenti politici dell’ultimo ventennio con un orizzonte critico materialistico e un focus particolare al neo-femminismo che, primo fra tutti, ha saputo replicare in maniera critica e creativa all’impatto che le cyber-tecnologie hanno avuto sul nostro corpo, cercando di rinvenirne sia il potenziale emancipativo sia i rovesci stringenti e coercitivi.
Il libro è diviso in due parti, tra loro dialogiche.

La prima indaga – e, nei limiti possibili, storicizza – le pratiche politiche, socio-culturali e artistiche di collettivi e movimenti quali le Riot Grrrls, le Pussy Riot, le cyborg-eco-femministe e altri attivismi anti-razzisti e anti-specisti che, con le loro incursioni e performance, hanno dato prova di confrontarsi con i cambiamenti in corso, rimettendo al centro della scena il corpo senza però cedere, fa notare Rosi Braidotti, a una morale universalistica o a un’articolazione delle argomentazioni nostalgica e passatista o, peggio ancora, di euforico auto-compiacimento. Al centro della scena, per le pratiche neo-femministe, deve tornare il corpo, e questo significa liberarlo dalle catene speciste e razziste da una parte – cioè quando la biologia confina l’amore per la vita entro determinati codici genetici o sottopone l’amore per l’altro a filtri e discriminazioni razziali –, e dall’altra da un certo fanatismo naturista che, di reazione ai miti del progresso tecnologico, propaganda un tipo di ritorno alla vita primitiva ed esclude qualsiasi tipo di contatto o dialettica con le tecnologie.

La sfida, per il neo-femminismo, è allora costituire e riformulare il soggetto come “nomade, mutante e transnazionale”, ergo: libero da confini, libero da imposizioni riguardo a sessualità e genere, libero da discriminazioni razziali. In un contesto succube di paranoie securitarie, di rinnovata xenofobia e altamente bio-tecnologizzato, le “cattive ragazze” raccontate dalla Braidotti nutrono la loro arte di affetti transpecisti – come la scultura Big mother di Luisa Piccinini, che rappresenta un primate in sembianze femminili, dall’aspetto non troppo rassicurante, che culla e allatta un neonato, e invita alla riflessione sul fatto che la cura e l’amore non dovrebbero essere confinati all’ambito umano –;  di cyberpunk – come la celebre traccia di Bjork All is full of love, in cui gli amanti cantati e raffigurati nel video sono due cyborg –; di underground e post-industrial – come le note dure e rabbiose di La rage, cantate dalla rapper Keni Arkana tra i ruderi di ex-fabbriche marsigliesi, a intonare un chiaro appello per tutti gli oppressi a lottare contro le nuove forme di colonialismo e di strisciante razzismo.
La seconda parte, sulla base e sugli spunti delle esperienze illustrate nella precedente,  è quindi il tentativo di tracciare delle vere e proprie coordinate per un’etica politica, in grado di proporre un modello di soggettività alternativa che si scarti da quella imposta dal capitalismo avanzato dell’isolamento, dell’individualismo e della passività o del rifiuto anche e soprattutto rispetto alle innovazioni tecnologiche. Qui la critica della Braidotti avanza sulla scorta di un fil rouge filosofico che attraversa Spinoza, Donna Haraway, Foucault e Deleuze.

“I corpi bianchi high-tech”

Le asfissianti retoriche della politica dell’emergenza, schiacciate quasi sempre sul punto di vista dei “corpi bianchi high-tech” – e i meccanismi securitari veicolati dall’alto mediante l’invadenza acritica delle nuove tecnologie, secondo la Braidotti, hanno suggellato il consolidamento di un “noi” generico, cioè un’umanità riunita nella paura e nella vulnerabilità in cui il corpo, rispetto allo spazio fisico e virtuale, è oggetto passivo di un controllo sistematico.
Di contro a questa passività introiettata il volume sottolinea l’esigenza di una politica affermativa che sottragga mente e corpo alle logiche strumentali di interdizione-esclusione del capitale.
In questo senso le pratiche dei movimenti neo-femministi, illustrate nella prima parte del libro, sono un fulgido esempio di come si possa sottrarre l’immaginario del nostro corpo al biopotere, che intende la vita come consumo individuale o fonte estrattiva di plus-valore, in un’era in cui l’economia globale e post-antropocentrica, sotto l’egida del capitalismo avanzato, raggruppa tutte le specie – umane, post-umane e non – e le subordina all’imperativo del mercato.
Dal punto di vista filosofico, spiega l’autrice, il punto di partenza, ma non di arrivo, può affondare le sue radici nel seicentesco “monismo” spinoziano e poi, salto plurisecolare, nelle categorie foucaultiane di “biopolitica” e “biopotere”, per svincolarci dall’assoggettamento ed esercitare uno sguardo critico – ma non regressivo – nei confronti delle bio-info-tecnologie in fase di continuo sviluppo e dei loro riflessi sul nostro corpo e sulle nostre menti, in una parola: (sulla nostra) soggettività.

Un ritorno alla politica affermativa senza rifiutare le tecnologie

In altri termini la sfida che pone il neo-femminismo riguardo il rapporto con le tecnologie – con un recupero retro-attivo di Spinoza e Foucault, in quanto i loro pensieri impattavano su altri momenti storici – è quella di «mirare a una sintesi di natura e cultura che da un lato non distrugga la natura e dall’altro non porti ad un rifiuto totale della tecnologia».
E ancora: in un momento in cui risulta essere chiaro e manifesto che il progresso scientifico non è garantito a tutti a livello globale, riappropriarsi della scienza – mediante gli itinerari che Donna Haraway sintetizza nei concetti critici di “tecnoscienza” e “naturacultura” – deve essere un necessario orizzonte di conquista.
Ma perché, dal punto di vista filosofico e della questione del corpo, ripartire proprio da Spinoza? Perché il filosofo olandese, con il suo “monismo materialista” – cioè «mente e corpo non come due sostanze separate, ma come medesimi attributi della medesima sostanza» –, scrive Rosi Braidotti, ha reso la filosofia propriamente “etica”, e cioè ha collegato la potenza conoscitiva, immaginativa e affettiva alla potenza della soggettività tutta intesa come ineludibile connessione di totalità e singolarità: «tra ciò che sente il corpo e ciò che pensa la mente vi è dunque una fitta rete di interrelazioni che potremmo definire proporzionali: quanto più il corpo agisce tanto più la mente comprende», e viceversa: «quanto più il corpo patisce tanto più la mente erra».
Allora l’imposizione verticistica di un controllo virtuale e fisico – anzitutto fisico – da un lato, e la pervasività della tecnologia subita in senso acritico dall’altro, confinano oggi i nostri corpi in una dimensione di patimento individuale e isolamento rispetto alla collettività.
Patimento e isolamento, per dirla ancora con Spinoza, non possono in nessun modo produrre una soggettività in grado di sostituire alla rigidità di un controllo dall’alto – espresso dalla politica come braccio armato del capitale – un dinamismo che si orienti sui concetti di “utile” – ecco come l’etica politica supera la “morale” – e di “armonia” della vita comune.

In questo senso la politica neo-femminista del soggetto nomade, meticcio e fino al limite iperbolico del cyborg/mutante – le cui influenze e rimandi si cominciano a scovare sempre più spesso nella trans-medialità più disparata segna punto avanzatissimo in quanto conferisce al corpo «una nuova e accentuata importanza, perché è nel corpo che è radicato la nostra capacità creatrice e immaginativa, in quanto primo luogo e momento ci comprensione/organizzazione del desiderio» e quindi di svincolamento dalle dinamiche del “biopotere”.
Cosa sono diventati oggi i nostri corpi? Come pensiamo e conosciamo i nostri corpi al tempo delle biotecnologie e del capitalismo avanzato?
Per una politica affermativa prova a dare risposta a questi quesiti e facendolo si affianca a tutte quelle voci che ci allertano sull’esigenza di un ritorno a una fervente immaginazione politica, affermativa, del possibile, senza la quale siamo destinati a scenari sempre più inquietanti.

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