La recente disuguaglianza ha molte dimensioni – mi permetto di selezionarne una che più di recente e più vividamente ha portato alla nostra attenzione l’enorme ingiustizia e ineguaglianza della nostra convivenza planetaria: le masse di senzatetto che bussano alle nostre case, apparentemente sicure e ben fornite.
La migrazione di massa ha accompagnato l’era moderna fin dal suo inizio (anche se cambia le sue direzioni, e di tanto in tanto fa retromarcia); lo “stile di vita moderno” include la produzione di “persone in esubero” (localmente “inutili” – perché in eccesso e non impiegabili lavorativamente a causa del progresso economico – o localmente intollerabili – perché respinte dai disordini, dai conflitti e dalle lotte per il potere causate da trasformazioni socio politiche), come se si trattasse di un “fenomeno strutturale”.
A monte di ciò, tuttavia, sosteniamo attualmente le conseguenze della destabilizzazione profonda e apparentemente senza prospettive dell’area medio orientale frutto di calcoli sbagliati, stupidamente miopi e certamente fallimentari, effetto delle iniziative politiche e militari delle potenze Occidentali.
E’ stato annunciato ufficialmente che «le statistiche aggiornate ad oggi rivelano che almeno 1,001,910 di richiedenti avevano cercato protezione internazionale nei 28 stati membri nel 2015. Secondo gli ultimi dati sulla crisi internazionale di rifugiati di quest’anno – una crisi senza precedenti – il numero dei richiedenti asilo e di familiari registrati ai confini è già superiore del 60% rispetto al 2014. Si tratta del conteggio di gran lunga più alto dall’inizio delle rilevazioni comparabili, nel 2008».
In un piccolo libro intitolato “Strangers at our door” (Stranieri alla nostra porta) che sarà pubblicato da Polity Books a maggio, ho scritto che «per come le cose stanno oggi – e promettono di rimanerci per lungo tempo ancora – è improbabile che la migrazione di massa si fermi da sola – né per la mancanza di spinte né per l’ingegnosità crescente impiegata nel tentativo di fermarla».
Come Robert Winder ha argutamente osservato nella prefazione alla seconda edizione del suo libro, «possiamo sistemare la nostra sedia in spiaggia quante volte ci pare e piace, e piangere all’arrivo delle onde, ma la marea non ci ascolterà, il mare non tornerà indietro. Innalzare muri al fine di impedire che l’angoscia per l’imminente tragedia entri nel cortile di casa nostra, trova un’eminente rappresentazione nella storia del vecchio filosofo Diogene che rotolava all’interno di un barile su e giù per le strade della sua città natale, Sinope. Interrogato a proposito del suo strano atteggiamento, rispondeva che vedendo i suoi vicini impegnati a barricare le loro porte e affilare le loro spade, anche lui aveva voluto fare qualcosa per difendere la città dall’essere conquistata dalle truppe macedoni di Alessandro».
«Ciò che è accaduto in questi ultimi anni, è un enorme balzo in avanti del contributo di rifugiati e richiedenti asilo sul numero totale di migranti che bussano alle porte dell’Europa. Quel salto è stato spinto dal numero crescente di “caduti”, o preferibilmente di Stati caduti, o apolidi, provenienti da territori illegittimi, palcoscenico di interminabili guerre tribali e settarie, omicidi di massa e banditismo quotidiano.
In larga misura questo è un effetto collaterale delle spedizioni militari sottovalutate, funeste e disastrose in Afghanistan e Iraq, conclusesi con la sostituzione di regimi dittatoriali in un teatro di sregolatezza e frenesia di violenza aiutato e spalleggiato dal commercio di armi globale, scatenato dalla sete di controllo e rinforzato dall’industria degli armamenti con un tacito assenso (anche se troppo spesso orgogliosamente esibito in pubblico durante le fiere internazionali di armi).
Il flusso dei rifugiati – fuggiaschi spinti ad abbandonare le proprie case e i loro beni più cari dalle regole imposte dalla violenza arbitraria, persone in cerca di un riparo dai campi di sterminio – ha drammatizzato e acceso i riflettori sullo sfogo dei cosiddetti “migranti economici”, spinti dal fin troppo umano desiderio di passare dal terreno arido al punto in cui l’erba diventa verde – da perseguitati in terre povere e senza prospettive a quelle ricche di opportunità.
A proposito di quel flusso costante di persone in cerca di uno standard decente di vita (un flusso costante dagli inizi dell’umanità, accelerato solo dalla moderna industria della ridondanza di persone e di vite sprecate), Paul Collier ha detto quanto segue:
«Il primo fatto è che il divario di reddito tra i paesi poveri e quelli ricchi è grottescamente ampio e il processo di crescita globale lo lascerà ampio ancora per diversi decenni. La seconda è che la migrazione non ridurrà significativamente questo gap perché i meccanismi di risposta sono troppo deboli. La terza è che giacché la migrazione continuerà, le diaspore continueranno ad accumularsi per alcune decadi. Così il divario tra redditi persisterà, mentre gli agenti catalizzatori delle migrazioni dilagheranno. L’implicazione è che la migrazione dai paesi poveri a quelli ricchi è destinata ad accelerare. Per il prossimo futuro, la migrazione internazionale non raggiungerà l’equilibrio: stiamo osservando l’inizio di uno squilibrio di proporzioni epiche».
Tra il 1960 e il 2000 – come Collier calcola avendo a disposizione solo le statistiche disponibili, fino al 2000 appunto – «ciò che è decollato, da meno di 20 milioni a oltre 60 milioni, è stata la migrazione dai paesi poveri a quelli ricchi. Inoltre, l’incremento è accelerato di decennio in decennio (…) E’ presumibile ritenere che dal 2000 in poi questa accelerazione sia proseguita».
Abbandonate esclusivamente alle proprie logiche e ai propri impulsi, possiamo dire che le popolazioni dei paesi poveri e di quelli ricchi si comporterebbero come il liquido in vasi comunicanti. Il numero degli immigrati non raggiungerà l’equilibrio fino a quando queste persone non avranno raggiunto un certo livello di benessere. E tale risultato necessiterà, con ogni probabilità, di molti decenni per essere raggiunto – salvo i giri imprevisti del destino storico.